martedì 22 dicembre 2009

Cuba: 0% di denutrizione infantile (fonte UNICEF)


L’esistenza nei paesi in via di sviluppo di 146 milioni di bambini, al di sotto dei 5 anni, malnutriti, contrasta con la realtà cubana, mondialmente riconosciuto essere lontana da questo male sociale.
Queste preoccupanti cifre appaiono in recente rapporto del Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF), divulgato nella sede dell’ONU.
Secondo il documento, le percentuali dei bambini sottopeso sono del 28% in Africa Subsahariana, 17% in Medio Oriente e Nord Africa, 15% in Asia orientale e Pacifico e 7% in Latinoamerica e Caribe. Completano il rapporto, Europa centrale e dell’est con il 5% e altri paesi in via di sviluppo con il 27%.
Cuba non ha di questi problemi, è l’unico paese dell’America Latina e del Caribe che ha eliminato la denutrizione infantile, grazie agli sforzi del Governo per migliorare l’alimentazione della sua popolazione, specialmente quella appartenente alle fasce più vulnerabili.
La cruda realtà è che 852 milioni di persone nel mondo soffrono la fame e che 53 milioni di esse vivono in America Latina. Solo in Messico ci sono 5 milioni e 200 mila persone denutrite e Haiti segue con 3 milioni e 800 mila, mentre in tutto il pianeta ogni anno nuoiono di fame più di 5 milioni di bambini.
Secondo le stime delle Nazioni Unite, non sarebbe molto costoso ottenere salute e nutrizione basica per tutti gli abitanti del Terzo Mondo. Basterebbero 13 milioni di dollari all’anno in più di quelli che si stanziano adesso, una cifra che non si è mai raggiunta e che è esigua se paragonata al milione di milioni che ogni anno si spendono in pubblicità commerciali, i 400 milioni in droghe e stupefacenti o anche gli 8 milioni che si spendono in USA per i cosmetici.
Con soddisfazione di Cuba, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura ha anche riconosciuto che questa è la nazione all’avanguardia in Amrica Latina nella lotta contro la denutrizione.
Lo Stato cubano garantisce l’accesso alla canasta basica alimentare, che permette la nutrizione di tutta la popolazione, per lo meno a livello basico, mediante la rete di distribuzione dei prodotti che ne fanno parte.
Nello stesso tempo si fanno aggiustamenti economici in altri mercati e servizi locali per migliorare la qualità dell’alimentazione ed attenuare il deficit alimentare. Inoltre si mantiene una costante vigilanza sul sostentamento dei bambini e degli adolescenti; l’attenzione alla nutrizione comincia con la promozione di una forma di alimentazione migliore e naturale.
Il tema della denutrizione riveste grande importanza nella campagna dell’ONU che intende raggiungere, nel 2015, le Mete dello Sviluppo del Millennio, tra le quali eliminare la povertà e la fame.
Nonostante le deficenze, le difficoltà e le serie limitazioni causate dal blocco economico, commerciale e finanziario imposto dagli Stati Uniti da quasi 50 anni, Cuba non mostra disperati o allarmanti indici di denutrizione infantile. Nessuno dei 146 milioni di bambini minori di 5 anni denutriti che vivono oggi nel mondo, è cubano.(da Prensa Latina) Leggi tutto...

venerdì 18 dicembre 2009

TESSERAMENTO 2022.






Invitiamo tutti le persone che amano Cuba e la sua idea di società ad aderire al tesseramento 2022.

Ricordiamo ai vecchi soci e ai nuovi che:
-Il costo minimo per diventare socio è di euro 20,00.
-Chi vuole diventare socio può anche versare una cifra superiore che servirà a finanziare il progetto di informatizzazione avviato nella provincia di Sancti Spiritus.
-A tutti i soci verrà inviato gratuitamente il periodico "El Moncada".

Per diventare socio:
Puoi versare la somma di adesione sul Conto Corrente Postale Numero 11812617
intestato a: Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba circolo di Senigallia
Causale del Versamento: TESSERAMENTO 2022

Al ricevimento della somma sarà inviata, tramite posta, la tessera.
Sono necessari i seguenti dati:

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Tel./Cel.:
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Hasta la victoria siempre!
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lunedì 14 dicembre 2009

Dichiarazione 8 Dicembre 2009.


