domenica 31 maggio 2009

Chico Mendes.


Proseguiamo la piccola operazione sulla memoria perché, come dicevamo, qualche volta dimenticare è una colpa.
Dopo il peruviano Nestor Cerpa Cartolini ricordiamo un altro figlio dell’America Latina che ha perso la vita combattendo per difendere i diritti dei più umili. Il ‘Guerrigliero eroico’ a cui dedichiamo un pensiero questo mese è Chico Mendes.

Nacque nel 1944 al Seringal Cachoeira, in Acre, da una famiglia di discendenti di raccoglitori di caucciu'. Fin da giovane si interesso' a far valere i diritti alle loro terre degli estrattori di gomma. Nel 1970 il piano di integrazione nazionale (PNI), un ambizioso piano del governo per domare l'Amazzonia , attrasse costruttori, allevatori di bestiame, compagnie di legname e coloni in Acre. Nel 1975, Chico Mendes organizzo' un sindacato di lavoratori rurali per difendersi dalle violente intimidazioni e dalle occupazioni della terra praticati dai nuovi arrivati che stavano distruggendo la foresta e quindi togliendo ai lavoratori rurali i loro mezzi di sostentamento.
Mendes organizzo' numerosi gruppi di lavoratori rurali per formare blocchi umani non violenti intorno alle aree di foresta minacciate dalla distruzione e presto attrasse la collera dei costruttori, abituati a risolvere gli intoppi sia grazie a politicanti corrotti sia assoldando pistoleri per eliminare gli ostacoli umani. Queste azioni di contrasto salvarono effettivamente migliaia di ettari di foresta, dichiarati reservas extrativistas dove lavoratori rurali poterono continuare a raccogliere e lavorare il lattice di gomma e a raccogliere frutti , noci e fibre vegetali.
L'interesse internazionale si concentro' su Mendes come difensore della foresta, ma il suo ruolo come leader lo fece anche diventare l'obiettivo degli oppositori frustrati ed infuriati. Nei primi giorni di dicembre 1988, si attivo' per far divenire il suo paese natale, il Serigal Cachoeira, una riserva estrattivista, sfidando il proprietario terriero ed allevatore locale, Darly Alves da Silva, che reclamava la proprieta' della terra. Il 22 dicembre, Chico Mendes che aveva ricevuto diverse minacce di morte lascio' per pochi istanti la sua guardia del corpo. Fu colpito a breve distanza nella veranda posteriore della sua casa da colpi partiti dai cespugli e mori' subito dopo.
Per almeno due anni, ci furono diverse speculazioni sugli assassini; nonostante fossero ben noti, furono considerati fuori dalla portata legale per le loro connessioni con influenti proprietari terrieri e figure ufficiali corrotte della regione - un compromesso comune nelle terre di frontiera del Brasile. Forti pressioni nazionali ed internazionali riuscirono a far arrivare il caso in tribunale. Nel dicembre del 1990, Darly Alves da Silva ricevette una condanna a 19 anni di prigione per essere stato il mandante dell'omicidio; suo figlio, Darci, ricevette la stessa condanna per esserne stato l'esecutore materiale.
I lavoratori rurali , l'opinione mondiale e il governo brasiliano, che necessitava di mostrare ai brasiliani ed al resto del mondo un minimo di controllo sulla regione amazzonica, ottennero ampia soddisfazione dal verdetto. Ma quando i media spostarono i loro riflettori, gli omicidi continuarono. Dagli ultimi anni del '70, di centinaia di omicidi di leaders sindacali e protestanti per i diritti della terra, l'unico che fu investigato completamente e porto' ad una condanna fu quello di Chico Mendes.
La condanna a Darly Alves da Silva fu annullata nel febbraio del 1992 a Rio Branco dalla corte d'appello statale.
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sabato 16 maggio 2009

Brigata internazionalista Josè Martì Cuba 5 - 27 luglio 2009

Sono ormai oltre 30 anni che l’Associazione di Amicizia Italia-Cuba partecipa alla Brigata Internazionale di Lavoro volontario a Cuba. La Brigata ‘José Martí’, è così chiamata in onore dello scrittore, poeta, patriota, rivoluzionario cubano, artefice della lotta per l’indipendenza di Cuba dalla Spagna, morto combattendo nel 1895. E’ una figura così importante che tutto lo sviluppo del processo rivoluzionario cubano trae origine dai suoi insegnamenti.


