lunedì 31 maggio 2010

dalle ore 11 a ROMA, V.le del Policlinico 131.


da FULVIO GRIMALDI riceviamo e pubblichiamo quanto segue:

Cari amici e compagni, il dado è tratto. Ho ascoltato il suggerimento della maggioranza di voi, che consiglia l'incatenamento piuttosto che lo sciopero della fame, per ora, e mi troverò in catene sotto Liberazione, Viale del Policlinico 131, Roma, il 31 maggio dalle ore 11.00. Chi vorrà venirmi a trovare è grandemente il benvenuto. Qui in calce c'è la lettera che ho mandato ai direttori e alle agenzie che hanno firmato l'appello della FNSI contro la legge-bavaglio. Vi aspetto!

AI DIRETTORI DEI GIORNALI E DELLE AGENZIE CHE HANNO FIRMATO L’APPELLO DELLA FEDERAZIONE NAZIONALE DELLA STAMPA CONTRO LA “LEGGE BAVAGLIO”

LIBERTA’ D’ESPRESSIONE: DAL 31 MAGGIO, ORE 11, IL GIORNALISTA FULVIO GRIMALDI SI INCATENA SOTTO LA SEDE DI “LIBERAZIONE” , ROMA, VIALE DEL POLICLINICO 131,


Cari Direttori,
siete impegnati in questi giorni contro la famigerata legge sulle intercettazioni, detta “legge-bavaglio”, che intende inibire ai mezzi d’informazione di svolgere il loro diritto di cronaca e che così pone un limite anticostituzionale alla libertà d’espressione e di stampa.
Vi potrà interessare, in questo contesto, che il quotidiano del PRC “Liberazione” ha anticipato nel 2003 questa legga liberticida e persiste tuttora nel medesimo atteggiamento, nonostante il conclamato cambio di linea politica successivo alla fine della segretaria Bertinotti.
Giornalista professionista dal 1970, nel maggio 2003, collaboratore a contratto dal 1999 di Liberazione con una rubrica fissa, “Mondocane” e con reportages sulle situazioni di conflitto in varie parti del mondo, venni licenziato su due piedi, con interruzione immediata del rapporto contrattuale, comunicatami unicamente con una telefonata dell’amministratore Belisario, per aver pubblicato un articolo su Cuba che risultava non gradito all’allora segretario Bertinotti. Alla mia richiesta di una comunicazione ufficiale scritta, con le motivazioni del provvedimento, non venne data risposta. Alle proteste di migliaia di lettori, iscritti e dirigenti del partito, la direzione del giornale e lo stesso Bertinotti risposero con giustificazioni assolutamente false: non mi sarei attenuto al tema ambientalista affidatomi. Un assurdo, alla luce di cinque anni di articoli che di tutto trattavano, oltreché di ambiente, dalla guerra nei Balcani, ai conflitti in Palestina e in Iraq.
Mi rivolsi alla magistratura del lavoro e ottenni che in primo grado il giornale venisse condannato a pagarmi le retribuzioni dovute e a risarcirmi il danno morale, di immagine, professionale ed economico, con 100.000 euro. In appello, con Bertinotti presidente della Camera, tale sentenza venne contro ogni consuetudine giurisprudenziale rovesciata nel suo contrario e “Liberazione” pretende ora il pagamento di quella somma, di cui non dispongo, e mi ha già fatto pervenire il precetto esecutivo, pena il pignoramento dei miei beni. Tutto questo porta al soffocamento di una voce che da oltre mezzo secolo ha potuto esprimersi liberamente su testate come la BBC, Paese Sera, Giorni Vie Nuove, Il manifesto, Nouvel Observateur, The Middle East, L’Espresso, La Repubblica, il Tg1 e il Tg3. In questi ultimi due telegiornali ricorderete forse che svolsi un lavoro, risultato assai popolare, di giornalista ambientalista e inviato di guerra.
Il PRC e “Liberazione” allora sostenevano la lotta in difesa dell’Art.18 e oggi sono impegnati in prima linea nella difesa della libertà di stampa e di espressione minacciati dal provvedimento legislativo attualmente in discussione in Parlamento. E’ paradossale che, su questo sfondo, il partito e il giornale insistano nell’imporre a un collega, di nulla colpevole, ma vittima di un inequivocabile abuso, una sentenza e un’ inaccettabile punizione finanziaria che concretizzano proprio quella censura che oggi si combatte. Dov’è la coerenza? Vi sarei grato per un’attenzione a questa vicenda nelle vostre pubblicazioni. Da lunedì 31 maggio, ore 11, intendo incatenarmi sotto la sede di Liberazione.
Fulvio Grimaldi
visionando@virgilio.it
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domenica 23 maggio 2010