Pubblichiamo un documento sui "5" trasmessoci dall'Ambasciata di Cuba dopo la conclusione del processo di revisione, presso la Corte del Distretto di Miami, delle sentenze di condanna contro Antonio Guerrero, Fernando González e Ramón Labañino, disposto dall’Undicesimo Circuito della Corte d’Appello di Atlanta.
La sentenza di condanna in primo grado contro Fernando González (19 anni) é stata ridotta a 17 anni e 9 mesi di carcere, mentre quella di Ramón Labañino (1 ergastolo piú 18 anni), é stata ridotta a 30 anni di carcere.
L’udienza per la revisione della sentenza contro Antonio Guerrero ha avuto luogo lo scorso 13 ottobre. La sentenza di condanna (1 ergastolo piú 10 anni) é stata ridotta a 21 anni e dieci mesi di carcere e a 5 anni di libertá vigilata.
Le sentenze di condanna per Gerardo Hernández (2 ergastoli piú 15 anni) e per René González (15 anni) sono state confermate dalla Corte d’Appello e di conseguenza escluse da questo processo.
Quella di seguito riportata, é la dichiarazione dell’8 dicembre del 2009 firmata da Antonio Guerrero, Fernando González e Ramón Labañino

“Cari fratelli e sorelle di Cuba e del mondo:
Abbiamo giá scontato oltre 11 anni di carcere senza che sia stata fatta giustizia in nessuno dei gradi di giudizio del sistena giudiziario staunitense.
Tre di noi sono stati trasferiti a Miami per la revisione delle sentenze in adempimento di quanto ordinato dall’Undicesimo Circuito della Corte d’Appello di Atlanta, che aveva stabilito che le sentenze di condanna erano state erroneamente imposte.
Nostro fratelllo Gerardo Hernández, che sta scontando due ergastoli piú 15 anni di carcere, é stato arbitrariamente escluso da questo processo di revisione. La sua situazione continua a rappresentare la principale ingiustizia del nostro caso. Il Governo degli Stati Uniti conosce la falsitá delle accuse contro di lui e quanto ingiusta sia la sua condanna.
Questo é stato un processo compesso, molto dibattuto in ogni dettaglio, nel quale abbiamo partecipato insieme ai nostri avvocati. Non abbiamo ceduto di una virgola rispetto ai nostri principi, al nostro decoro ed onore, proclamando sempre la nostra innocenza e la dignitá della nostra patria.
Come nel momento del nostro arresto, ed in altre occasione durante questi lunghi anni, anche ora abbiamo ricevuto proposte di collaborazione dal governo degli Stati Uniti in cambio dell’ottenimento di sentenze piú benevole. Una volta ancora abbiamo respinto tali proposte, che rappresentanto qualcosa che non accetteremo in nessun caso.
Nel risultato di queste udienze del processo di revisione, é presente il lavoro del gruppo di legali e l’indistruttubile solidarietá di tutti voi.
Il fatto significativo é che per la prima volta in questi 11 anni il governo degli Stati Uniti si é visto obbligato a riconoscere che non abbiamo provocato danno alcuno alla loro sicurezza nazionale.
La Procura ha riconosciuto pubblicamente, anche questo per la prima volta, l’esistenza di un forte movimento internazionale a sostegno della nostra immediata liberazione che danneggia l’immagine del sistema giudiziario degli Stati Uniti presso la comunitá internazionale.
Una volta ancora é stato confermato il carattetre assolutamente politico di questo processo.
Puniscono a noi Cinque in base ad accuse che non sono state mai provate. Anche se tre delle condanne sono state parzialmente ridotte, l’ingiustizia é verso tutti confermata.
I terroristi cubano-americani continuano a godere di totale impunitá.
Reiteriamo: Noi Cinque siamo innocenti!
Siamo profondamente commossi e grati per la permanente solidarietá che si viene offerta, cosí decisiva in questa lunga battaglia per la giustizia.
Insieme a voi continueremo a lottare fino alla vittoria finale, che sará conquistata soltanto con il ritorno in Patria dei Cinque.

Antonio Guerrereo Rodríguez
Fernando González Llort
Ramón Labañino Salazar

Miami, 8 dicembre 2009


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sabato 12 dicembre 2009

Fidel: "Obama non era obbligato a un atto cinico".


