giovedì 26 dicembre 2013

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mercoledì 4 dicembre 2013

cena di solidarietà

al Circolo Uisp Cesanella di Senigallia Bocciodromo di via Mantegna, 2 (dietro la SACCARIA) CENA con il seguente menù: • bruschette • spezzatino con fagioli • contorni di verdure • dolce • birra, vino, acqua, e naturalmente Ron Cubano! BALLO con spettacolo del gruppo cubano “Beatriz Lopez & Achevere de Cuba” Adulti € 18, bambini € 10. L’intero ricavato della serata sarà destinato all’acquisto di un farmaco antitumorale pediatrico da inviare a Cuba, per evitare sprechi è quindi necessario poter calcolare bene le quantità, chi volesse partecipare è pregato di prenotarsi entro giovedì 12 dicembre telefonando ai seguenti numeri: Giuseppe 339/8242575 – Maurizio 333/3745938 - Albinella 333/3806715 – Rosalba 335/423701 Leggi tutto...

venerdì 29 novembre 2013

La diplomazia creativa di Obama

50 anni di embargo feroce per niente. Ora gli Usa si dicono pronti a cambiare politica nei confronti dell’Avana. Ma nessuno ci crede obama_cubaGli Stati uniti sono pronti a cambiare politica nei confronti dell’America latina e in particolare verso Cuba, oggetto da più di cinquant’anni di un embargo unilaterale? Due dichiarazioni, una del presidente Barak Obama, l’altra del segretario di Stato John Kerry, hanno nei gorni scorsi avuto larga eco mediatica e suscitato plausi, ma anche molto scetticismo parte della sinistra latinoamericana. Il primo a segnalare di essersi accorto che nel Sud del continente americano vi sono stati cambiamenti significativi è stato il leader della Casa bianca. Obama si è riferito a Cuba dove sono in corso una serie di riforme economiche e sociali promosse dal governo di Raúl Castro e che, a dire del presidente statunitense, rendono necessario «attualizzare» la politica degli Usa nei confronti dell’Avana. «Bisogna essere creativi», ha affermato mentre era a Miami nell’eterna campagna per raccogliere fondi per il suo partito. «E dobbiamo continuare ad attualizzare le nostre politiche», visto che – ha continuato – «quando (Fidel) Castro è andato al potere io ero appena nato, ragione per cui non ha senso pensare che le politiche decise allora siano efficaci oggi, nell’era di Internet, Google e dei viaggi internazionali». Una politica imperiale fallimentare Questo è l'inizio del post. L’essenza della strategia degli Usa nei confronti di Cuba definita all’inizio degli anni Sessanta dello scorso secolo è semplice: un embargo (in realtà un blocco totale dell’economia) con lo scopo di – come recita un documento del Dipartimento di Stato dell’epoca – «creare fame, miseria e disperazione tra i cubani in modo che si ribellino e abbattano la rivoluzione». Una politica imperiale che, è ormai agli occhi di tutti, ha generato enormi difficoltà ai cubani ma ha totalmente fallito il suo scopo. E che è condannata dalla quasi totalità degli stati membri dell’Onu (all’ultima votazione solo in due hanno votato contro la mozione che richiede la fine dell’embargo: Usa e Israele). Questo non ha impedito che una decina di presidenti degli Usa l’abbiano applicata con determinazione e criminale volontà imperiale di affamare un popolo non sottomesso. Ottenendo come unico risultato di rafforzare l’aura di Fidel Castro come difensore della sovranità nazionale cubana e di raccogliere attorno a questa bandiera politica la stragrande maggioranza dei cubani. Lo stesso Obama l’ha applicata durante il suo primo mandato e dopo la sua rielezione ne ha confermato la validità, anche se ha moderato le misure più radicali decise dal suo predecessore, Bush junior. Oggi. il presidente americano si dice pronto a ripensamenti verso l’Avana ma, curiosamente, usa lo stesso linguaggio del suo omonimo cubano, Raúl Castro: parla cioè di «attualizzazione» e non di «cambiamenti» politici, probabilmente per non ammettere il fallimento di cinquant’anni di strategia del blocco. Naturalmente è difficile stabilire se la dichiarazione di Obama comporterà conseguenze nelle relazioni bilaterali o fa parte di una retorica delle buone intenzioni senza conseguenze pratiche, come fu la dichiarazione del presidente nero di chiudere la prigione di Guantanamo, nell’estremo oriente di Cuba. La reazione del vertice cubano è quella di prendere tempo e verificare nei fatti, pronti, come ha affermato in più occasioni il presidente Raúl, a trattare con Washington «su un piano di parità», non celando però un ben motivato scetticismo. L’ex diplomatico cubano, e esperto nelle relazioni con gli Usa, Carlos Alzugaray, ha dichiarato al corrispondente della Bbc che «è comunque importante il fatto che Obama abbia riconosciuto pubblicamente che a Cuba sono in corso cambiamenti, contraddicendo i discorsi dell’estrema destra (Usa) e di personaggi (dell’opposizione cubana) come Fariñas e Berta Soler (entrambi si sono incontrati con Obama a Miami, ndr) i quali sostengono che a Cuba non cambia nulla». Senza dubbio, nella scala delle priorità in politica estera per Obama, impegnato nel far passare l’accordo storico raggiunto con l’Iran, la questione cubana non è urgente. Ma in un subcontinente latinoamericano dove sono in corso profondi cambiamenti, la questione di Cuba mantiene un grande valore simbolico. Per questo gli analisti del Cuba Study Group di Washington hanno raccomandato al presidente Usa di «attuare passi più audaci, di rompere l’isolamento, rafforzare il crescente settore imprenditoriale a Cuba ed eliminare le sanzioni dimostratesi improduttive e che rappresentano un ostacolo per ulteriori e più profondi cambiamenti nell’isola». Più secco e chiaro l’intervento del Segretario di Stato, Kerry, il quale ha dichiarato che «l’era della dottrina Monroe è finita». Elaborata e imposta nel 1823 dal (quinto) presidente Usa, James Monroe, la suddetta dottrina, sintetizzata nella frase «l’America agli americani», è servita come base ideologica per giustificare tutti gli interventi unilaterali di Washington in qualunque paese del continente quando fossero «in pericolo gli interessi» degli Usa. «La (nuova) relazione che cerchiamo e per la quale abbiamo lavorato duro non è una dichiarazione degli Stati Uniti su quando e come interverranno negli affari di un altro Stato americano, ma (l’affermazione) che tutti ci vediamo su un piano di parità, compartendo responsabilità e cooperando in tema di sicurezza», ha affermato Kerry, la settimana scorsa, in un discorso pronunciato nella sede dell’Organizzazione degli Stati americani (Oea). Per la verità lo stesso concetto era stato espresso da Barak Obama al V Vertice delle Americhe, nel 2009 a Trinidad e Tobago. In quattro anni il volto dell’America latina è cambiato, ma la politica Usa si è mantenuta uguale (come ha dimostrato il golpe in Honduras nel 2009). Cambierà nel prossimo futuro visto che Obama è libero dai condizionamenti di una rielezione, o le dichiarazioni di Kerry resteranno lettera morta? È quello che si chiedono molti analisti. E non solo: una nuova era nelle relazioni bilaterali e più in generale fra Nord e Sud del continente è richiesta a viva voce, tra gli altri, da Dilma Roussef, presidente del Brasile, sempre più intenzionato ad essere una potenza emergente. Scetticismo di rigore Nella sinistra latinoamericana, lo scetticismo sembra di rigore. Una cosa sono le dichiarazioni, altra i fatti, sostiene in un’intervista al quotidiano del pc cubano Granma, Jorge Hernández Martínez, direttore del Centro di studi emisferici e sugli Stati Uniti dell’Univrsità dell’Avana. «Con il passare del tempo si verifica che (tali dichiarazioni di dirigenti Usa) non sono altro che espressioni retoriche e demagogiche». Il quotidiano (di sinistra) messicno La Jornada ha bollato la dichiarazione di Kerry come «incoerente e financo grottesca», visto che lo stesso Segretario di Stato pochi mesi fa ha continuato a definire l’America latina come «il cortile di casa» degli Usa. Il quotidiano riconosce però che tale presa di posizione costituisce «un certo riconoscimento implicito» della perdita di influenza degli Usa nel Sud del continente. Fatto questo, sostiene La Jornada, che non dipende da una decisione presa a Washington, ma dalla volontà dei popoli latinoamericani di recuperare e difendere la propria sovranità. Un’analisi, questa, condivisa dal professor Hernández: «L’America latina è cambiata, si sono imposti processi, governi e movimenti sociali di sinistra assieme a forti iniziative di integrazione (del subcontinente), però, fino a oggi, non si apprezza una reale volontà degli Stati Uniti di modificare» la loro politica latinoamericana. Roberto Livi - il manifestoE questo è il resto. Leggi tutto...