I componenti della brigata provengono da molti paesi europei e svolgono il loro lavoro nei pressi di Caimito, un municipio a circa 40 Km. da La Habana. Insieme ai giovani cubani e ai campesinos del luogo, si lavora nell’agricoltura, in una zona principalmente destinata alla coltivazione degli alberi da frutta.
Si vive in comunità al ‘Campo’. Possono partecipare alla Brigata donne, giovani e uomini, di qualsiasi età, idealmente animati a compiere un dovere di solidarietà con Cuba. E' questa solidarietà la leva morale che sostiene il lavoro volontario, l'amore e la simpatia per la Rivoluzione cubana, la manifestazione della nostra solidarietà a Cuba nella resistenza e nella lotta contro l'aggressione del governo degli Stati Uniti e contro l'illegale blocco economico che provoca sofferenze al popolo cubano.
La Brigata di Lavoro è anche un’occasione per discutere con i rappresentanti cubani della situazione politica, economica, sociale, nella quale sono costretti a vivere. La nostra visione di Cuba, a volte pessimistica e a volte idealistica, si concretizza nella conoscenza della realtà, sia discutendo, sia nell'apprendere direttamente i risultati delle conquiste della Rivoluzione.
Ogni giorno, dopo il lavoro, c'è un incontro, una visita, una partecipazione ad attività ricreative, culturali, insieme cubani ed europei, seguiti da periodi di riposo nel Mare dei Caraibi.
La vita in comune tra giovani cubani ed europei porta a fraternizzare, a conoscerci meglio, a rendere umani i rapporti politici e sociali dei diversi partecipanti. E' il momento più grande e più semplice per aprire la nostra visione sul mondo. Ci renderemo conto che questo mondo non è così brillante, non è fatto solo dalla ‘società dei consumi’, dal pensiero neo-liberista e dalla globalizzazione capitalista. Ma è anche un mondo pieno di contraddizioni, fra ricchezza e povertà, con problemi individuali e collettivi, economici e sociali, etici, morali e ideali. Insomma i problemi dell'oggi e del futuro dell'umanità, che vuole vivere con il lavoro, in una società più giusta ed eguale, nella pace e nella fratellanza con tutti i popoli.
La partecipazione alla Brigata è aperta a tutti coloro che vogliono fare questa esperienza e conoscenza di Cuba. Vorremmo che con noi ci fossero anche persone che militano nei diversi partiti o nelle diverse associazioni, che abbiano filosofie e opinioni diverse, ma che idealmente si sentano vicini al popolo cubano.
L'adesione alla Brigata prevede poche ma importanti condizioni: iscrizione all'Associazione, avere saldi principi e sentimenti democratici, sana costituzione, impegno a realizzare il programma di lavoro e rispetto per le regole di vita cubane.
Il Campo è situato in un grande parco verde. E' composto da alloggi in legno con letti a castello, suddiviso in camere da 4 o da 8 persone a più letti; il campo è fornito di bagno, docce e lavandini per l'igiene personale e il bucato.
La mensa è comune per tutti gli ospiti del campo. L'alimentazione è basata su piatti tipici cubani: riso, fagioli neri, carne e pesce, banane fritte, patate dolci, frutta tropicale, succhi di frutta, latte e yogurt naturale.
La vita al Campo: Ogni contingente nazionale avrà un Capo Brigata. Quello designato dall'Associazione di Amicizia Italia-Cuba, è responsabile nei confronti di ICAP e terrà i rapporti con l'Italia: presiede le riunioni della brigata italiana per discutere insieme il programma, i problemi, le necessità e le iniziative.
Il lavoro: la sveglia è alle ore 5.45, pulizie personali, colazione e partenza per il campo alle ore 7.00. La giornata lavorativa è fino alle ore 12. Rientro per il pranzo, così come è previsto nelle giornate di lavoro programmate.
Tutte le altre attività sono indicate nel Programma della Brigata.
La Brigata Europea di Lavoro si effettuerà dal 6 al 22 luglio 2009
La Brigata di Lavoro è una magnifica opportunità per conoscere Cuba e, in questo modo, fraternizzare con cubani e amici europei e scambiare opinioni sui diversi aspetti della realtà cubana.
Il programma prevede 13 notti di permanenza al Campo Internazionale Julio Antonio Mella (CIJAM), situato a Guayabal, nel municipio di Caimito, in Provincia di La Habana, a 40 km. dalla capitale, in alloggi condivisi da 8 persone, e comprende vitto (pensione completa), trasferimenti da e per l’aeroporto, trasporti per le attività previste nel programma, assistenza medica d’urgenza e 4 notti di permanenza in una struttura di Matanzas durante la visita a questa provincia.
Durante la permanenza verranno effettuate giornate di lavoro produttivo nell’agricoltura, verranno effettuate anche visite a località di interesse socio-economico, storico-culturale, turistico e programmi facoltativi (non previsti nei costi del programma) che offrono la possibilità di conoscere altri luoghi del paese. Nel Campo Internazionale vi sono servizi di caffetteria, bar, negozi, telefono nazionale e internazionale, posta elettronica e cassetta di sicurezza per denaro, passaporto, documenti e oggetti di valore.
Durante la permanenza al Campo è possibile contattare i partecipanti all’ indirizzo di posta elettronica: cijam@icap.cu
Nota
Il Campo non costituisce un’opzione per alloggiare. Prima di iniziare la Brigata, o una volta conclusa la stessa, si può rimanere nel Campo per l’arrivo dei voli, per cause di imperiose necessità o in attesa della partenza dei voli. Si dovranno pagare 10.00 CUC
(Pesos Convertibili Cubani) per ogni giorno in più. Le lingue ufficiali per le traduzioni saranno inglese, francese e spagnolo. Le attività facoltative non sono comprese nella quota generale. Questo programma potrà subire cambiamenti per ragioni non dovute alla nostra volontà.
I brigatisti entrano a Cuba con visto A-6 concesso dall’ICAP . I brigatisti che vogliono soggiornare a Cuba una volta terminato il programma della Brigata devono cambiare il loro ‘status’ pagando la quota per il visto turistico, costo 40,00 CUC