Nei paragrafi finali di una Riflessione intitolata “Le campane rintoccano per il dollaro”, elaborata due mesi fa, il 9 ottobre del 2009, mi riferivo al problema del cambio climatico a cui il capitalismo imperialista ha condotto l’umanità.
Gli Stati Uniti, avevo detto riferendomi alle emissioni di carbonio, non stanno facendo alcuno sforzo reale, stanno solo accettando il 4% di riduzione rispetto al 1990. In quel momento gli scienziati esigevano un minimo che fluttuava tra il 15% e il40%, per il 2020.
Subito dopo avevo aggiunto: “Nella mattina di oggi, venerdì 9, il mondo si è svegliato con la notizia che l’Obama buono dell’enigma spiegato dal Presidente Bolivariano Hugo Chávez nelle Nazioni Unite, ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace. Non sempre condivido le posizioni di questa istituzione, ma mi vedo obbligato a riconoscere che in questi istanti è stata, a mio criterio, una misura positiva. Compensa il colpo sofferto da Obama a Copenaghen, quando è stata Río de Janeiro la designata come sede per le Olimpiadi del 2016, fatto che ha provocato irosi attacchi dei suoi avversari dell’estrema destra.
Molti penseranno che non si è ancora guadagnato il diritto di ricevere questa distinzione. Desideriamo vedere in questa decisione più che un premio al Presidente degli Stati Uniti, una critica alla politica genocida che hanno seguito non pochi presidenti di questo paese e che hanno condotto il mondo a questo crocevia in cui si trova oggi; un’esortazione alla pace e alla ricerca di soluzioni che conducano alla sopravvivenza della specie..
Era ovvia l’osservazione accurata del presidente negro, eletto in un paese razzista che soffre una profonda crisi economica, senza giudicarlo per alcuna delle sue dichiarazioni fatte nella campagna elettorale e nelll sue condizioni di capo dell’esecutivo yankee.
Quasi un mese dopo, in un’altra Riflessione intitolata “Una storia di fantascienza”, ho scritto quanto segue: “Il popolo nordamericano non è colpevole, ma vittima di un sistema insostenibile, e quel che è peggio, già incompatibile con la vita dell’umanità”.
L’Obama intelligente e ribelle che ha sofferto l’umiliazione del razzismo durante l’infanzia e la gioventù, lo comprende, ma l’Obama educato e impegnato con il sistema e con i metodi che lo hanno condotto alla presidenza degli Stati Uniti non può resistere alla tentazione di fare pressioni, minacciare ed anche ingannare gli altri.
Immediatamente ho aggiunto: “Il suo lavoro è ossessionante. Forse nessun altro presidente degli Stati Uniti sarebbe capace d’impegnarsi con un programma così intenso come quello che si propone di svolgere nei prossimi otto giorni”.
Ho analizzato, come si osserva in quella Riflessione, la complessità e le contraddizioni del suo percorso nel sudest asiatico e chiedo:
“Che cosa pensa di abbordare il nostro illustre amico in questo intenso viaggio? I suoi assessori avevano dichiarato che avrebbe parlato di tutto con la Cina, la Russia, il Giappone, la Corea del sud, etc. etc.
È già evidente che Obama preparava il terreno per il discorso pronunciato a West Point il 1º dicembre del 2009. In questa giornata si è impegnato a fondo. Ha elaborato e ordinato accuratamente 169 frasi destinate a toccare ognuno dei tasti che gli interessano, per ottenere dalla società nordamericana il suo appoggio in una strategia di guerra.
Ha adottato pose che farebbero impallidire le Catilinarie di Cicerone.
Quel giorno ho avuto l’impressione di ascoltare George W. Bush; i suoi argomenti non si differenziavano dalla filosofia del suo predecessore, eccetto in un piccolo particolare: Obama si oppone alla tortura.
Il capo principale dell’organizzazione a cui si attribuisce l’azione terroristica dell’11 settembre era stato reclutato ed addestrato dall’Agenzia Centrale d’Intelligenza per combattere le truppe sovietiche e non era nemmeno afgano.
