domenica 25 aprile 2010

Dalla Resistenza alla Revolucìon.


In occasione della 2^ Festa Nazionale dell'ANPI che si svolgerà dal 24 al 27 Giugno 2010 ad Ancona nei locali della Mole Vanvitelliana il Circolo Italia-Cuba di Senigallia renderà omaggio a Gino. Leggi tutto...

Cosa c'è dietro la nuova campagna contro Cuba - di Gianni Minà


Questo articolo è stato pubblicato il 22 aprile 2010 su Il Fatto Quotidiano

Caro Direttore,

approfitto della tua disponibilità a ospitare voci fuori dal coro per riflettere su un tema, Cuba, che mi appassiona e che conosco in profondità. Da dieci anni, infatti, dirigo la rivista Latinoamerica (www.giannimina-latinoamerica.it), con l'aiuto di scrittori, poeti e premi Nobel di una parte di mondo che sta cambiando pelle e che per questo in Europa è spesso raccontata con pregiudizio.

Il Corriere della Sera, ad esempio, per tre volte in due settimane, con le firme di Pierluigi Battista, Elisabetta Rosaspina e Angelo Panebianco, si duole che la campagna scatenata recentemente contro Cuba dopo la morte del detenuto Orlando Zapata in seguito ad uno sciopero della fame, non abbia suscitato un coinvolgimento dell’opinione pubblica italiana, e in pratica chiede sanzioni. L'accanimento del Corriere della Sera è singolare, specie considerando che il giornale più diffuso d'Italia ignori, nello stesso tempo, notizie inquietanti sull’America latina (la mattanza di giornalisti in Messico con 15 morti quest'anno e 12 l'anno precedente, o il ritrovamento in Colombia della più grande fossa comune del Sudamerica con duemila vittime) mentre non da requie a Cuba. E’ iniziata evidentemente una campagna alla quale non si sottrae nessuno e che a volte sfiora il grottesco.

Wired, per esempio, è una rivista patinata delle edizioni Condé Nast, interessata ai nuovi media e alle nuove tecnologie. Nell’ultimo numero dell’edizione italiana ci sono una dozzina di pagine su Yoani Sanchez, bloguera di moda per la quale si è speso con un appello anche Il Fatto Quotidiano.

Lanciata dal gruppo Prisa, quello di El Pais, Yoani trasmette dall’Avana aiutata da un server tedesco (di proprietà del magnate Josef Biechele) con un’ampiezza di banda 60 volte più grande di qualunque altra utilizzata a Cuba. Su Wired Yoani viene fotografata e raccontata come un’improbabile modella in fuga dai cattivoni del governo, che non le danno il visto per andare a ritirare tutti i premi che le vengono assegnati in mezzo mondo da organizzazioni ostili alla Rivoluzione. La povera bloguera è costretta a dare appuntamenti ai giornalisti occidentali alle dieci del mattino al Parque Central.

E sarebbe anche credibile, salvo che Salim Lamrani, ricercatore e docente all’Università Paris Descartes, l'ha incontrata tranquillamente, e per ore, nella hall dell’Hotel Plaza, per una intervista che pubblicheremo nel prossimo numero di Latinoamerica e nella quale, ora, Yoani sostiene di non riconoscersi, anche se le sue risposte sono state registrate con un moderno I-phone.
http://www.5av.it/le-storie-quotidiane/90-cuba-dossier/1777-salim-lamrani-contro-yoani-sanchez.html


Dettagli sorprendenti, ma non troppo: tra i fondatori e i collaboratori di punta di Wired c’è Nicholas Negroponte, docente universitario e collaboratore del dipartimento della Difesa degli Stati Uniti quando internet era solo un progetto militare. Nicholas è fratello del mitico John, negli anni '80 stratega della “guerra sporca” contro i sandinisti in Nicaragua e più tardi presenza inquietante in Iraq, dove fu ambasciatore nei giorni dell’uccisione, da parte del marines Lozano, di Nicola Calipari, l'agente dei servizi italiani che aveva appena salvato la giornalista del manifesto Giuliana Sgrena.