10 mila pazienti curati con il farmaco cubano


CubaDebate.cu
Più di 10mila pazienti di dieci di paesi, compresa Cuba, sono stati curati con successo con il “Heberprot-P”, farmaco studiato e prodotto nell’Isola, lider mondiale del trattamento delle ulcere del piede diabetico.
Il Dottor Héctor Álvarez, direttore dell’ Instituto de Angiología y Cirugía Vascular, ha dichiarato che questo farmaco facilita la chiusura delle lesioni e permette la diminuzione di amputazioni nella maggioranza dei casi, salvando – così – arti che prima erano condannati alla mutilazione.
Tra i paesi che usano il Heberprot-P, sviluppato dal Centro de Ingeniería Genética y Biotecnología, figurano Venezuela, Argentina, México, República Dominicana, Serbia, Libia, Tunisia e Algeria.
In quest’ultimo il Dottor Álvarez ha annunciato che comincerà prossimamente un programma nazionale; un gruppo di esperti cubani partiranno per questo paese..
Del totale dei pazienti curati con successo da questo farmaco, circa 3mila sono cubani.
“Heberprot-P” è uno dei risultati scientifici rilevanti della Nazione nel 2009 nel campo della biotecnologia e prodotti farmaceutici, insieme a vaccini tetravalenti e pentavalenti, nuove formulazioni dell’interferone Alfa e Gamma, anticorpi monoclonali e altro.
A livello mondiale le lesioni del piede diabetico rappresentano un grave problema di salute e si calcola che nel 2025 saranno circa 300 milioni le persone malate di questa infermità cronica, che provoca un alto numero di decessi e una elevata percentuale di amputazioni. Leggi tutto...

sabato 15 maggio 2010

Brigata internazionale di lavoro volontario "José Martí " 2010.



Che cos’è la brigata internazionale di lavoro volontario
José Martí a Cuba?

È una vacanza? È volontariato? È un’attività di conoscenza? È un’esperienza di vita comunitaria?
È tutto questo, e molto altro.
Innanzitutto, è una brigata, cioè, molto semplicemente, è un gruppo di persone.
Una brigata è formata da persone di ogni tipo e ogni età, dagli adolescenti agli anziani, da persone che viaggiano a Cuba per la prima volta, a persone che la frequentano da anni, da persone che conoscono molto bene il panorama politico mondiale a persone che hanno appena iniziato ad accostarsi a temi come quelli che vengono sviluppati nel programma realizzato dall’ICAP (Instituto Cubano de Amistad con los Pueblos). È un’esperienza di vera condivisione, vera solidarietà, e vera conoscenza dell’organizzazione e del socialismo cubano.
Sono possibili prese di posizione discusse all’interno della brigata, sulla base di documenti politici, normalmente redatti dal capobrigata, aventi come obiettivo la solidarietà con Cuba e l’informazione corretta sulla sua situazione socioeconomica.