domenica 17 novembre 2013

Il mondo dice agli USA di smetterla, per la 22ª volta

188 favorevoli alla fine del blocco, 2 contrari (USA ed Israele), 3 astenuti (Isole Marshall, Palau e Micronesia)…il mondo intero dice agli Stati Uniti di smetterla! Per 22 anni di seguito la maggioranza dei paesi contrari al blocco è andata crescendo fino ad assestarsi negli ultimi anni a questi risultati che dimostrano l’isolamento nel quale si chiude lo stato nordamericano. Qui sotto la tabella delle votazioni nel tempo, da Cubadebate.
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domenica 27 ottobre 2013

Camilo, l'héroe sonriente.

Omaggio a Camilo Cienfuegos nell'anniversario della sua scomparsa, héroe sonriente perché nelle tante fotografie e ritratti appare sempre sorridente e gioviale, è forse l'unico eroe più popolare di Ernesto "Che" Guevara a Cuba. Camilo era un uomo del popolo, un habanero doc, di umili origini, nato nel quartiere popolare di l'Avana vecchia e lì tra quella gente rimane per antonomasia il più grande ed indimenticato eroe cubano di tutti i tempi (più del Che e dello stesso Josè Martì). Mentre Che Guevara ha avuto un'indiscutibile "internazionalizzazione" della sua figura, del suo pensiero, delle sue idee, Camilo Cienfuegos ha attecchito popolarmente, è rimasto un eroe su scala nazionale: la imagen del pueblo. Ogni guerrigliero latino americano potrebbe facilmente riconoscersi nella sua figura. Alto, bruno, magro perennemente mostratoci con una barba bruna ed un cappello a metà strada tra il cow-boy statunitense ed il guajiro caraibico e con gli occhi protesi ad una genuina risata. Aveva ventiquattro anni quando giunge in Messico per partecipare alla spedizione del Granma. E' un'età che corrisponde a quella media dei suoi compagni: Camilo è più giovane di Fidel e del Che, ma più vecchio di Raul Castro e di Frank Paìs. Due anni più tardi, trasformato in barbuto e in leggendario capo guerrigliero, entrerà all'Avana alla testa delle colonne dell'esercito ribelle, al fianco del Che. All'inizio Camilo Cienfuegos è un giovane come tanti altri, mosso dal patriottismo e dallo spirito di avventura. La lotta farà di lui un leader. Certi particolari sulla sua biografia e gli aneddoti che corrono sul suo conto ci dicono però qualche cosa di più. Un mattino all'alba, poco dopo il golpe di Fulgencio Batista, in casa dei genitori, con i quali all'epoca Camilo viveva, era comparso un cane randagio e Camilo lo aveva adottato, come prima altri cani, battezzandolo Fulgencio: gli era parso che fosse il nome più adatto per un bastardo. Gli è che, in quella casa, la politica era pane quotidiano. Il padre di Camilo, Ramòn, uno spagnolo, era stato attivista sindacale della Uniòn de Operarios Sastres (Unione dei lavoratori di sartoria) e qualche anno prima aveva pubblicato un manifesto dal titolo incendiario La rivoluciòn rusa si extenderà por el mundo (La rivoluzione russa si estenderà a tutto il mondo). In seguito, durante la guerra civile spagnola, Camilo, ancora bambino, aveva spesso accompagnato il padre durante le sue collette per la raccolta di fondi.Buon narratore, amante degli animali, audace e pronto ad affrontare qualsiasi rischio, animato da un profondo senso dell'amicizia, Camilo mancava però di una virtù: la disciplina. All'epoca, tuttavia, poteva sostituirla con lo spirito d'avventura. Operaio come suo padre, un giorno aveva deciso di andare negli Stati Uniti. Lì aveva fatto i lavori più svariati, nessuno dei quali stabile. Fu proprio in quel periodo che Camilo sviluppò un grande senso dell'ironia e dell'autoironia, iniziò a firmare le sue missive ai familiari ed agli amici con un sarcastico "K100", che in spagnolo si pronuncia "Ca Cien". Ma un bel giorno il cubano emigrato avverte "un gelo da spaccare il cuore a chiunque", e ritorna in patria. La distanza gli ha permesso di rendersi conto ,dei mutamenti intervenuti. E' partito con Batista al potere; tornato, ritrovava ancora Batista al suo posto: con la differenza che l'ex sergente ha ormai dato fondo a tutti i suoi trucchi demagogici, mostrando apertamente il ceffo del dittatore. "Sono certo, - scrive Camilo a un amico nel 1956 - che se tu fossi a Cuba resteresti sbalordito delle cose che qui avvengono. I soprusi sono tali, che solo chi ne é testimone può convincersi della loro realtà". La lotta per le strade, le manifestazioni che nelle città si sono trasformate in aperta protesta lo coinvolgono, e Camilo finisce una volta in carcere e un'altra all'ospedale. In quel torno di tempo, gli capita un'esperienza che non dimenticherà mai più, e la riferisce in una sua lettera: "Fu quando il mio vecchio, travolto dalla tensione e dall'emozione, levò la benda macchiata di sangue con cui mi aveva tamponato la ferita, e disse: "E' il sangue di mio figlio, ma é sangue versato per la rivoluzione". Il padre e il figlio, che un tempo avevano raccolto, fianco a fianco, fondi per la guerra civile spagnola, avrebbero ancora proceduto assieme. La tradizione rivoluzionaria non era andata perduta: al pari di tanti altri giovani cubani della sua generazione, Camilo si era assunto la responsabilità di portarla avanti. Fu scelto come ultimo (o forse penultimo) membro della spedizione del "Granma" da Fidel Castro. Camilo sarà poi tra i pochissimi sopravvissuti all'imboscata batistiana di Alegria del Pio e si distinguerà per le sue notevoli doti di coraggio e abnegazione alla causa della guerriglia sulla Sierra Maestra così da essere nominato Comandante di una delle più importanti colonne della guerriglia che libereranno la regione centrale dell'isola caraibica. L'eroe sorridente esprimerà il suo più alto capolavoro a Yaguacay, nel versante nord della parte centrale di Cuba, dove al comando di un manipolo di uomini costringerà alla resa lo stratega batistiano Jabon Lee ed i suoi soldati asserragliati nel famoso "cuartel". Questa superlativa azione congiuntamente con la straordinaria impresa di Che Guevara a Santa Clara costringerà Batista alla capitolazione definitiva e determinerà quindi l'ingresso vittorioso dei barbudos ad ovest sino a l'Avana. Non gli fu però concesso di partecipare a lungo, dopo la vittoria sulla dittatura, alla costruzione della sua nuova patria. Il 28 ottobre 1959, a soli 27 anni, Camilo Cienfuegos morì mentre tornava su di un piccolo aereo da Camaguey dove era andato per sedare una rivolta guidata da Hubert Matos. L'aereo incappò in un fortunale e scomparve in mare. Il suo cadavere non venne mai trovato e ancora oggi, il 28 ottobre, in ogni parte di Cuba la gente va in riva al mare o su un fiume e vi getta "una flora para Camilo", un fiore per Camilo. Ma egli continua a vivere nella memoria di un popolo che si riconosce pienamente in colui che, semplice lavoratore, fu esaltato dalla rivoluzione a capo leggendario di un popolo che ha fatto proprio il motto: "C'é stato un Camilo, ci saranno molti Camilo". Addirittura Che Guevara chiamerà uno dei suoi figli Camilo. A Yaguacay oggi vi è uno stupendo monumento dedicato all'eroe sorridente, proprio di fronte al mitico "cuartel" e sotto la statua bronzea di Camilo è situato un museo dedicato all'eroe habanero. In questo museo sono contenuti molti reperti e documenti, sicuramente quelli più interessanti sono costituiti dalla corrispondenza tra Che Guevara e Camilo, dove emerge un grande rispetto reciproco e soprattutto l'aspetto ironico ed ottimista di Camilo che unico tra i baburdos poteva permettersi di sfottere il severissimo comandante Guevara firmandosi con degli "tu eterno chicharron" [chicharron - cicciolino, è un termine confidenziale usato per carinerie intime tra innamorati Ndt].
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martedì 22 ottobre 2013