Gli articoli e le iniziative contro Cuba, d’altronde, celano sempre sorprese. Fa senso, ad esempio, scoprire in rete le immagini della manifestazione che, a Miami, ha aperto la nuova campagna di discredito cominciata il giorno dopo la morte di Orlando Zapata, detenuto da anni in carcere per reati comuni e negli ultimi tempi molto vicino alle Damas en blanco, movimento di dissidenza sovvenzionato - è stato appurato in un processo in Florida - dal terrorista Santiago Alvarez.

Fa senso perchè nel corteo guidato da Gloria Estefan, cantante di successo, figlia di un ex guardiaspalle della famiglia di Fulgencio Batista, il dittatore abbattuto dalla rivoluzione cubana, marciava anche un altro terrorista, il venezuelano Luis Posada Carriles, responsabile, fra i tanti delitti, dell’abbattimento dell’aereo della Cubana de Aviacion che nel 1976 provocò 73 vittime. Posada Carriles fu anche indicato fra i mandanti dell'omicidio dell’ex ministro degli Esteri di Allende, Orlando Letellier, assassinato a Washington nel 1976, e della campagna di attentati messa in atto a Cuba nel 1997 (tra le vittime, il giovane italiano Fabio Di Celmo). Questo Bin Laden latinoamericano, coperto dalla Cia, circola libero in Florida e chiede “libertà e democrazia” per Cuba.

Io non so se il ministro Frattini, che dopo il caso Zapata ha tuonato contro Cuba, conosce queste storie. Ma so che non è credibile il ministro degli Esteri di un paese che si proclama democratico, ma esalta la bontà di un embargo assurdo, decretato per la sola colpa di aver scelto un destino sgradito agli Usa, un embargo che soffoca il popolo cubano da cinquant’anni ed è stato condannato dall’Assemblea dell’Onu diciotto volte di seguito, anche con il voto dell’Italia.

Frattini sa che, dopo i 140 milioni di dollari stanziati da Bush nel 2008 per “cambiare faccia a Cuba”, anche Obama nel 2009, malgrado la crisi economica, ha stanziato 55 milioni per la stessa incombenza. A cosa pensa che servano questi soldi, il pacifico Frattini? A rasserenare un paese o a montare, in quella società già ferita dal terrorismo che viene dalla Florida, una strategia della tensione? Ma il nostro ministro si duole invece del fatto che l'Italia non si mobiliti contro la Revolución, ignorando il testimone che tutti i media italiani si passano sull’argomento da settimane. Perfino Aldo Forbice, che blocca la parola in bocca a chiunque dissenta dalle sue tesi, chiede firme contro Cuba su Radio Rai, con la complicità dei radicali. In alcuni casi aderiscono anche media progressisti in politica interna ma molto attenti, in politica estera, a non turbare la linea del segretario di stato Hillary Clinton, desiderosa di recuperare la presa sul continente a sud del Texas persa nella stagione di Bush Jr..

La maggior parte dei “dissidenti” incarcerati nel 2003, quando il governo Bush tentò la spallata contro Cuba favorendo tre dirottamenti aerei e il sequestro del ferry boat di Regla carico di turisti, sono stati condannati per aver preso, non si sa per quali servigi, soldi dal governo di Washington, elargiti dall’Ufficio di interesse degli Stati Uniti all’Avana. A parti invertite, negli Usa ciò procurerebbe processi per alto tradimento. Ma nelle cronache italiane si parla invece di giornalisti incarcerati per presunti reati di opinione, eludendo il dettaglio che molti sono stati ingaggiati e retribuiti dal paese che tiene Cuba sotto embargo da mezzo secolo.

Senza contare che questi mercenari nuocciono enormemente ai dissidenti sinceri e a voci coraggiose come quelle di Ambrosio Fornet, Soledad Cruz, Senel Paz, Leonardo Padura, che abbiamo pubblicato su Latinoamerica e che, dentro la Rivoluzione, criticano e si battono per le riforme, perché il governo si liberi dalla sindrome dell’assedio che spesso l’attanaglia e rallenta l’evoluzione della società cubana.