La brigata è internazionale.
Conta numerose delegazioni provenienti da vari Paesi d’Europa. L’ultima in particolare (luglio 2009) ha visto la partecipazione di 19 nazioni europee ed è stata contemporanea alla Brigata di Puerto Rico, per un totale di oltre 250 volontari oltre al personale dell’organizzazione ICAP.
Ciò significa che dalla colazione al lavoro (nei campi e/o negli edifici pubblici da ristrutturare come scuole, ospedali o altro), dai dibattiti, alle serate di svago, tutto è una girandola di lingue, idee, usi, lineamenti, racconti diversi.
La brigata è una brigata di lavoro.
Per quanto riguarda le giornate lavorative l’esperienza, è unica e forse indescrivibile, faticosa e appagante.
Seppur limitato, si tratta di un aiuto alle cooperative cubane simbolico ma concreto: il lavoro è lavoro vero e, per questo, lavoro che insegna.
Il lavoro della brigata è lavoro volontario.
Chi sceglie il lavoro volontario non fa una scelta a caso. Sceglie di usare il suo tempo e la sua energia per fare qualcosa di piccolo ma pur sempre prezioso, per se stesso e allo stesso tempo per qualcun altro.
In particolare partecipare ad una brigata a Cuba significa lavorare per un popolo costretto a condizioni difficilissime dal blocco economico imposto dagli USA ormai da 50 anni. E che, ciononostante, resta un popolo brillante, ribelle e giusto.
Il Campamento Julio Antonio Mella, che ospita orgogliosamente le brigate come questa, non offre solo la possibilità di passare un periodo in un posto meraviglioso e in maniera anticonvenzionale e interessantissima, ma dà anche la possibilità di sperimentare che si può vivere in modo diverso dal nostro, in cui spesso ci troviamo immersi nella ricchezza, nell’ipocrisia, nell’indolenza e nella carenza di valori e ideali.
La brigata permette di comprendere le difficoltà di un mondo diverso, lontano, vittima dell’ingiustizia, ma che è comunque capace di accogliere, comprendere a sua volta, e farti sentire importante.
La brigata è anche tanto divertimento.
I momenti di attività lavorative e informative (conferenze, documentari, incontri con autorità visite, etc.) si alternano a spazi dedicati allo svago: musica dal vivo, teatro, cinema, mare, escursioni, ballo, “fiesta” e chi più ne ha più ne metta.
La stanchezza degli impegni quotidiani non diminuisce la voglia di divertirsi e stare insieme.
Ovviamente ogni forma di sballo e droga è bandita.
PER INFO E CURIOSITA’:
promozionebrigata@libero.it
italiacuba.senig@gmail.com Leggi tutto...

giovedì 6 maggio 2010

Nuovo corrispondente da Cuba del quotidiano 'il manifesto'.


C'è il nostro uomo all'Avana: amici sempre, ciechi mai.
di Maurizio Matteuzzi

Con questo articolo, Roberto Livi comincia il suo lavoro di nostro corrispondente da Cuba.
Il compagno Roberto Livi cominciò la sua carriera giornalistica (e politica) molti anni fa al manifesto. Il fatto che adesso ritorni a scrivere per questo giornale dall'Avana ha un forte significato simbolico.
Noi siamo convinti, e l'abbiamo scritto più volte su questo giornale, che non ci sarebbe mai stata la rinascita - che qualcuno arriva a chiamare rinascimento - dell'America latina di questo primo decennio del secolo XXI se non ci fosse stata, in tutta la seconda metà del '900, la Cuba rivoluzionaria e castrista a offrire una straordinaria prova di resistenza e dignità.
Da 51 anni e da 11 presidenti degli Stati uniti Cuba resiste con successo alla «ossessione» anti-castrista di Washington (e Miami) e ai suoi incessanti tentativi di destabilizzazione, con l'unica eccezione (fallita) di Jimmy Carter e la debole disponibilità di Obama.
Ma Cuba è di fronte a scelte difficili e non più rinviabili, lo riconoscono anche i cubani e l'ha ripetuto più volte in questi due anni lo stesso presidente Raúl. Scelte drammatiche (e non tutte legate al criminale e grottesco blocco Usa che asfissia l'isola ribelle da quasi 50 anni), scelte decisive per il futuro della rivoluzione e delle sue conquiste sociali, che si annunciano dolorose e dovranno essere prese senza più l'ombrello protettivo che il carisma di Fidel garantiva.
Nei prossimi mesi e anni Cuba sarà ancora - e sempre di più - in prima pagina. Per questo è essenziale che un giornale come il manifesto abbia un occhio attento e sempre acceso «dal di dentro».
Ringraziamo il governo cubano e l'ambasciata di Cuba in Italia per la possibilità che ci hanno dato, accreditando Roberto Livi come corrispondente, di seguire l'evolversi della situazione da vicino e con continuità, evitandoci la pena di dover «interpretare» le notizie da e su Cuba quasi sempre provenienti - salvo rare e onorevoli eccezioni - da fonti e media (generalmente basati negli Usa o in Spagna) per nulla disinteressati e obiettivi, notizie poi riprese e rilanciate come fossero oro colato dai media (e dai politici) italiani.
Scrivendo da e su Cuba noi, al contrario degli altri, non pretendiamo di essere obiettivi. Perché, come ci ha insegnato qualcuno, l'obiettività non esiste e bisogna diffidare da chi la millanta.
Il manifesto è sempre stato e vuole continuare a essere amico di Cuba e della rivoluzione cubana, specie ora che si trova di fronte a dei nodi spinosi da sciogliere.
Partendo da questa amicizia e solidarietà scriveremo da e su Cuba cercando ogni giorno di smascherare le calunnie tendenziose e i luoghi comuni grossolani che quasi sempre accompagnano le informazioni sull'isola. Senza però chiudere gli occhi o tacere le critiche che di volta in volta riterremo giusto rivolgere agli amici e compagni cubani. Amici sempre, ciechi e incondizionali mai: l'incondizionalità non è nella natura e nella storia del manifesto.
È con questo spirito e questa garanzia che il manifesto e Roberto Livi si apprestano a vivere la stimolante avventura che comincia oggi.