Le opinioni di Cuba condannando quell’azione ed altre misure addizionali sono state proclamate nella stessa giornata. Inoltre abbiamo avvisato che la guerra non è il cammino per lottare contro il terrorismo.
L’organizzazione del Talibano, che significa studente, è sorta dalle forze afgane che lottavano contro la URSS e non erano nemiche degli Stati Uniti.
Un’onesta analisi condurrebbe alla vera storia dei fatti che hanno originato questa guerra.
Oggi non sono i soldati sovietici, ma le truppe degli Stati Uniti e della NATO che a sangue e fuoco occupano questo paese.
La politica che si offre al popolo degli Stati Uniti da parte della nuova amministrazione è la stessa di Bush, che ha ordinato l’invasione dell’Iraq, che non aveva nulla a che spartire con l’attacco alle Torri Gemelle.
Il presidente degli Stati Uniti non dice una parola delle centinaia di migliaia di persone, includendo bambini ed anziani innocenti, che sono morte in Iraq ed in Afganistan e dei milioni di iracheni che soffrono le conseguenze della guerra senza responsabilità alcuna dei fatti accaduti a New York.
La frase con cui ha concluso il suo discorso “Dio benedica gli Stati Uniti”, più che un desiderio, pareva un ordine per il cielo.
Perchè Obama ha accettato il Premio Nobel per la Pace quando aveva già deciso di continuare la guerra in Afganistan sino alle sue ultime conseguenze? Non era obbligato a compiere un atto cinico.
Aveva annunciato che avrebbe ricevuto il Premio il giorno 11 nella capitale della Norvegia, per poi andare a Copenaghen il 18.
Ora dobbiamo aspettarci un altro discorso teatrale ad Oslo, un nuovo compendio di frasi che nascondono l’esistenza reale di una superpotenza imperiale con centinai di basi sparse per il mondo, decenni d’interventi militari nel nostro emisfero e più di una secolo di azioni di genocidio in paesi come Vietnam, Laos e altri dell’Asia, Africa, Medio Oriente, Balcani e qualsiasi parte del mondo.
Adesso il problema di Obama e dei suoi alleati più ricchi è che il pianeta che dominano con un pugno di ferro gli si sta disfacendo tra le mani.
È ben noto il crimine commesso da Bush contro l’umanità, ignorando il Protocollo di Kioto, e non facendo per 10 anni quello che doveva fare molto tempo prima.
Obama non è ignorante e conosce, come lo conosce Gore, il grave pericolo che minaccia tutti, ma vacilla e si mostra debole di fronte all’oligarchia irresponsabile e cieca di questo paese. Non agisce come Lincoln per risolvere il problema della schiavitù e mantenere l’integrità della nazione nel 1861, o come un Roosevelt, di fronte al crisi economica e al fascismo.
Martedì ha lanciato una timida pietra nelle turbolente acque dell’ opinione internazionale.
L’amministratrice della EPS – l’Agenzia di Protezione Ambientale - Lisa Jackson, ha dichiarato che le minacce per la salute pubblica ed il benessere del popolo degli Stati Uniti derivano dal riscaldamento globale e permettono ad Obama di prendere misure senza contare sul Congresso.
Nessuna delle guerre combattute nella storia ha mai significato un pericolo maggiore.
Le nazioni più ricche cercano di gettare sulle più povere il peso dell’incarico di salvare la specie umana. Si deve esigere il massimo sacrificio ai più ricchi. Il massimo della razionalità per l’uso delle risorse ed il massimo di giustizia per la specie umana.
È probabile che a Copenaghen tutto quello che si otterrà sarà un minimo di tempo per realizzare un accordo vincolante che serva realmente per cercare soluzioni. Se lo si otterrà, questa Conferenza Vertice offrirà almeno un modesto passo avanti.
Vediamo cosa succede!
Fidel Castro Ruz – 9 Dicembre del 2009
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lunedì 7 dicembre 2009