Clicca su ARGOMENTI - Brigata internazionalista 2009 per vedere la modalità e la scheda d'iscrizione.
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lunedì 11 maggio 2009

Cuba sì, Italia no!


Perché sostenete Cuba? E’ una domanda che ci sentiamo rivolgere spesso dalle persone che si avvicinano ai nostri banchetti. Anche noi a volte ci chiediamo cos'è che ci spinge ad essere solidali con un’isola abitata da 11 milioni di persone distante 9.000 km da noi. Forse perché è un bellissimo paese esotico con un popolo fiero ed intelligente? O forse perchè siamo ancora affascinati dall’epopea della Rivoluzione che ha visto trionfare i ‘barbudos’ di Fidel e Che Guevara contro il tiranno Batista? Sicuramente anche per queste ragioni, ma c’è una cosa che più di tutte ammiriamo di Cuba e dei cubani, questa cosa è la solidarietà che esprimono non solo a parole ma con fatti concreti verso i popoli più oppressi e più bisognosi. Non possiamo purtroppo dirci altrettando ammirati ed orgogliosi del nostro Paese, l'Italia, che grazie alle leggi varate da un esecutivo xenofobo e razzista, oggi è protagonista di una vera e propria aggressione all’umanità.

AGGRESSIONE ALL UMANITÀ di Alessandro Dal Lago.

Quando qualcuno, affamato, malato o bisognoso, bussa alla nostra porta, dovrebbe scattare un imperativo primordiale al soccorso.