In viaggio, per porre fine all'embargo Usa

di Roberto Livi 1200 miliardi di $: è il costo del «blocco» che, rinnovato da Obama, dura da 50 anni. Il contrasto, anche economico, ora c'è: i 180mila viaggi di cubani nel mondo, grazie alla riforma di Raúl Castro e i ritorni dei cubanoamericani Eduardo Fabio è un piccolo mulatto, un anno compiuto da poco, steso su un lettino del Cardiocentro pediatrico William Soler dell'Avana. Respira da un tubo di ossigeno e sul petto ha i sensori che ne misurano i dati cardiaci. È stato operato da poco per un difetto cardiaco, associato alla Sindrome di Down. Piccolo, malato, non sa di essere un nemico del più grande impero, gli Stati Uniti, che dal 1962 hanno decretato un blocco economico-finanziario contro Cuba, che rende difficile e molto costoso reperire materiale medico per curare casi come il suo: tra maggio 2012 e aprile 2013, il governo cubano ha dovuto pagare un extra di 39 milioni di dollari per procurarsi medicamenti, vaccini e materiale sanitario aggirando l'embargo. Di fronte al corpicino di Eduardo Fabio si erge dunque una montagna di denaro, quasi 1200 miliardi di dollari, quasi mille miliardi di euro, una trentina di finanziarie. È l'ammontare dei danni per Cuba del cinquantennale embargo, rinnovato nel settembre 2012 dal presidente Obama. Nella valutazione dei danni, espressa di fronte ai giornalisti riuniti in una sala dell'ospedale William Soler, il viceministro degli Esteri, Abelardo Moreno ha messo in luce come nel 2009, al momento di insediarsi, Obama avesse annunciato una nuova politica verso l'Avana. E come, cinque anni dopo, non solo abbia mantenuto il blocco economico, ma in alcune sfere economico-finanziarie lo abbia reso più duro. I dati forniti da Moreno fanno parte del documento - si può consultare in internet in www.cubavsbloqueo.cu - che Cuba presenterà tra una ventina di giorni all'Assemblea dell'Onu per chiedere una risoluzione di condanna del blocco economico statunitense. E come capita ormai dal 1992, l'Avana avrà l'appoggio della quasi totalità dei Paesi membri (l'anno scorso 188 paesi hanno appoggiato la risoluzione di Cuba e tre, Usa, Israele e isole Palau, hanno votato contro). L'embargo prevede infatti sanzioni degli Stati Uniti verso imprese e istituti finanziari, non solo statunitensi ma anche internazionali, che accettino di commerciare o avere rapporti con Cuba. Tra gennaio e settembre di quest'anno gli Usa hanno obbligato trenta compagnie, nordamericane e straniere, a pagare 2.446 milioni di dollari per aver avuto relazioni con l'Avana. Con che diritto?, si è chiesto Moreno, visto che Washington sta violando anche le norme dell'Organizzazione mondiale del commercio (Omc). Questo è l'inizio del post. E questo è il resto. Leggi tutto...

venerdì 11 ottobre 2013

Letture per lottare

E questo è il resto.
Care e cari tutti, vi invito a partecipare alla rassegna "Letture per Lottare" che avrà inizio il 19 ottobre e si concluderà il 21 novembre 2013. Sono quattro incontri con autorevoli scrittori che presenteranno i loro libri trattando argomenti importanti ai quali pensiamo sia doveroso dare spazio e voce. Il primo di questi incontri si svolgerà sabato 19 ottobre alle ore 18.00 presso il centro sociale l'Incontro in Via Tessitori a Jesi. (zona Campo Boario) Il fotografo e scrittore Pino Bertelli presenterà i suoi libri "In direzione ostinata e contraria" e "Osare la speranza" realizzati insieme a Don Andrea Gallo, con delle proiezioni del suo lavoro fotografico. Sarà l'occasione per ricordare il prete di strada "angelicamente anarchico" con la testimonianza diretta di Pino "dottore in niente, giornalista, fotografo di strada, filmaker, critico di cinema e fotografia" legato da una grande amicizia e condivisione di ideali a Don Gallo. Vi aspetto! Eleonora
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venerdì 13 settembre 2013

15 anni di ingiustizia!