I consumi della Revolucion.
di Roberto Livi

L'appuntamento è alle 5,30 del mattino al Barrio chino, il quartiere cinese nel cuore di Avana centro. È sabato primo maggio, la capitale caraibica esce dal sonno irrequieta al rumore degli autobus cinesi Yu tong, di vecchie e scassate corriere riciclate, di grossi camion che percorrono la città per convogliare centinaia di migliaia di persone a piazza della Revolucion. Lo slogan è «tutti uniti, per Cuba, Fidel e Raul e contro l'interferenza degli Usa e dei loro lacché dell'Unione europea e dei mercenari interni». Una sorta di chiamata alle armi.Il mio gruppo di tai chi quan è composto in gran parte di donne, cinquanta-sessantenni, madri e nonne, che ci tengono a partecipare alla sfilata assieme agli altri allievi e maestri della scuola di arti marziali cinesi (sulle pareti del piazzale in cui si svolgono gli allenamenti vi è la scritta vita e salute, armi della Rivoluzione).
Figlie della rivoluzione, sono disposte a una levataccia e a lunghe camminate sotto il sole per sostenerla. Il primo maggio con Fidel è parte dei ricordi, dall'infanzia alla maturità. Anche al presidente Raul non vogliono far mancare l'appoggio.L'intenzione di difendere la Rivoluzione rimane, ma l'umore è ben diverso dal passato. Non sfileranno di fronte al palco di Raul e delle autorità ballando (come nel 1968 quando cantavano rivolte a Fidel somos socialistas bailantes, bailantes), ma preoccupate per il presente ancor più che per il futuro, che si presenta comunque incerto. Sfilano assieme alle decine e decine di migliaia di persone che rappresentano il popolo dell'Avana e più in generale di Cuba, dagli studenti e insegnanti della scuola ai lavoratori della sanità che testimoniano le grandi conquiste della Rivoluzione, ai rappresentanti delle brigate di medici e maestri che lavorano in molti paesi dell'America latina, dagli sportivi e artisti ai lavoratori delle varie corporazione e imprese statali, fino ai reparti ordinati e compatti delle Forze armate rivoluzionarie, gli uomini di Raul, salutati dal presidente con uno sventolio del cappello di paglia.Dal presidente, i cubani non si attendono solo i richiami a unirsi per difendere Cuba dai nuovi tentativi di destabilizzazione provenienti dal potente vicino nordamericano che, questa volta «assieme all'Ue e ai mercenari interni», agita «strumentalmente» il tema dei diritti umani. Né le lodi alla rivoluzione. Quello che vogliono sentire da Raul sono parole che annuncino un cambio por lo mejor, misure che assicurino una vita migliore, ovvero salari che permettano di arrivare alla fine del mese, aperture al lavoro particular (privato) o a cooperative nel settore dei servizi e dell'alimentazione oltre che nell'agricoltura, la possibilità di andare liberamente all'estero. Nei grandi temi, il socialismo cubano - sanità e scuola gratuite, assistenza ai più poveri - per loro va bene. Libertà di espressione, di associazione politica, insomma la questione dei diritti umani, è più materia di mugugno che di esigenze reali. Il vero, e potenzialmente pericoloso, fattore di preoccupazione e malcontento - anche fra i giovani che più guardano agli standard occidentali - è di natura economica.Come dar loro torto: i prezzi aumentano, i prodotti di largo consumo sempre più difficili da trovare. La crisi economica è drammatica, le finanze statali sono al lumicino e le esigenze sono enormi, visto che Cuba importa quasi il 70% di quello che consuma. Patate e fagioli scarseggiano, una libbra (circa mezzo chilo) di riso è passata da 3,5 a 8 pesos (da 18 a 40 centesimi di euro per uno stipendio medio che si aggira sui 15-18 euro al mese), la carne di manzo è un lusso per pochi. La libreta de abastecimiento, che assicura a ogni cubano una serie di prodotti alimentari di base quasi gratuiti, non basta che per un paio di settimane al massimo. La gente lucha e inventa, ovvero si arrangia per arrivare alla fine del mese. Tutti sinonimi di appropriarsi dei beni dello stato, venderli sottobanco, corrompere e essere corrotti. Insomma vi è una grande massa di gente che si vede costretta a muoversi nell'illegalità, a giustificare ruberie col fatto che bisogna arrangiarsi. E spesso a praticarle sono capi, ispettori e via dicendo.Non si tratta di una denuncia fatta dall'opposizione, per altro assai ridotta e fortemente condizionata economicamente da enti governativi nordamericani. Il quadro sopra esposto appare