"Cyberwar a Cuba" di Gianni Minà.


Il ruolo di Yoani Sanchez, la «bloguera» cubana che l'informazione occidentale ha scelto come testimonial dell'anticastrismo militante, in una guerra informatica che più che il nuovo Obama ricorda il vecchio Rumsfeld.
L'annuncio dell'accordo degli Stati uniti con la Cina, che rinvia la riduzione delle emissioni di biossido di carbonio da parte delle due più grandi nazioni inquinatrici dell'atmosfera, non ha molto preoccupato la grande informazione occidentale, e nemmeno la constatazione, dopo il vertice Fao, che i milioni di morti per fame aumenteranno a breve per l'egoismo e la cinica noncuranza delle cosiddette «nazioni forti». Quello che ha veramente impressionato l'ipocrita informazione del mondo che conta, specie in Italia e in Spagna, è stata la notizia che alla bloguera anticastrista Yoani Sanchez è stato vietato un viaggio negli Stati uniti per prendere il consueto premio che, ormai sistematicamente, le viene assegnato dal bizzarro mercato della cultura occidentale per l'unico merito palese di possedere un blog a Cuba, assistito però da un server poderoso in azione dalla Germania, registrato come «Strato» dal munifico mecenate Josef Biechele, che ospita il blog Generazione Y e ha un'ampiezza di banda 60 volte superiore a quelli che forniscono la rete a tutta l'isola.
La preoccupazione, anzi, ha raggiunto il livello d'allarme quando la bloguera, sponsorizzata dal gruppo editoriale Prisa, padrone del quotidiano spagnolo El Pais e che controlla più di mille emittenti nel mondo con trenta milioni di ascoltatori, ha denunciato un'aggressione e un sequestro di venti minuti, subito in un paese, Cuba, dove questo tipo di pratica squadristica non è mai esistita, mentre invece fa parte delle abitudini e delle usanze dei famigerati anticastristi di Miami, molti dei quali terroristi accertati e disgraziatamente attivi, talvolta anche all'interno dell'isola. Per proteggere questi figuri, Bush Jr (è importante ricordarlo) è arrivato addirittura a violare le leggi antiterrorismo da lui stesso varate dopo gli attentati dell'11 settembre 2001.
Quali sono le colpe di Cuba? Forse proprio il ruolo che la terra della Revolucion ha giocato con la sua storia nel rinascimento in atto in molti paesi dell'America latina. Il travaglio per chi Cuba proprio non la sopporta, a causa di questo ruolo, è cominciato in primavera quando sono usciti i due bellissimi film di Soderbergh su Che Guevara nella rivoluzione e nell'epopea in Bolivia, opere di grande onestà intellettuale. In quei giorni a Trinidad, dopo che il presidente venezuelano Chavez aveva donato a Obama il libro di Eduardo Galeano Le vene aperte dell'America latina « per capire il continente», le nazioni di quell'area del mondo hanno chiesto all'unanimità il reintegro di Cuba nel l'Organizzazione degli stati americani (Oea) da cui la più estesa isola dei Caraibi è stata espulsa mezzo secolo fa per volere degli Usa.
Successivamente, con la forza dirompente di certe immagini della comunicazione moderna, in settembre era arrivato il concerto degli artisti latinoamericani, guidati dal colombiano Juanes e da Miguel Bosè a Plaza de la Revolucion, con oltre un milione di spettatori. Un evento visto in tutto il mondo grazie a YouTube, svoltosi con una palese serenità che, secondo molti, Cuba non avrebbe potuto permettersi perché poteva essere rischioso dal punto di vista politico.
Ma la botta più contundente, ignorata dai grandi media, è arrivata il 28 ottobre quando 187 nazioni hanno condannato per la diciottesima volta l'embargo Usa contro Cuba, con tre soli voti contrari (Stati uniti, Israele e Palau, un arcipelago del Pacifico occidentale, già colonia spagnola, poi venduta alla Germania e ora una specie di protettorato degli Stati Uniti, rappresentato all'Onu da Stuart Beck, avvocato di Long Island e cittadino israeliano). Tutto questo mentre in molti paesi si moltiplicano gli appelli perché Obama liberi i cinque agenti dell'intelligence cubana da 11 anni in carcere per aver smascherato il terrorismo che dalla Florida e dal New Jersey è stato organizzato per anni contro Cuba, causando migliaia di vittime.
