venerdì 7 agosto 2009

Thomas Sankara.


Idealista, genuino, irriverente, sognatore. Sono tanti gli aggettivi usati per parlare di Thomas Sankara, il presidente-ribelle del Burkina Faso, assassinato nel 1987. Oggi la figura di questo giovane rivoluzionario sopravvive nella memoria di milioni di africani. Scopriamo il perché nel 3° appuntamento di "utopia", la nostra operazione sulla memoria.

Thomas Sankara è stato l’eroe della rivoluzione popolare che nel 1983 cambiò i destini dell’Alto Volta, un povero paese saheliano, poi ribattezzato col nome di Burkina Faso (nella lingua locale significa “terra degli uomini liberi e integri”).
Giovane ufficiale dell’esercito, ambizioso e determinato, Sankara si impadronì del potere con un golpe. All’età di soli 34 anni si trovò a governare una nazione assediata dalla desertificazione e dalla carestia, che da decenni conviveva con colpi di stato, scioperi selvaggi e una miseria dilagante. In soli quattro anni di governo, Sankara riuscì a realizzare riforme sociali epocali e cambiò il volto del Paese.
Sankara era un idealista ma pure un uomo di azione, un insaziabile stacanovista. Si dedicava solo a programmi ambiziosi e intensivi: in meno di tre settimane, il suo Governo riuscì a far vaccinare contro il morbillo, la meningite e la febbre gialla il 60% dei bambini del paese (secondo l’Unicef fu una delle più belle imprese mai realizzate in Africa). In ogni villaggio Sankara fece costruire nuove scuole (in quattro anni la percentuale di bambini scolarizzati del Burkina salì di un terzo), ambulatori, piccoli dispensari e magazzini per i raccolti.
Molta gente si offriva volontaria per realizzare i programmi della rivoluzione, ma Sankara non esitava ad usare le maniere forti pur di centrare i suoi obiettivi: obbligò i capi-villaggio a seguire corsi di formazione per infermieri di primo soccorso. Impose una campagna di alfabetizzazione rapida nelle campagne (tutti, per 50 giorni consecutivi, furono costretti a frequentare la scuola) ed arrivò persino a promulgare l’obbligo di partecipare ad un’ora di ginnastica collettiva tutti i giovedì pomeriggio.
Senza peli sulla lingua
Sankara gestì il potere in modo decisamente poco convenzionale. Cercò di ridare vigore all’arretrata economia rurale, nella speranza di far raggiungere al Paese l’autosufficienza alimentare. Ma rifiutò polemicamente gli aiuti internazionali e le politiche di aggiustamento promosse dal Fondo monetario. «L’Africa si salverà da sola. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno sta nella nostra terra e nelle nostre mani» usava ripetere nei suoi comizi.
Non contento, Sankara scosse le cancellerie occidentali facendosi promotore di una campagna contro il debito estero contratto dai paesi africani: «Dopo essere stati schiavi, siamo ora schiavi finanziari. Dobbiamo avere il coraggio di dire ai creditori: siete voi ad avere ancora dei debiti, tutto il sangue preso all’Africa».
A preoccupare le potenze occidentali erano anche le “amicizie” di Sankara: il presidente burkinabè frequentava “gente pericolosa” come Gheddafi, Fidel Castro, Menghistu e il mozambicano Samora Machel. La Francia, in particolare, temeva che il proselitismo di questo giovane rivoluzionario potesse contribuire all’erosione dell’influenza politica ed economica di Parigi in Africa.
Un presidente in bicicletta
La diplomazia e la realpolitik non erano il suo forte (il padre-fondatore della Costa d’Avorio, Houphouet-Boigny, lo chiamava scherzosamente «il figlio ribelle») ma, da umile e populista qual era, viveva per primo il modello di vita proposto alla sua gente. Occorreva che tutti facessero dei sacrifici e lui non si tirava indietro.
Rifiutava di vivere al di sopra delle possibilità della gente comune, per le vie della capitale Ouagadougou lo si vedeva spesso girare in bicicletta. Per abbattere i privilegi della classe dirigente fece vendere le auto blu ministeriali, sostituendole con semplici utilitarie (il presidente guidava personalmente una Renault 5).
Nel 1985 licenziò gran parte dei membri del suo gabinetto e li inviò a lavorare nelle cooperative agricole, nello stesso anno decise un taglio del 15% dei salari del governo. Impose una radicale politica di austerità a tutti i funzionari pubblici, compreso a se stesso.