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Quando qualcuno, affamato, malato o bisognoso, bussa alla nostra porta, dovrebbe scattare un imperativo primordiale al soccorso. Questo almeno sostengono le mitologie religiose. L'umanità, prima ancora di un'astrazione filosofica, è l'espressione di questo riflesso. Anche se non crediamo al diritto naturale e tanto meno alla retorica dei diritti umani, soprattutto nell'epoca delle guerre umanitarie, sappiamo che il limite minimo della comune condizione umana è definito da quell'imperativo. Rinviando i barconi dei migranti in Libia, il governo italiano ha deciso di rinunciare di fatto e di diritto a qualsiasi minima considerazione umana. O meglio: ha stabilito che la cittadinanza, italiana o occidentale che sia, è il requisito indispensabile perché qualcuno sia trattato da essere umano. E dunque che abbia diritto a vivere, a essere curato e trattato come una persona.
Tra i migranti respinti senza nemmeno mettere piede sul nostro sacro suolo ci sono persone in fuga dalla guerra, dagli stermini e dalla fame. Impedendo loro persino di chiedere asilo e riconsegnandoli ai porti d'imbarco, l'Italia li condanna alla detenzione, alle angherie e, come è già documentato da anni, alla morte. Così nel nome della difesa paranoica della nostra purezza territoriale che accomuna la maggioranza di destra e parti consistenti dell'opposizione, noi rispediamo nel nulla i nostri fratelli, uomini, donne e bambini. Proprio come, a diecimila chilometri di distanza, in nome della nostra sicurezza, le nostre pallottole uccidono i bambini e le nostre bombe cancellano dalla faccia della terra cento civili in un colpo solo.
A questo punto, non c'è nemmeno bisogno di insistere nelle analisi. Il quadro appare chiaro. Dentro la nostra fortezza, norme discriminatorie, che si appoggiano a una cultura trionfante della delazione pubblica e privata, tengono in riga, nell'ombra e nello sfruttamento, gli stranieri di cui abbiamo bisogno. Fuori, c'è l'espulsione preliminare, concordata con la Libia. Curiosi ricorsi storici: i nostri ex colonizzati, a suo tempo decimati e rinchiusi nei campi di concentramento di Graziani, si incaricano, in cambio di soldi, contratti e autostrade, di respingere e internare i profughi e gli affamati di un continente.
Qui le leggi razziali, rispolverate da qualcuno, non c'entrano proprio. C'è invece quella linea, profonda come la faglia di Sant'Andrea, che separa il mondo sviluppato dal resto della terra. In un romanzo di Saramago, la penisola iberica si staccava dall'Europa. Ma ora è questa che scava un fossato incolmabile con la povertà esterna; la Lega è la punta estrema e paranoica di questa cultura del respingimento. E in Italia, ventre d'occidente, non valgono nemmeno le finzioni umanitarie di burocrati e giuristi europei. Qui da noi, mentre la stampa si affanna intorno ai casi privati del padrone, tutto è divenuto possibile. Ma ci si sbaglierebbe a credere che la nostra sia un'eccezione. Dopotutto, il fascismo è nato in una pianura tra le Alpi e gli Appennini. Oggi, l'Italia è l'avanguardia di un'aggressione all'umanità.
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venerdì 8 maggio 2009

Vietato l'ingresso ai NON dissidenti.


Gli Stati Uniti hanno negato il visto d’ingresso nel paese al cantautore cubano Silvio Rodriguez che era stato invitato a partecipare a New York ad un evento in onore del novantenne cantante Pete Seeger.
L'ennesima discriminazione è stata adottata dall’ambasciata USA di Parigi che non ha risposto alla richiesta del visto presentata dal grande esponente della trova cubana, mantenendola ipocritamente “in attesa” fino a dopo il primo maggio, impedendo così il suo arrivo a New York.
Clicca qui sotto per vedere l'intervista rilaciata da Rodriguez a Cubainformacion TV.
cubainformacion.tv
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giovedì 7 maggio 2009

Le dimenticanze della bloggera di moda, Yoani Sanchez - di Gianni Minà.