Insomma, in questi ultimi mesi nell’Isola non è cambiato nulla che giustifichi questo nuovo assedio politico. Non essendo arrivate le aperture di Obama (che invece, recentemente, si è incontrato con i duri della Fondazione Cubano-americana) a torto o a ragione Raul Castro ha rinviato a sua volta le riforme. Ma fin dal summit delle Americhe, a Trinidad, gli Usa hanno capito che l’atteggiamento della maggior parte dei paesi del continente era cambiato. E al successivo vertice dell’OSA, Hilary Clinton ha dovuto acconsentire al reintegro, senza condizioni, di Cuba, dopo che gli stessi Stati Uniti, cinquant’anni fa, ne avevano chiesto l’esclusione.

Questo cambio di vento politico in America latina è stato attribuito all’influenza dell’Isola, e non a torto. Così si è tornati ai vecchi metodi, resuscitando contro la Revolución l'argomento dei diritti umani già montato 25 anni fa da Reagan. Non era questo che ci si aspettava da Obama.
Questo è l'inizio del post.
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sabato 17 aprile 2010

L'ora di Cuba.

Cari compagni,
a proposito delle polemiche che in questi ultimi mesi hanno coinvolto Cuba ed il suo Governo, il Circolo di Senigallia, con una lettera inviata al Direttivo Nazionale dell’Associazione (che potrete leggere su un post pubblicato nel nostro sito il 27 febbraio scorso) ha preso una posizione chiara.
Per ribadire le nostre preoccupazioni pubblichiamo l’articolo uscito ieri sul quotidiano ‘il manifesto’ firmato dallo scrittore cubano Guillermo Rodríguez Rivera che, a nostro avviso, interpreta nel migliore dei modi la situazione che sta vivendo Cuba ed il grave pericolo che incombe sul suo futuro “…da una parte i contro-rivoluzionari, che la rivoluzione non vogliono rifondarla ma cancellarla … Dall'altra parte, una burocrazia impaurita o soddisfatta che non vuole il benché minimo cambiamento perché tutto continui uguale e, se alla fine fossero loro stessi a distruggere la rivoluzione, per poter divenire «la nuova classe» dominante e borghese, come è già accaduto in altre parti”.

Hasta la victoria siempre!