Ce n'era evidentemente abbastanza perché i funzionari che nel Dipartimento di Stato si occupano dell'America latina e le agenzie come il Ned e l'Usaid, che disegnano l'immagine della politica degli Usa nel mondo e ne influenzano il consenso, sentissero l'esigenza di intervenire per destabilizzare o ridimensionare questo clima favorevole per l'unica nazione al mondo con la quale i governi di Washington non siano riusciti, in mezzo secolo, a stabilire uno straccio di rapporto civile, umano, come è avvenuto perfino con Vietnam, Cambogia, Corea del Nord e Cina.
Ma chi ha deciso la linea non ha saputo sfuggire alla tentazione, malgrado i buoni propositi espressi a Trinidad da Barack Obama, di farlo rimettendo in piedi una sorta di «strategia della tensione», per la quale Bush jr in due mandati ha dilapidato inutilmente milioni di dollari che, nell'ultimo anno, hanno perfino costretto il nuovo presidente a un'indagine amministrativa. L'indagine ha chiarito come gli stanziamenti siano stati rubati dalle presunte organizzazioni per la democrazia a Cuba o siano stati usati per «ungere» chi poteva creare malessere nella società dell'isola, certo non ancora libera da contraddizioni.
Così, anche se Obama aveva recentemente affermato che «l'impatto della presenza di migliaia di medici cubani in America latina e nel sud del mondo era stato più efficace di qualunque politica portata avanti in questi anni dai governi di Washington», si è deciso di tornare ai vecchi metodi, anche se più tecnologici. Nel caso di Yoani Sanchez una strategia basata sul web come arma di offesa e terreno di vera applicazione dell'embargo, un disegno di cyberwar, di guerra informatica, evidentemente non ancora cancellato da Obama, messo in piedi fin dal 2003, con un documento segreto, da Donald Rumsfeld, ex segretario alla difesa del governo Bush e che, come rivelò il generale Robert J. Elder, del comando cyberspaziale, mira «a trattare internet come un campo di battaglia, che avrà priorità per azioni nel cyberspazio». Come? Lo ha spiegato Usa Today nel 2008: «Il Pentagono sta creando una rete mondiale di siti web informativi, in lingue straniere (compreso un sito in arabo per gli iracheni) affidati a giornalisti locali di paesi definiti "canaglia" per scrivere storie di attualità e altri contenuti che promuovano gli interessi degli Stati uniti e messaggi di controinsurgenza».
Un quadro che sembra la fotografia del mondo della bloguera di moda, che non parla tanto ai cubani ma ad un uditorio che è fuori dall'isola, bombardato da un discorso di pregiudizio verso Cuba teso a neutralizzare nell'opinione pubblica occidentale il favore del quale l'isola gode in questo momento, innanzitutto nel continente a sud del Texas.
Così la bloguera fa il suo lavoro deplorando il disagio del suo paese ma ignorandone le conquiste, perfino il merito di saper reagire, per esempio, a tre uragani letali mentre negli Stati uniti si è fatta morire New Orleans. L'altro giorno, addirittura, ha scritto affranta perché a Cuba la gente si ripara dagli acquazzoni con le borse di nylon e rischia sempre di impantanarsi nei tombini che esplodono d'acqua. Ha ragione, ad Haiti, in tutto il centro America o nelle bidonville di Messico o Colombia, paesi dove è stato imposto il sognato neoliberismo, la gente ha in dotazione impermeabili all'ultima moda, alcuni hanno perfino trench all'inglese e, per quanto riguarda le pozzanghere, dispiace che la Sanchez non possa confrontarsi con le buche piene d'acqua dei rioni bene di Roma come Montemario e i Parioli, tralasciando gli allagamenti di barrios marginales come Tor Bella Monaca, Torre Angela o Torre Gaia.
Insomma, anche se L'Avana, come tutte le città del mondo, non è priva di cretini, perché dovremmo credere che qualcuno stia tramando per togliere la parola a chi fa conoscere al mondo realtà così tragiche e accuse così serie? Semmai c'è da prendere atto che, come per l'Honduras, qualche testa d'uovo del Dipartimento di Stato non ha cambiato mentalità rispetto alla stagione di Bush jr e sta spingendo Obama a usare con Cuba, gli stessi metodi, cioè a ripetere gli errori fatti da dieci presidenti prima di lui. Causando, come Yoani dimentica, angustie, disagi, dolori, ma non ottenendo alcun risultato apprezzabile.


da 'il manifesto' del 06/12/09. Leggi tutto...