Non tanto per l’informazione a Cuba, ma per la disinformazione che regna in Italia, mi ha colpito il candore di un lettore del mio sito che giudica il lavoro di Yoani Sanchez, “la bloggera che sfida Castro”, scevro da ideologie o interessi poltici.
Basterebbe, infatti, la propaganda che le viene fatta nel nostro paese per capire la portata dell’operazione che è stata messa su.
C’è un intero continente con tutti i nuovi presidenti finalmente presentabili dell’America latina che non solo chiede agli Stati uniti la cancellazione dell’embargo, ma si sta battendo anche per il rientro di Cuba in tutti gli organismi dai quali l’isola era stata prepotentemente esclusa per volere proprio degli Stati uniti.
Questi presidenti, da Lula a Chavez, a Evo Morales, a Correa, ma anche dall’argentina Kirchner alla cilena Bachelet, o all’ex vescovo Lugo, sanno perfettamente che Cuba ha raggiunto in questi anni standard d’eccellenza nell’educazione, nella sanità, nella protezione sociale, nella cultura, nello sport, che questi premiers ancora sognano per i loro paesi, pur essendo più ricchi e non feriti da un blocco economico insensato e ingiusto.
I ragazzi cubani che Yoani Sanchez sostiene vivono solo privazioni sanno perfettamente, infatti, che queste conquiste sociali rendono Cuba, pur con tutti i suoi errori, diversa, più libera, dai paesi che invece, negli anni, sono stati prigionieri del neoliberismo e del mercato, come quelli delle villas miserias delle grandi città o come i trenta milioni di bambini randagi del continente.
Yoani Sanchez, nei suoi articoli, fa finta di non saperlo.
Forse è per ribattere questo tipo di dimenticanze che ho attraversato recentemente l’isola, da l’Avana a Guantanamo, con una mia troupe per realizzare un documentario non banale sulla Revolucion nell’era di Obama, ed ho scoperto che non solo la Sanchez è pressocchè sconosciuta, ma perfino i tanti ragazzi latinoamericani e non che studiano a Cuba (perchè nei loro paesi non potrebbero farlo) alla Scuola di medicina latinoamericana o alla Scuola d’arte di Bayamo, come alla Scuola di cinema, o nella stessa Università di Stato, non capiscono che cosa vorrebbe dimostrare questa bolggera di cui io spiegavo l’esistenza e la risonanza in Italia.
Per anni io ho sentito parlare, per esempio, da parte dei radicali italiani e di quella parte di “eredi” del nostro PC ora pentiti, di “dissidenti” come per esempio l’associazione delle “Donne in bianco”. Bene, recentemente si è saputo che la leader di questo gruppo di opposizione alla Rivoluzione, Martha Beatriz Roque, prendeva una ricca prebenda mensile da Santiago Alvarez, un terrorista al servizio della parte più retriva degli anticastristi di Miami, recentemente arrestato e condannato a quasi quattro anni (poi ridotti a due anni e mezzo) perchè scoperto con una macchina piena di esplosivo che, a suo dire, doveva servire per alcuni attentati nell’isola.
Poichè Santiago Alvarez era in carcere, nei mesi in cui era ancora presidente Bush Jr, i soldi si è offerto di anticiparli il capo dell’ufficio di interessi del governo degli Stati uniti a l’Avana, Michael Parmly.
Non mi sono sorpreso perchè ogni anno della sua presidenza Bush ha stanziato milioni di dollari per “un cambio rapido e drastico a Cuba” (140 milioni nel 2007, 45, data la crisi economica, nel 2008).
Molti di questi soldi venivano rubati dalle presunte organizzazioni per la democrazia a Cuba (come ha scoperto Barack Obama ordinando un’indagine), ma evidentemente buona parte è servita per “ungere” chi poteva creare malessere nella società cubana, certo non perfetta e ancora non libera da contraddizioni.
Non siamo più nell’epoca in cui veniva messa in piedi contro la Rivoluzione, come nel 2003, una vera e propria “strategia della tensione” con dirottamenti di aerei e sequestri del ferry boat di Regla, ma c’è ancora uno sforzo palese per controbbatere il vento di simpatia, nei riguardi di Cuba, che attualmente spira nel continente latinoamericano e anche nella parte progressista degli Stati uniti.
Dispiace che tutto questo non lo abbia considerato anche l’Unità che, avendo fra i collaboratori un grande conoscitore delle nazioni a Sud del Texas come Maurizio Chierici, questa realtà la avrebbe potuta approfondire facilmente anche se, erroneamente, il giornale cita spesso Freedom House, un’agenzia sovvenzionata dai governi di Washington, come riferimento indiscutibile per dare le pagelle sulla libertà di stampa. E lo fa perfino con paesi, in questo settore più che carenti, come il Messico e la Colombia.
Perchè se a Cuba c’è la bloggera, in Messico o in Colombia, nazioni allineate sulle vecchie poltiche degli Stati uniti e dei farisei europei, l’eliminazione dei giornalisti non graditi ai regimi di Uribe e di Calderon che li governano, è uno sport ancora molto praticato e che, ogni anno, fa registrare una trentina di cronisti ammazzati (record mondiale).
A loro mai nessuno, però, ha chiesto di tenere una rubrica su Internazionale Leggi tutto...

domenica 3 maggio 2009

Noi non ci caschiamo.