ogni venerdì nelle pagine dedicate alle lettere al direttore di Granma, l'organo del partito comunista. E con altrettanta frequenza nelle lettere a Juventud rebelde. Ne citiamo alcune: «Dinamizzare il modello economico per salvare il modello (socialista, ndr) sociale», scrive A. Orama Munero (Granma del 16 aprile). «Lo Stato deve stimolare le forze produttive, liberarsi dei carichi eccessivi che non può controllare, soprattutto l'egualitarismo (salariale, ndr)» che «frena le forze produttive». «La Rivoluzione ha convertito la maggioranza dei mezzi di produzione in proprietà sociale. Cambiare questa situazione sarebbe un errore», afferma M.C. Aledo Roller (Granma del 9 aprile). Però «se vi fossero molti più calzolai, muratori, carpentieri tassisti, e la lista può essere infinita, che lavorano per se stessi e producono beni e servizi senza sfruttare ed essere sfruttati.. questo non significherebbe che stiamo tornando al capitalismo» . «I cambi creano resistenza» nella burocrazia del partito-stato: «È necessario un cambio nella sfera economica, di questo nessuno dubita. Soprattutto nella produzione di alimenti il popolo chiede risultati, cibo. Raul Castro l'ha detto chiaro che si tratta di una questione di sicurezza nazionale: mettiamo fine alla corruzione, all'assenteismo, alla burocrazia... affrontiamo i nostri problemi e il nostro Socialismo continuerà a essere un esempio per tutto il mondo» (R. Garcia Macìa, Granma del 30 aprile). Fin dalla sua nomina a nuovo presidente, il 24 febbraio 2008, Raul Castro ha dimostrato che il suo stile di governo è improntato al pragmatismo. Ha eliminato proibizioni assurde (possesso di cellulari e computer, affitto di auto, possibilità di ospitarsi in alberghi, di gestire taxi privati..), ha criticato l'egualitarismo, affermando che non vi sarebbe stata uguaglianza di salari, ma uguaglianza di opportunità, e ha avviato una grande redistribuzione delle terre incolte dello Stato, della quale hanno beneficiato centomila famiglie.Poco a poco è iniziata a emergere la Cuba reale, al di là della propaganda. E il quadro era critico, come quello esposto dalle lettere al Granma. Per affrontarla, il nuovo presidente sembra volersi muovere sulla base di riforme che riducano i «benefici per tutti» (la libreta de abastecimiento, i comedores obreros) e aumentino il reddito a chi produce (eliminazione del tetto salariale, possibilità di un secondo lavoro, distribuzione di terre). Solo che si tratta di un progetto non completamente (e chiaramente) delineato e che incontra difficoltà (se non opposizione) nell'elefantesca burocrazia, nell'abitudine al lavoro garantito (mentre Raul ha affermato che vi è un milione di posti di lavoro improduttivi). In questo modo i tagli avanzano più in fretta della crescita dei salari, secondo il sindacalista Salvador Valdés. La crisi economica globale e la scarsità di liquidità finanziaria dello Stato ha poi reso necessaria una sorta di congelamento dei debiti esteri (alla fine dell'anno scorso era stato saldato un terzo del debito estero) con conseguenti tagli negli investimenti esteri nel Paese e nell'importazione di beni.Dunque le riforme vi sono state. Ma la percezione della gran parte dei cubani è che non siano sufficienti. Che il più resti da fare. La gran parte dei cubani chiede «cambiamenti attuati con urgenza», ha ribadito giorni fa anche la massima autorità della chiesa cubana, il cardinale Jaime Ortega. Per l'arcivescovo dell'Avana, a Cuba esiste un «consenso nazionale» sulla necessità di cambiamenti. E il fatto che si ritardino «produce impazienza e malessere nella popolazione». Le mie compagne di tai chi, come la gran parte dei manifestanti, dopo la lunga attesa e la sfilata ritornano a casa sudate e stanche, ma anche più allegre. Alle richieste di Raul e della Rivoluzione hanno risposto ancora una volta: presente! Senza la retorica che troppo di frequente abita nei media ufficiali hanno dimostrato di voler difendere «le conquiste del socialismo», il fatto che i loro figli «sono diventati medici senza spendere un centesimo», che possono dirsi orgogliose di abitare un paese che non si piega, «non si mette in ginocchio di fronte alle pressioni esterne», come recitavano gli slogan in piazza della Rivoluzione. Ora però chiedono a Raul di ascoltare la loro voce, le loro speranze ed esigenze di cambiamenti.
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lunedì 3 maggio 2010