Geraldina Colotti, il manifesto | 12 Settembre 2013 Dal 1959, il terrorismo contro il popolo cubano ha causato la morte di 3.478 persone e ne ha menomato altre 2.099 Un nastro giallo per i Cinque cubani nel quindicesimo anno della loro ingiusta detenzione. Giallo è il colore evocato dalla canzone Tie a Yellow Ribbon Round the Ole Oak Tree. «Lega un nastro giallo intorno alla vecchia quercia», dice il detenuto che esce dal carcere alla sua donna, per sapere se lei lo aspetta ancora. E lei risponde esponendo nastri gialli dappertutto. È l'ultima campagna internazionale ideata per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla vicenda dei cinque agenti cubani. Quattro di loro - Gerardo Hernandez Nordelo, Ramon Labanino Salazar, Antonio Guerrero Rodriguez, Fernando Gonzalez Llort - sono ancora prigionieri nelle carceri statunitensi. Il quinto, René Gonzalez, ha finito la pena ed è tornato nel suo paese: «Vorrei che questo 12 settembre producesse un terremoto d'amore, un messaggio del popolo cubano a quello nordamericano», ha scritto dall'Avana. René e i suoi quattro compagni sono stati arrestati a Miami il 12 settembre del 1998 con l'accusa di spionaggio. Lui è stato condannato a 15 anni e ha ottenuto la libertà condizionale nell'ottobre del 2011. Un'amica gli ha prestato la casa in un quartiere di Miami, dove però ha dovuto vivere sotto la costante minaccia di essere ucciso dalle reti anticastriste, quelle stesse che aveva provato a disinnescare durante la sua missione. Reti tutt'ora pericolose, continuamente foraggiate dai soldi del Pentagono e armate dalla Cia. I documenti del Cablogate, resi noti dal soldato Usa Bradley Manning, e quelli del Datagate, prodotti dall'ex consulente Cia Edward Snowden, lo hanno confermato, provando quanto Cuba denuncia da anni. Il 12 aprile di quest'anno, Gonzalez ha dovuto rinunciare alla cittadinanza statunitense, acquisita per nascita. I Cinque cubani, poco prima di essere arrestati avevano scoperto un piano criminale che avrebbe messo in pericolo anche la sicurezza di cittadini Usa. Il 16 e il 17 giugno del '98, il governo cubano aveva invitato due importanti responsabili dell'Fbi ai quali aveva consegnato un'ampia e dettagliata documentazione sulle reti destabilizzanti residenti in Florida: il frutto dell'attività di intelligence portata avanti dai cinque agenti infiltrati fra gli anticastristi. In precedenza, Fidel Castro aveva fatto pervenire un messaggio al suo omologo statunitense, Bill Clinton attraverso lo scrittore Garcia Marquez. A tutt'oggi, malgrado le prove fornite all'Fbi, nessuno dei personaggi implicati in quei crimini è mai stato interrogato o perseguito negli Usa: dove anzi continuano a trovare rifugio i peggiori mercenari come Posada Carriles, reo confesso di diversi attentati mortali. Dal '59, il terrorismo contro il popolo cubano ha causato la morte di 3.478 persone, e ne ha menomato a vita altre 2.099. Tre mesi dopo, invece, vengono arrestati i cinque agenti. Dopo un processo macchiato da numerose violazioni del diritto, vengono condannati a 4 ergastoli più 77 anni, rinchiusi in diverse prigioni di massima sicurezza e sottoposti a trattamenti inumani e degradanti. Il 27 maggio 2005, il gruppo di lavoro sulle Detenzioni arbitrarie delle Nazioni unite segnala le violazioni contro i Cinque e chiede un processo non viziato come quello di Miami. Il 9 agosto, tre giudici della Corte d'appello dell'undicesimo Circuito di Atlanta decidono all'unanimità di annullare il verdetto del tribunale di prima istanza e chiedono un nuovo giudizio. Il 28 settembre, il governo Usa chiede a tutta la Corte d'appello, composta da 12 giudici, di riconsiderare quella decisione, forzando loro la mano con una procedura a dir poco anomala. Nel 2006, la Corte d'appello rigetta la decisione dei 3 magistrati e rinvia di nuovo il caso ad altri giudici. Il 20 agosto 2006, la difesa istruisce un nuovo processo d'appello. Nel 2008, tre giudici della Corte d'Appello di Atlanta confermano le pene per Gerardo Hernandez e per René Gonzalez, ma annullano quelle di Labanino, Guerrero e Fernando Gonzalez. E rinviano il caso dei tre alla Corte del distretto di Miami perché siano riprocessati. In quell'occasione, la Corte d'appello riconosce unanimemente l'inesistenza di prove in merito a presunte informazioni segrete per mettere in pericolo la sicurezza nazionale Usa. Nel 2009, la Corte suprema, su richiesta dell'amministrazione Obama, rifiuta di riaprire il caso. Una spinosa vicenda politica e un caso di giustizia negata che evidenzia l'inesauribile accanimento del governo Usa contro la piccola isola, intestardita a mantenere intatta la propria revolución. L'elezione di Obama aveva inizialmente sollevato qualche speranza. Nessuna inversione di tendenza si è vista, però: Cuba figura sempre tra i paesi che «appoggiano il terrorismo», il bloqueo continua a strangolare l'economia dell'isola e a sanzionare i paesi che infrangono il diktat nordamericano. Tantomeno si è risolto il caso degli agenti detenuti, ai quali ormai non resta che l'indulto di Obama. Una richiesta che i numerosi comitati di sostegno, attivi in tutto il mondo hanno portato fino alla Casa Bianca con l'efficace campagna «Obama... Give me five» in cui una mano aperta gioca con l'espressione «batti il cinque» per esprimere un gesto d'amicizia e una speranza. In questi ultimi anni, il presidente Usa ha ricevuto milioni di cartoline. E adesso che incombono altri venti di guerra, i manifestanti che anche oggi chiederanno la liberazione dei Cinque, hanno buon gioco a ricordargli che Cuba esporta medici, non droni e «terrorismo». Leggi tutto...

lunedì 2 settembre 2013

Fidel: "manovre militari e bugie prezzolate"

Mi spinge a scrivere il fatto che molto presto succederanno cose gravi. In questa epoca non trascorrono dieci o quindici anni senza che la nostra specie corra pericoli reali di estinzione. Né Obama né altripotrebbe garantire una cosa diversa; lo dico per realismo, poiché solo la verità potrebbe offrirci un po’ più di benessere e un soffio di speranza. Siamo arrivati alla maggiore età. Non abbiamo diritto di ingannare né di ingannarci. Nella sua immensa maggioranza l’opinione pubblica conosce abbastanza sul nuovo rischio che è alle porte. Non è semplicemente il fatto che missili crociera puntino verso obiettivi in Siria, è che questo coraggioso paese arabo, situato nel cuore di più di mille milioni di musulmani, e il cui spirito di lotta è proverbiale, ha dichiarato che resisterà fino all’ultimo respiro. Tutti sanno che Bashar al Assad non era un politico. Ha studiato medicina. Si è laureato nel 1988 e si è specializzato in oftalmologia. Ha assunto un ruolo politico dopo la morte di suo padre Hafez al Assad nel 2000 e dopo la morte accidentale di un fratello. Tutti i membri della Nato, alleati incondizionati degli Stati uniti e pochi paesi petroliferi alleati dell’impero in questa zona del Medio oriente, si garantiscono la fornitura mondiale di combustibili di origine fossile, accumulata durante più di mille milioni di anni. Per la piena disponibilità di energia proveniente dall’idrogeno occorreranno perlomeno 60 anni.L’accumulazione dei gas a effetto serra continuerà dunque a galoppare. D’altra parte si dice che nel 2040, in appena 27 anni, molti compiti oggi espletati dalla polizia, come imporre multe e altro, saranno nelle mani dei robot. I lettori si immaginano quanto sarà difficile discutere con un robot capace di fare milioni di calcoli per minuto? In realtà tutto questo era inimmaginabile anni fa. Lunedì 26 agosto, articoli di agenzie classiche ben conosciute per i loro servizi sofisticati a favore degli Stati uniti, si sono dedicati a diffondere la notizia che Edward Snowden aveva dovuto stabilirsi in Russia perché Cuba aveva ceduto alle pressioni degli Stati uniti. Ignoro se qualcuno in qualche luogo abbia detto qualcosa o no a Snowden, perché questo non è il mio compito. Leggo quello che posso su notizie, opinioni e libri che si pubblicano nel mondo. Ammiro il coraggioso e la correttezza delle dichiarazioni di Snowden, che ha prestato un servizio al mondo rivelando la politica secondo me disgustosamente disonesta del poderoso impero che imbroglia e inganna. Non sono però d’accordo che qualcuno, non importano i suoi meriti, possa parlare a nome di Cuba. Una bugia prezzolata. Chi l’afferma? Il giornale russo Kommersant. Che cos’è questo libello? Come spiega la stessa agenzia Reuters, il giornale cita fonti prossime al Dipartimento di Stato nordamericano: all’ultimo minuto Cuba avrebbe informato le autorità affinché impedissero a Snowden di prendere il volo della linea aerea Aeroflot. Secondo il giornale, Snowden ha trascorso un paio di giorni nel consolato russo di Hong Kong per manifestare la sua intenzione di volare in America latina via Mosca. Se io volessi potrei parlare di questi temi che conosco ampiamente. Ho osservato con particolare interesse le immagini del presidente della Repubblica bolivariana del Venezuela, Nicolas Maduro, durante la sua visita alla nave insegna del distaccamento russo che visita il Venezuela, dopo il suo anteriore scalo nei porti de L’Avana e Nicaragua. Durante la visita del Presidente venezuelano all’imbarcazione mi hanno impressionato varie immagini. Una di queste è stata la potenza dei numerosi radar capaci di controllare le attività operative dell’imbarcazione in qualsiasi situazione. D’altra parte, indaghiamo sulle attività del mercenario rotativo Kommersant. Nella sua epoca è stato uno dei più perversi mezzi al servizio dell’estrema destra controrivoluzionaria, che adesso è felice che il governo conservatore e lacché di Londra invii i suoi bombardieri alla base aerea a Cipro, pronti per lanciare le loro bombe sulle forze patriottiche dell’eroica Siria, mentre in Egitto, qualificato come il cuore del mondo arabo, migliaia di persone sono assassinate dagli autori di un grossolano colpo di Stato. In questa atmosfera si preparano i mezzi navali e aerei dell’impero e i suoi alleati per iniziare un genocidio contro i popoli arabi. È assolutamente chiaro che gli Stati uniti tenteranno sempre di fare pressioni su Cuba come fanno con l’Onu e con qualunque istituzione pubblica o privata del mondo. E’ una delle caratteristiche dei governi di quel paese, e non sarebbe possibile aspettarsi dai suoi governi un’altra cosa. Però resistiamo da 54 anni difendendoci senza tregua -e per il tempo ulteriore che occcorrerà -, affrontando il criminale blocco economico del poderoso impero. Il nostro maggiore errore è stato di non aver saputo imparare molto di più in molto meno tempo. Fidel Castro Ruz - il manifesto Leggi tutto...