La frattura col passato
In effetti la rivoluzione richiedeva sacrifici. Tutti erano coinvolti nei progetti contro la desertificazione: ogni straniero che arrivava in Burkina era obbligato a piantare un albero. Studenti, operai, ministri e persino diplomatici europei furono “inviati” (un termine eufemistico: il regime non sopportava i dissidenti) a dare una mano per la costruzione della ferrovia che avrebbe dovuto collegare la capitale Ouagadougou alla città di Tambao, dove si trovano ricchi giacimenti di manganese e di calcare (gli economisti avevano calcolato che il progetto non avrebbe mai potuto produrre reddito e ancora oggi i lavori non sono stati ultimati).
Sankara era anche questo. Non tutti lo prendevano sul serio, soprattutto all’estero, ritenendolo ingenuo e sognatore. Gli oppositori politici lo accusavano di autoritarismo e di demagogia. Ma il suo fascino era contagioso: soprattutto i giovani vedevano in lui un nuovo leader, non assetato di potere, saggio e idealista. Sul piano sociale e culturale Sankara creò una frattura netta col passato. Si oppose fermamente a quella sorta di feudalesimo rurale che permetteva ai capi-villaggio di sfruttare i contadini. Puntò con forza sull’emancipazione delle donne. Si occupò di moralizzare la vita pubblica e lottò attivamente contro la prostituzione e la corruzione.
A livello economico perseguì una politica protezionistica. Quando non indossava l’uniforme militare, Sankara vestiva il tipico abito verde della fabbrica di tessuti Faso dan Fani, fatto col cotone ruvido burkinabé (era l’uniforme imposta ai funzionari). Anche il pane veniva in parte fatto con la farina di miglio perché il mais costava troppo e doveva essere importato. Certo non fu facile, ma in quattro anni il presidente cambiò il volto del Paese. E il Burkina Faso divenne fiero della propria diversità.
Ucciso dagli “amici” più cari
Thomas Sankara venne assassinato nel 1987 durante un colpo di stato organizzato da alcuni ufficiali dell’esercito, tutti vecchi amici del presidente. La nuova giunta militare venne guidata dal capitano Blaise Compaoré (l’attuale presidente del Burkina Faso), un tempo compagno di lotta di Sankara, che cercò invano di screditare l’immagine dell’ex leader con un’intensa propaganda destinata solo a far rimpiangere il precedente regime. Sotto il governo di Sankara l’economia del Burkina ritrovò vigore, i conti pubblici vennero gestiti con oculatezza e la corruzione fu ridotta a livelli bassissimi (un caso quasi unico in Africa). Tutti i principali indici della qualità della vita - mortalità infantile, età media, scolarizzazione, ecc. - migliorarono. Ma soprattutto la popolazione burkinabé sviluppò un genuino senso di patriottismo che permise di superare le divisioni tribali e di guardare al futuro con rinnovato ottimismo .
Un’eredità ingombrante
A quasi ventidue anni dalla sua morte, la figura di Thomas Sankara sopravvive nella memoria di milioni di africani: ogni 15 ottobre, nell’anniversario del colpo di stato che gli tolse il potere, una grande folla rende omaggio alla sua tomba a Ouagadougou. A tributargli gli onori non sono solo i nostalgici che hanno vissuto la sua rivoluzione, ma anche tanti giovani che lo hanno conosciuto coi racconti dei genitori e i libri di storia. A tutt’oggi rimangono numerosi interrogativi circa i motivi e i mandanti del suo omicidio.
Sankara si era procurato diversi nemici a cui dava molto fastidio. Pur godendo dell’appoggio delle masse, entrò sempre più in contrasto con alcuni gruppi di potere molto influenti fra cui i sindacati, i proprietari terrieri, i capi tradizionali.
Aspri dissidi si erano creati anche con alcuni paesi occidentali, specie gli Stati Uniti e la Francia, rispetto ai quali il Burkina Faso era stato per lungo tempo in una posizione di dipendenza economica e di sudditanza politica. Sankara era solo, troppo debole per avere la meglio su tutti. Ma l’immagine di questo giovane rivoluzionario che osò sfidare i grandi del mondo, e che seppe incarnare le speranze di liberazione di un intero continente, resta un esempio di integrità e di coraggio che riempie di orgoglio milioni di africani.
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