Stamattina guardando le prime pagine dei quotidiani in edicola siamo stati attratti da quella dell’Unità su cui campeggiava il titolo “Voci libere” con la foto della blogger anticastrista Yoani Sanchez. Incuriositi e sempre bisognosi di voci libere, visto quello che passano i nostri mezzi di informazione pubblici e privati, abbiamo acquistato il quotidiano fondato da Antonio Gramsci (mai spesa fu più rimpianta). Prima di scrivere questo post ci siamo chiesti se valesse la pena o meno commentare punto per punto le inesattezze e le bugie spacciate per verità inconfutabili dalla cosiddetta blogger “dissidente” e riprese come fossero oro colato dal quotidiano in questione. Il rischio era (ed è) quello di contrapporre opinioni ad altre opinioni , ben sapendo che nel campo delle chiacchiere ognuno può dire ciò che vuole senza doversi sobbarcare l’onere della dimostrazione di quanto afferma. Che senso avrebbe avuto, dunque, controbattere a chi dice, al telefono (anche se controllato dai servizi segreti) al giornale “che rispetta molto” e quindi conosce e legge che i cubani hanno difficoltà quotidiane nel trovare cibo da portare sulle proprie tavole, nel fare le cose più semplici come portare una lettera alla posta, che vive in un regime politico maschilista al cento per cento “così succede spesso che la polizia arresti mio marito e non me. Io sono una donna, un soggetto non abbastanza importante per il carcere”. Come dicevamo è inutile controbattere con cifre e statistiche sia sul ruolo che le donne hanno nelle istituzioni cubane a tutti i livelli sia sugli indici di sviluppo umano (percentuali di analfabetismo, posti letto ospedalieri, accesso all’acqua potabile, calorie disponibili per abitante e mortalità infantile) forniti non dal regime ma da organismi internazionali che mettono Cuba, paese del terzo mondo, tra i più virtuosi del pianeta. Unica replica la diamo non noi che come dice la Sanchez siamo “nostalgici che considerano Cuba un parco tematico dove ubicare le loro utopie” ma una connazionale di Yoani, Carolina Major Perez che in un’intervista a ‘il Manifesto’ del 4 marzo di quest’anno diceva.” Mio figlio ha vent'anni, sta studiando al secondo anno di università, ingegneria delle telecomunicazioni. Nel 2007 si è iscritto all'università e gli hanno consegnato 7 libri senza pagare un centesimo, a lui e a tutti quelli che si stavano iscrivendo, più di 100 ragazzi, ed era solo un anticipo di tutto i libri e il materiale che avrebbero ricevuto gratuitamente per tutto il corso di studi. Quanti giovani in America latina o in Europa possono dire altrettanto? Nelle altre parti del mondo, tante persone si svegliano con l'angoscia di dover cercare un lavoro o di poterlo perdere o di non potersi curare. Noi possiamo avere avuto il problema di come vestirci, per via degli effetti della doppia moneta e del peso convertibile, ma non quell'angoscia".
Meglio allora concentrarsi su una questione che ci sembra incontrovertibile e che smonta da cima a fondo questa ennesima operazione di diffamazione a mezzo stampa. Come si può affermare, ci chiediamo e chiediamo anche a voi, di trovarsi su un’isola che vieta la libertà di stampa e di opinione e farlo attraverso un blog aggiornato quotidianamente e comodamente da una casa all’Avana. Ma che razza di “regime” è quello che non riesce a porre neanche un ostacolo burocratico o un filtro all’attività di una dissidente così pericolosa? E’ proprio vero, non ci sono più i dittatori di una volta. Yoani Sanchez, in un’intervista concessa il mese scorso al settimanale “Internazionale”, arriva addirittura a confessare che si guadagna da vivere facendo senza autorizzazione la guida per i turisti e guarda un po’, il presunto grande fratello cubano è così inefficiente da non essere mai andato a chiedergli conto di questa illegalità. Eppure in questo modo avrebbe potuto salvare capra e cavoli, del resto anche Al Capone venne arrestato e condannato per motivi fiscali. Contraddizioni di non poco conto che forse qualche spirito libero dovrebbe far notare alla novella Giovanna D’Arco della rete. Leggi tutto...