lunedì 5 agosto 2013

Ferragosto con Italia-Cuba

IL CIRCOLO SADO SADOVSKI – SENIGALLIA ORGANIZZA FERRAGOSTO “CAMPESINO” P. SO COLONIA CAPOTONDI RINO VIA F.LLI KENNEDY, 53 BARBARA (AN) (MUSEO AGRICOLO) ORE 13,00 PRANZO gnocchi con la papera grigliata mista di carne conditella..(verdure miste) dolce, spumante,acqua,vino cocomero, caffe' e ron cubano al prezzo di 20 euro per i vegetariani menù alternativo Prenotazione obbligatoria entro lunedì 12 agosto ai seguenti numeri: Giuseppe 339/8242575 – Maurizio 333/3745938 Albinella 333/3806715 – Rosalba 335/423701 Leggi tutto...

giovedì 6 giugno 2013

Agenti e innocenti «Barack dacci i Cinque»

da il manifesto del 04/06/13. APERTURA - Geraldina Colotti Entra nel vivo la campagna per chiedere a Obama la liberazione dei 5 cubani ingiustamente detenuti negli Usa dal 1998. Parla Laura, figlia di Ramón Labañino «Per andare a trovare mio padre una volta l'anno abbiamo subito ogni tipo di vessazione da parte delle guardie» «È il momento più importante della campagna per la liberazione dei Cinque, siamo qui per ringraziarvi e per chiedervi di intensificare gli sforzi», dice al manifesto Laura Labañino. Calma e determinata, la ragazza ricapitola dal punto di vista di una figlia la vicenda dei cinque agenti cubani - Gerardo Hernández, Ramón Labañino, Antonio Guerrero, Fernando González e René González - arrestati negli Stati uniti per aver cercato di prevenire attentati contro il proprio paese. Suo padre è Ramon Labañino, condannato all'ergastolo più 18 anni. Come gli altri quattro, è stato incarcerato nel 1998. Solo René, condannato a 15 anni, ha avuto accesso alle misure alternative alla detenzione nell'ottobre del 2011 con l'obbligo di permanere negli Stati uniti in libertà vigilata per tre anni. Recentemente, per la morte del padre, ha potuto recarsi a Cuba, dove poi ha ottenuto di rimanere ma solo a patto di rinunciare alla cittadinanza statunitense. Racconta Laura: «Mio padre l'ho conosciuto in carcere quando avevo otto anni, ne avevo sei quando venne arrestato, uno o due quando se ne andò da casa per compiere la sua missione e non ricordo niente di allora. Ho vent'anni e la sua assenza ha pesato molto per me e mia sorella, benché, grazie a mia madre, ci comportavamo come se fosse sempre fra noi, sentivamo i suoi consigli anche quando, durante i lunghi periodi di isolamento, non avevamo più sue notizie». Una vita difficile, per le famiglie degli agenti, spesso obbligati a costruirsi una identità pubblica da «dissidenti»: per potersi infiltrare nelle organizzazioni anticastriste attive in Florida, conquistarne la fiducia e avvertire Cuba dei loro attentati. Se non fossero stati arrestati, pochi avrebbero saputo che non avevano tradito le loro idee e il loro paese. Senza il loro impegno, probabilmente però il numero dei morti per gli attentati anticastristi commessi sull'isola - 3478 vittime e 2099 mutilati per bombe sugli aerei, assalti a mano armata e ordigni negli hotel - sarebbe stato più alto. La loro rete ha invece consentito l'arresto di alcuni mercenari come il salvadoregno Cruz Léon, ingaggiato dalle organizzazioni paramilitari della Florida con la complicità del governo Usa. Ha permesso di alzare il velo sull'attività criminale di Hermanos al Rescate, Alfa 66, tutte foraggiate dalla potente Fondazione cubano-americana e dai suoi agganci con Pentagono e Cia. «Queste organizzazioni - dice Laura - ancora oggi ricattano il parlamento e il governo nordamericano, pesano sul voto della Florida come hanno pesato sulle sentenze ai Cinque minacciando i giurati o influenzandone l'imparzialità. Tanti giornalisti e media importanti sono stati pagati perché creassero un'atmosfera sfavorevole ai nostri compagni e poi facessero scendere il silenzio sulle ingiustizie perpetrate». All'epoca di Bill Clinton, Fidel Castro ha cercato una sponda tra i progressisti Usa per tessere un filo di dialogo. Tramite lo scrittore Garcia Marquez ha inviato un messaggio di suo pugno, ha fatto filtrare informazioni di intelligence preziose per Clinton. Anziché i mercenari, sono però stati arrestati gli agenti cubani, con l'assurda accusa di aver voluto attentare alla sicurezza militare degli Stati uniti. «A Cuba - spiega Laura Labanino - è stato arrestato Alan Gross, un uomo della Cia venuto a destabilizzare il paese, il nostro governo ha chiesto di poterlo scambiare con i Cinque, ma finora senza esito. A Gross è stato riscontrato un tumore e per questo non si trova in carcere, ma in un ospedale dove riceve tutte le cure. Mio padre, invece, ha gravi problemi al ginocchio, da anni in carcere trascina la gamba, ma non viene curato. Solo ultimamente gli hanno fornito una sedia a rotelle, ma niente altro. Per andarlo a trovare, una volta all'anno, abbiamo subito ogni genere di vessazioni da parte delle guardie. Tante volte mia madre ha cercato di appellarsi alla loro umanità, ma non c'è stato niente da fare. Quando c'era qualche problema in carcere, anche mio padre veniva portato in isolamento, benché non avesse fatto niente, e la visita dopo pochi minuti veniva interrotta». Al termine del più lungo processo giuridico nella storia degli Stati uniti - sempre sfavorevole ai Cinque -, la speranza è ora nelle mani del presidente Barack Obama, che potrebbe concedere l'indulto. «Per questo - dice Laura - è importante intensificare le iniziative di sostegno, e inviare quante più cartoline possibili alla Casa bianca per chiedere la liberazione di mio padre e dei suoi compagni. Obama non le legge, però il suo ufficio ha il compito di stilare statistiche su questo genere di proteste, e i numeri sono importanti». Da giovedì scorso a oggi, il Comitato internazionale di sostegno, che ogni 5 del mese svolge attività in ogni parte del mondo, ha portato i suoi delegati davanti alla Casa bianca con video, mostre, conferenze. «Così la gente che passa può conoscere la storia di Ramon, Gerardo e gli altri e chiedere la loro liberazione insieme a noi e ai deputati progressisti statunitensi che ci appoggiano e che abbiamo incontrato» dice Laura. La campagna si serve dell'efficace immagine di una mano aperta nell'invito a «battere il cinque» rivolto al presidente Usa: «Obama, dacci i Cinque». Giovedì scorso, la conferenza stampa di apertura della campagna ha visto la partecipazione di numerosi artisti, intellettuali e politici di rilievo internazionale. Presenti le delegazioni di 33 paesi (per l'Italia, l'Associazione di amicizia Italia-Cuba e la Rete dei comunisti). Sotto i cartelli con la foto dei Cinque, la scritta Volverán. Torneranno. Leggi tutto...