PETIZIONE PER LA LIBERTA' D'ESPRESSIONE.


La libera ricerca esige che si tolleri la diversità d'opinione e che si rispetti il diritto dell'individuo di esprimere le sue credenze per quanto impopolari possano essere, senza divieti sociali o legali, senza timore di successo.
(Paul Kurtz, "Sulle barricate")
In teoria questo è ancora un paese libero, ma i nostri tempi del politicamente corretto e della censura sono tali che molti di noi tremano all'idea di esprimere le loro giuste idee per timore di essere condannati. In questo modo la libertà di parola viene messa a repentaglio, grandi questioni non vengono dibattute e grandi menzogne vengono accettate come grandi verità.
(Simon Heffer, giornalista britannico)

Cari compagni e amici, invio l’annunciata petizione, che ora si trova collocata qui a destra, in cima al blog.
Vi sarei grato se vorrete firmarla. Mi sento abbastanza imbarazzato a chiedervi di impegnarvi in questa battaglia che vi sottrarrà un po’ di tempo. Mi incoraggiano a farlo le numerosissime attestazioni di solidarietà che mi sono pervenute da quando ho diffuso la notizia di questa vertenza legale – e morale ! – con Liberazione e il partito di cui è l’organo. Per questo partito ho militato per sette anni, impegnandovi tutte le mie energie e gran parte delle mie sostanze. Le posizioni politiche che esprimevo sulle grandi questioni internazionali erano anche quelle di una forte componente del PRC, fatto che rafforzava il mio diritto di manifestarle sul giornale, anche quando non fossero in linea con le valutazioni dell’ allora segretario nazionale. Il mio articolo su Cuba, che conoscete o che potete leggere nel mio blog http://fulviogrimaldi.blogspot.com/ (post “Il corpo del reato”), nel maggio 2003, ha determinato il mio licenziamento su due piedi. Di questa cacciata non mi è stata data mai alcuna comunicazione e spiegazione formale. Ne mi è stato riconosciuto il diritto di esprimermi sul giornale. Alle migliaia di proteste dei lettori, si è risposto con giustificazioni false o statutariamente improprie: non mi sarei attenuto al tema ambientale, avrei deviato dalla linea del partito. Affermazioni grottesche se si guarda alle centinaia di miei articoli e reportage che parlavano di Balcani, Medio Oriente, politica interna, cultura, costume, ogni immaginabile argomento, pubblicati tra il 1999 e il 2003.

Anche di fronte alla sentenza d’appello, che mi impone di restituire una cifra per me irraggiungibile a Liberazione, e di fronte alla pervicacia con cui il giornale persegue l’esecuzione di tale sentenza, nonostante mie offerte di transazione, vi sono state moltissime proteste a giornale e partito ed espressioni di solidarietà nei miei confronti. Mi incoraggia a questa iniziativa l’evidente volontà di molti, che da tanti anni seguono il mio lavoro, di non far scomparire dalla minuta scena dell’informazione “altra” la mia voce. E anche l’impegno che ho preso da sempre nei confronti delle verità dei popoli e delle classi oppressi.
Fulvio Grimaldi. Leggi tutto...

sabato 1 maggio 2010

Buon I° Maggio.


Fidel: "Quello che non possono perdonarci gli imperialisti è che abbiamo fatto un Rivoluzione socialista sotto il naso degli Stati Uniti". Leggi tutto...