di Guillermo Rodríguez Rivera - 'il Manifesto' del 15/04/10.
Il trovador Silvio Rodríguez dà note e versi alla sua protesta: cambi ineludibili ma dentro la rivoluzione
Nel suo ultimo disco, il grande trovador cubano Silvio Rodríguez, ha chiamato a quello che definisce un Secondo appuntamento (Segunda cita) Il precedente era stato l'appuntamento «con gli angeli». A esso risposero alcuni degli angeli visibili tra noi esseri umani: Giordano Bruno, l'eretico condannato per liberare la mente degli uomini contro la menzogna; Federico García Lorca, il poeta assassinato dal fascismo e dai pregiudizi; José Martí, caduto lottando a fianco dei «poveri della terra»; le centinaia di migliaia di morti di Hiroshima, quando una superpotenza volle chiarire qual era il paese poderoso a cui tutti gli altri dovevano inchinarsi; l'odio razzista che assassina quelli che chiedono giustizia ed uguaglianza, come Luther King; il fanatismo che diventa terrorismo come nei due terribili 11 settembre: quello della morte di Allende, che volle migliorare con mezzi pacifici la vita dei cileni, e quello del criminale abbattimento delle torri gemelle newyorkesi.
In questo Secondo appuntamento, credo che Silvio convochi e unisca tutti noi cubani che abbiamo discusso sul richiamo del presidente Raúl Castro sulle possibili soluzioni ai gravi problemi che il popolo soffre e conosce. Un nuovo appuntamento con la storia, che vuole ripercuotersi sulla vita quotidiana, sulla vita reale dei cubani.
Tutto sembra indicare che è ritornato il Silvio che volle «lasciare la casa e la poltrona» nei tempi eroici del Che o che affrontò i burocrati della cultura in «Devo dividermi in due». Ma sono cambiati i tempi e le circostanze. Per di più, il disco esce nel mezzo di una feroce campagna mediatica scatenata contro la rivoluzione cubana subito dopo la morte per sciopero della fame, del detenuto Orlando Zapata Tamayo.
Il disco esce in un mare molto agitato per via del confronto tra la Cuba rivoluzionaria e i suoi nemici, e in questo mare agitato vogliono pescare i nemici permanenti delle idee che la Nueva Trova cubana ha sempre difeso, e vorrebbero prendere all'amo sia Pablo Milanés che Silvio Rodríguez.
L'esiliato Hernández Busto, che ha chiesto l'intervento militare Usa a Cuba, ha detto che solo il suo prestigio evita a Pablo di essere arrestato, guardandosi bene però da ricordare le parole di Pablo sulla Cuba che desidera: «Con i Castro, ma con cambiamenti».
La stampa spagnola nasconde o minimizza il pensiero dei due trovadores e batte sul diffuso desiderio di cambi essenziali nel paese, che ovviamente essi condividono, manipolando le loro vere posizioni e presentandoli come se fossero passati dall'altra parte.
Silvio ha sottolineato l'incapacità delle recensioni uscite all'estero di capire e e valutare le idee lui ha voluto mettere in gioco. Il disco è uscito in Argentina e Spagna, ma lui sostiene che è profondamente legato alla nostra realtà cubana e i suoi recensori stranieri non conoscono abbastanza Cuba per capire ciò che Secondo appuntamento dice.
Un esempio: il quotidiano spagnolo El País, enfatizza questi versi della canzone che dà il titolo al disco. I versi che dicono: «Quisiera ir al punto naciente/ de aquella ofensiva/ que hundió con un cuño impotente/ toda iniciativa» (vorrei andare al punto nascente/ di quella offensiva/ che ha affondato con un conio impotente/ qualsiasi inizitiva). Per loro la «offensiva» di cui parla è la rivoluzione stessa.
Ma noi che abbiamo vissuto i tremendi anni della rivoluzione e sappiamo come la pensa Silvio, capiamo benissimo che non allude alla rivoluzione del '59, ma alla «offensiva» del marzo del '68 che cancellò qualsiasi attività economica non statale, le imprese medie e piccole e perfino il semplice lavoro individuale privato, e introdusse mali che non conoscevamo dopo 7 anni di socialismo e che da cui non siamo più riusciti a liberarci da allora. Ovvero la mentalità di aspettarci tutto dallo Stato, perché lo Stato era tutto e qualsiasi iniziativa al di fuori di esso era illegale. E' a partire da lì che «affondò ogni iniziativa» e compave la passività propria della «mentalità del piccione»; che cominciò quella «deviazione delle risorse» (un eufemismo), che ha generato l'inevitabile abitudine di procurarsi le cose nell'unico posto in cui c'erano: nei forniti e incontrollati magazzini statali; che alla fine si arrivò al punto, sebbene l'economia non ne avesse bisogno e anzi ne risentisse, per cui lo Stato dovette dare un'occupazione a tutti coloro che aveva lasciato senza i mezzi per vivere, col risultato di produrre di meno e spendere di più.
Affrontare questi vecchi errori, è il senso di ciò che Silvio chiama «rifondare la rivoluzione» o «tornare a fare il viaggio verso i semi di José Martí». Riconoscere dove ci siamo sbagliati e darci un Secondo appuntamento con la storia per ottenere ciò che abbiamo perso per strada: dall'autentico sviluppo della rivoluzione, fino «al passato di una certa ragazza che camminava di notte per il Vedado, leggera e ubriaca».
Questa è la prospettiva del Secondo appuntamento, che si trova ad affrontare molti e diversi nemici. Da una parte i contro-rivoluzionari, che la rivoluzione non vogliono rifondarla ma cancellarla e che farebbero carte false per avere al loro fianco Pablo Milanés e Silvio Rodríguez. Dall'altra parte, una burocrazia impaurita o soddisfatta che non vuole il benché minimo cambiamento perché tutto continui uguale e, se alla fine fossero loro stessi a distruggere la rivoluzione, per poter divenire «la nuova classe» dominante e borghese, come è già accaduto in altre parti.
Non so se Silvio sarà d'accordo con me, ma Secondo appuntamento è un manifesto, un appello a cui noi cubani dobbiamo rispondere: quello di un cambiamento rivoluzionario.
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