mercoledì 29 maggio 2013

GINO DONE' l'italiano del Granma

Presentazione del libro GINO DONE’ l’italiano del Granma con la partecipazione di: Katia Sassoni autrice del libro su GINO DONE’ (1924-2008) partigiano veneziano, l’unico europeo a partecipare alla Rivoluzione cubana. Egli fu sul battello Granma assieme al Che, Fidel e altri 80. Roberto Massari tra i maggiori studiosi di Ernesto Guevara, fondatore dell’omonima casa editrice, ha il merito di aver proposto o riproposto autori e temi di decisiva importanza per una cultura della liberazione e della dignità umana. Sabato I°giugno ore 18:00 Casa del Popolo,Via Setificio JESI ore 20:30 cena di finanziamento delle prossime iniziative (15 € gli adulti, 5 € i bambini). Info e prenotazioni (entro giovedì 30 maggio): Daniele(Jesi) 340/2367345 - Gianclaudio(Senig.) 334/5478822 Leggi tutto...

lunedì 13 maggio 2013

Renè, uno dei cinque, è libero e potrà restare a Cuba

Gli USA hanno certificato la perdita della nazionalità nordamericana a René González L’antiterrorista cubano René González ha annunciato che la Sezione d’Interesse degli Stati Uniti a L’Avana gli ha consegnato il certificato di perdita della nazionalità di nordamericano. “Adesso sono un cittadino cubano, un patriota dell’Isola, come sono sempre stato, ma questo non significa che provo rancori verso il popolo o il paese dove sono nato”, ha dichiarato in una conferenza stampa. “Stare a Cuba non significa per niente essere libero, perchè non lo sarò sino a quando i miei quattro compagni, Gerardo Hernández, Ramón Labañino, Antonio Guerrero e Fernando González rimarranno prigionieri, solo per aver salvato la vita di molti innocenti, cioè il loro bene più prezioso”. “È il momento di ricordare al mondo che continuiamo ad essere Cinque, come il primo giorno, e nello stesso tempo siamo uno” ha sottolineato. “Non mi sentirò libero sino a che anche loro non torneranno con le loro famiglie, con il popolo”, ha aggiunto. “Continuerò la lotta per la loro scarcerazione da qualsiasi trincea, per far sì che il mondo conosca questo caso, sorto per via della smania di qualcuno che per difendere i suoi terroristi ha messo noi dietro le sbarre”. Offrendo dettagli su quest’ultimo processo, René ha spiegato che adesso si deve aspettare che la giudice si pronunci, anche se i suoi avvocati sperano che Joan Lenard permetta la sua permanenza definitiva nell’Isola. “Questa mozione, la richiesta della perdita della nazionalità statunitense è stata presentata nel luglio dell’anno scorso, ma le autorità non avevano fiducia e non credevano che se io venivo a Cuba, avrei davvero rinunciato alla cittadinanza. Non si tratta di un’azione di generosità da parte degli USA, in realtà non avevano pretesti per non accettare la mia domanda di perdita della cittadinanza nordamericana per venire definitivamente a Cuba, perchè secondo loro io sono una minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti”, ha aggiunto René González. Poi ha ringraziato a nome dei suoi compagni per la solidarietà espressa in differenti scenari dal presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, che ha considerato un uomo degno dell’America Latina. “Anche se ci sono interessi per stimolare l’abbandono della campagna per liberazione dei Cinque, non ci riusciranno e noi ora dobbiamo rinforzare la battaglia e gli sforzi per far conoscere questo caso allo statunitense medio”, ha precisato. (PL/ Traduzione Granma Int.) Leggi tutto...

sabato 20 aprile 2013

il "mentira tour" di Yoani Sànchez.

Capita che ai nostri banchetti di solidarietà con Cuba si avvicinino persone chiedendo cosa ne pensiamo della blogger cubana Yoani Sanchez ( a Perugia il 26 aprile prossimo ospite al festival del giornalismo www.festivaldelgiornalismo.com/programme/2013 ) e delle persecuzioni che afferma di subire dalle autorità cubane. Secondo noi è il risultato dell’ennesima campagna di discredito contro Cuba, come la falsa notizia dell’epidemia di colera nell’isola e la farsa dei reporter italiani fermati senza visto giornalistico, la conferma dell’esigenza degli Stati Uniti e di chi gli regge il gioco, di screditare la Rivoluzione dopo che anche quest’anno per la 21^ volta consecutiva l’assemblea dell’ONU ha condannato quasi all’unanimità (188 voti a favore, 2 astenuti e no di Stati Uniti, Israele e Palau) il criminale embargo imposto a Cuba. Per quanto riguarda il lavoro che svolge la Sanchez a Cuba consigliamo la lettura di due interviste, una a Giancarlo Guglielmi che ha lavorato per 7 anni a Cuba per aziende italiane e ora vive per circa sei mesi all’anno nell’isola caraibica http://www.micaribe.it/micorner/ e una di Salim Lamrani, http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=7067 http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=7017&mode=thread&order=0&thold=0 docente universitario alla Sorbona di Parigi, alla famosa blogger cubana, molto lunga ma vale la pena leggerla per intero, Lamrani smonta il mito Yoani Sànchez e la relega nell'ambito che le è più consono, tra quelli che i cubani definiscono gusanos. Buona lettura. Leggi tutto...

sabato 6 aprile 2013

Haiti ha bisogno di solidarietà, non di soldati

di João Pedro Stedile. Traduzione di Serena Romagnoli Sono appena tornato da un viaggio a Haiti. Ho partecipato a un congresso del movimento contadino haitiano e ne ho approfittato per visitare varie regioni del paese e i progetti che con la brigata di Via Campesina-Alba stiamo realizzando in solidarietà al popolo di Haiti. Vorrei cominciare il mio racconto commentando le caratteristiche principali di quella nazione. È un paese delle dimensioni dello stato brasiliano di Alagoas (27.000 chilometri quadrati), totalmente montagnoso come il Minas Gerais e con le montagne completamente devastate, senza vegetazione, poiché i contadini, durante decenni, sono dovuti ricorrere al carbone come unica fonte di energia e reddito. Tutto il cibo, a Haiti, è cucinato con il carbone. Non ci sono fornelli a gas nel paese, salvo nei quartieri ricchi di Port-au-Prince, la capitale. Il clima è ovunque semiarido. Piove soltanto tre mesi all’anno, e poi c’è la siccità simile a quella del nostro nordest… E gli abitanti sono dieci milioni di persone, in un piccolo territorio sovrappopolato con il 95% di afrodiscendenti e il 5% di mulatti. Sono eredi della prima grande rivoluzione sociale dell’America Latina, quando nel 1804 si ribellarono contro i colonizzatori francesi che li sfruttavano come schiavi e li condannavano a una vita media di 35 anni. Espulsero i colonizzatori, eliminarono la schiavitù e distribuirono le terre. E siccome sapevano che i colonizzatori sarebbero potuti tornare con molte più armi, salirono sulle montagne, dove stanno anche oggi. I colonizzatori tornarono, ma non erano più francesi; vennero i capitalisti USA, che occuparono l’isola dal 1905 al 1945. E quando se ne andarono, lasciarono la dittatura Duvalier, filo-americana, che terrorizzò la popolazione dal 1957 al 1986. Ci furono poi governi provvisori. Nel 1990 fu eletto il padre Aristide, della teologia della liberazione, ma non durò. Gli americani lo rovesciarono e lo portarono a Wasghinton, per dargli lezioni di neoliberismo. Tornò addomesticato per compiere un altro mandato. Poi elessero Preval, che riuscì a portare a termine il suo mandato, ma senza realizzare nessun cambiamento in senso democratico. E ora hanno eletto un governo burattino degli americani che ha speso 25 milioni di dollari in campagna elettorale. Tutti sanno a Haiti che non è stato eletto dal popolo. Ci dovrebbero essere elezioni per il parlamento, visto che il mandato è scaduto da più di sei mesi, ma nessuno ne parla. Quindi non c’è più un parlamento legalmente costituito anche se è in carica. In pratica il potere reale è esercitato dalle truppe delle Nazioni Unite, chiamate MINUSTAH (missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione di Haiti)! Anche se si sono liberati dalla schiavitù, gli haitiani hanno vissuto pochi anni di democrazia (e di democrazia borghese). Il popolo vive in una penuria estrema di cibo e beni materiali, aggravatasi con il terremoto del gennaio 2010, che ha ucciso migliaia di persone e distrutto praticamente tutta la città di Port- au-Prince. Ma è un popolo che conserva la sua dignità e il suo orgoglio, unito dalla cultura, dalla lingua creola, che parlano solo loro nel mondo, e dal Vudù (equivalente del nostro candomblé), praticato da quasi tutta la popolazione, anche se mantengono il sincretismo religioso nei comportamenti: la domenica a messa e il giovedi al “terreiro”. Nelle regioni rurali non ci sono scuole. Il 70% degli haitiani vive nelle campagne. L’analfabetismo tocca il 65% della popolazione. Non c’è energia elettrica nell’interno del paese. C’è unicamente a Port-au-Prince. Ci sono solo tre strade nazionali asfaltate. Non c’è acqua potabile. Tutti devono acquistarla a prezzi internazionali. L’anno scorso, per la prima volta nella storia dell’isola, c’è stata un’epidemia di colera, che ha ucciso centinaia di persone. La malattia medievale è stata portata dai soldati nepalesi che buttavano i loro rifiuti nel principale fiume del paese. C’è qualche tribunale internazionale che abbia deciso di processare le Nazioni Unite per quelle morti? Più del 65% di tutti gli alimenti sono importati o arrivano nella forma di donazioni, di cui si appropria una borghesia commerciale negra che sfrutta la popolazione. Le famiglie che riescono ad avere qualche soldo, per comprare prodotti che arrivano dalla vicina Repubblica Dominicana, sono quelle aiutate da parenti che lavorano negli USA. In uno scenario di questo tipo, non è difficile immaginare lo scoppio di prossime rivolte popolari. Ma non preoccupatevi, ci sono 12.000 soldati di molti paesi del mondo, coordinati dall’esercito brasiliano con il marchio delle Nazioni Unite, per contenere le possibili rivolte. Sfilano in convogli, dotati di moltissime armi, solo per dire al popolo: Non dimenticatevi che stiamo qui per mantenere l’ordine! L’ordine della povertà e della nuova schiavitù. Lì non ci sono guerre, né violenze (l’indice degli omicidi è il più basso dell’America Latina), i soldati stanno lì come poliziotti. Ho chiesto a dei soldati brasiliani perché stavano lì, visto che non sanno neanche il creolo per comunicare con la popolazione. L’unica risposta che ho ottenuto è stata che se andassero via loro arriverebbero gli statunitensi, che sono molto più violenti. Il popolo di Haiti non ha bisogno di soldati armati. Il popolo di Haiti ha bisogno di solidarietà per sviluppare le forze produttive del suo territorio e produrre i beni di cui ha bisogno per uscire dall’immensa penuria che soffre. Il popolo di Haiti ha bisogno di sostegno per avere energia elettrica, per costruire una rete di distribuzione di gas da cucina e evitare il disboscamento. Ha bisogno di una rete idrica per la distribuzione dell’acqua potabile e di scuole di tutti i livelli in tutti i villaggi. Hanno bisogno di semi e utensili. Per il resto sanno bene cosa devono fare. Stanno lì dal 1804 come popolo che si è liberato, sopravvivendo e moltiplicandosi nonostante i tanti sfruttatori stranieri. Per fortuna ci sono modi di mettersi in relazione con il popolo di Haiti. Il governo di Bahia ha mandato cisterne per immagazzinare l’acqua piovana, di cui gli haitiani sono molto grati. La Petrobras ci ha aiutato a portare in Brasile 77 giovani contadini, che studiano agroecologia. La chiesa cattolica di Minas Gerais ha fatto una raccolta speciale in tutte le parrocchie per finanziare progetti di sviluppo agricolo a Haiti, dagli orti all’allevamento delle capre e delle galline e alla produzione di semi. E noi movimenti sociali di Via campesina Brasil, con le poche risorse di cui disponiamo, abbiamo inviato, da più di 6 anni, una brigata permanente di giovani volontari, che stanno realizzando progetti in campo agricolo, cisterne, progetti educativi. Il popolo di Haiti è arrabbiato per le truppe della Minustah. Se le Nazioni Unite volessero aiutare davvero Haiti, potrebbero seguire l’esempio di Venezuela e Ecuador. I loro soldati non sono armati e stanno costruendo case, strade e magazzini. O seguire l’esempio di Cuba, che anche a Haiti ha mandato più di 5.000 medici volontari, l’unico servizio sanitario pubblico che esiste nel paese, realizzato da questi medici umanisti che danno l’esempio della pratica del socialismo. Penso che il nostro dovere come fratelli degli haitiani sia continuare a protestare e chiedere che le truppe si ritirino da Haiti e continuare a sostenere gli haitiani con progetti di sviluppo economico e sociale. * J.P. Stedile è il leader più conosciuto dell’Mst, il Movimento dei Senza Terra brasiliani, e di Via campesina, l’organizzazione internazionale che raggruppa movimenti e lavoratori agricoli. Leggi tutto...

martedì 12 marzo 2013

Fiesta de la primavera

Questo è l'inizio del post. E questo è il resto. Hola a todos! Sabato 16 marzo 2013 ore 20:30 Fiesta de la primavera al Circolo Uisp Cesanella di Senigallia Bocciodromo di via Mantegna, 2 (dietro la SACCARIA) CENA con il seguente menù: • Antipasto cubano • Pennette all’amatriciana (al pomodoro e basilico per i vegetariani) • Stinco di maiale con patate, contorni di verdure • Dolce • Vino, Acqua, e naturalmente Ron Cubano! BALLO con spettacolo del gruppo cubano “Beatriz Lopez & Achevere de Cuba” Il costo della serata è di € 20 partecipiamo numerosi!!! per poter calcolare bene le quantità è gradita la prenotazione telefonando o smessaggiando ai seguenti numeri: Peppe 339/8242575 – Maurizio 333/3745938 – Gianclaudio 334/5478822 ricordiamo che tutto il ricavato verrà utilizzato per il finanziamento dei progetti di cooperazione con Cuba che l'Associazione Italia Cuba porta avanti da anni direttamente sull'isla. Chi lo vorrà potrà inoltre cogliere l'occasione per rinnovare la tessera annuale. vi aspettiamo numerosi e .. hasta la victoria! Leggi tutto...

mercoledì 6 marzo 2013

QUE VIVA CHAVEZ !

Dopo due anni di lotta contro il cancro alle 16,25 ora locale il presidente internazionalista è deceduto a seguito di un'infezione respiratoria. Dall'11 dicembre, operato per la quarta volta a Cuba, non si presentava in pubblico. Per il vicepresidente Nicolas Manduro è stato ucciso come il leader paestinese Yasser Arafat, e nel discorso alle tv chiude con un "Che viva Chavez". di Fabrizio Casari La notizia è arrivata in tarda serata, dura, secca, dolorosa come un colpo allo stomaco. Il Presidente del Venezuela, Comandante Hugo Chavez Frias, è morto. E’ l’esito di una lotta lunga due anni contro il cancro e di una battaglia senza sosta lunga una vita intera contro l’imperialismo Usa in America Latina. Stati Uniti che vengono accusati dal vicepresidente Nicolas Maduro di aver complottato contro la vita stessa di Chavez oltre che contro la stabilità politica del Paese. Si parla di avvelenamento e da Washington, ovviamente, smentiscono sdegnati. Nelle stesse ore, intanto, Caracas ha espulso due alti funzionari della locale ambasciata statunitense per ingerenza negli affari interni del Venezuela. I prossimi giorni ci saranno maggiori elementi per capire la dimensione precisa delle accuse dei vertici della Rivoluzione bolivariana, per ora prevale l’emozione di un paese che è stato colpito direttamente al cuore. Le decine di migliaia di persone che si riversano in strada a testimoniare l’amore per il loro leader, raccontano di un paese che si troverà da domani alle prese con un necessario riassetto della leadership in grado di far fronte all’offensiva di una destra tra le peggiori del pianeta per corruzione, servilismo e odio sociale nei confronti dei nullatenenti. Una storia che proprio Chavez ha saputo ribaltare, portando alla ribalta le ragioni del suo popolo e mettendo all’angolo, elezione dopo elezione, referendum dopo referendum, le ambizioni di una borghesia nazionale dominante verso l’interno e telecomandata dall’esterno. Nelle due occasioni che ho avuto di parlargli, l’impressione di avere di fronte un uomo capace di superare i suoi stessi limiti pur di raggiungere gli obiettivi che si proponeva, si sommava a quella di avere di fronte un leader davvero completamente immedesimato con il suo popolo, immerso fino in fondo nel suo destino. Proprio aver incontrato tanti leader di tanti paesi mi facilitava la sensazione di avere di fronte qualcuno di assolutamente diverso. La lotta dell’impero e dei suoi funzionari contro Chavez non ha avuto sosta, nulla è stato risparmiato per disarcionare il presidente venezuelano dal potere. Ma nemmeno con il colpo di stato del 2002, come sempre deciso e organizzato a Washington, riuscirono ad aver ragione della rivoluzione bolivariana. Chavez, deposto dai militari traditori, nel giro di poche ore venne rimesso al suo posto da una sollevazione popolare e i golpisti dovettero riparare all’estero o finirono agli arresti. Sia il Venezuela che l’intera America Latina sono state sedotte e conquistate da un uomo che ha saputo realizzare una rivoluzione autentica, rovesciando con le due idee e i suoi atti l’ordine preesistente. Capace di comunicare come nessuno mai con il suo popolo, Chavez è stato il nemico giurato dell’oligarchia venezuelana e uno dei più accaniti sostenitori delle ragioni di un nuovo socialismo - il socialismo del terzo millennio - che tanto impulso ha dato al pensiero progressista proprio nella fase storica nella quale la sinistra cominciava a pagare, internazionalmente, il costo di una sconfitta epocale. Ma pur nell’epoca del pensiero unico, il Presidente venezuelano seppe porsi in prima fila nella rielaborazione di una teoria politica socialista, che si compone di indipendenza nazionale, giustizia sociale e solidarietà internazionalista, sul piano regionale come su quello globale. Dedicò ogni sforzo al consolidamento delle relazioni continentali e non lesinò aiuti e sostegno ai paesi con minori possibilità. Da essi venne sempre ricambiato con la disponibilità totale a combattere le stesse battaglie, a perseguire gli stessi obiettivi, a disegnare un nuovo continente unito, libero dal giogo del Washington consensus. Il suo rapporto straordinario con Fidel Castro ha in qualche modo rappresentato, anche simbolicamente un passaggio di testimone dalla resistenza di un’isola orgogliosa e ribelle ad un intero continente oggi profondamente immerso nella sua nuova storia democratica e socialista. Nella storia del Venezuela Chavez può ben essere definito l’erede di Simon Bolivar. Una personalità debordante, un carisma raro, una connessione di sentimenti ed emozioni con il suo popolo difficile da riscontrare con frequenza. Un amore verso gli ultimi della sua terra assolutamente ricambiato. Il Venezuela di Chavez, lungi dall’essere un paradiso in terra e pure ancora alla ricerca di una dimensione finalmente libera dalle contraddizioni violente di una società complessa, è stato infatti negli ultimi dodici anni un paese diverso; più giusto, più umano, lontano sideralmente dal covo d’ingiustizia e apartheid sociale ed etnico che decenni di dittatura militare e democrazie fantoccio, entrambe stabilite a Washington e applicate a Caracas come in ogni dove dell’America Latina, avevano caratterizzato. Tutto cambiò nel 1998, quando l’ex ufficiale dei paracadutisti strappò il suo paese al destino di republica petrolera prima nei profitti e ultima nell’equità. Analfabetismo, morti per povertà, fame strisciante e diffusa, mancanza di case e di assistenza sanitaria per i poveri ebbero i mesi contati. La riconversione dei proventi del petrolio in investimenti di politiche sociali a favore degli ultimi in patria, mentre fuori dai confini l’intensa attività di Chavez, ispiratore dell'alleanza bolivariana delle americhe (ALBA) ha dato un enorme, fondamentale contributo alla rete straordinaria di alleanze politiche con i governi progressisti di tutta l’America Latina e che rappresenta oggi la nuova stagione democratica del continente. Entro trenta giorni verranno convocate nuove elezioni e l'appuntamento elettorale sarà il primo passaggio politico che dirà se la rivoluzione bolivariana potrà continuare senza Chavez. Le parole di Maduro, in lacrime, in rappresentanza del governo e delle Forze Armate, al momento della comunicazione della morte di Chavez, non lasciano dubbi circa l’unità del gruppo dirigente che dovrà raccoglierne, nel modo che potrà e saprà darsi, l’eredità del chavismo: “Noi civili e militari assumiamo la tua eredità, le tue sfide, il tuo progetto; accompagnati dal nostro popolo, le nostre bandiere saranno sventolate con dignità. Grazie Comandante, mille volte grazie”. Le forze armate del Venezuela sono state dispiegate in tutto il paese, a garantire ordine e a fornire un messaggio chiaro a tutti coloro che, dall’interno e dall’esterno del Paese, fossero accarezzati dall’idea di approfittare della situazione. Sono ore di commozione e di rimpianti, di dolore e sgomento, non di debolezza. Ore nelle quali il popolo prenderà le sue strade e suoi nemici troveranno luogo solo al riparo delle loro case. Senza essere visto, armato della la spada di Bolivar e del suo sorriso aperto, Chavez passeggia e passeggerà ancora a lungo per le strade del suo Venezuela. Leggi tutto...