venerdì 13 giugno 2014

Cuba aspetta i suoi figli.

dal sito altrenotizie - di Fabrizio Casari. 
Con una iniziativa di assoluto valore etico e politico, 37 parlamentari italiani hanno firmato una lettera rivolta al Presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, per chiedergli di liberare Gerardo Hernandez, Ramon Labanino e Antonio Guerrero, i tre antiterroristi cubani ancora detenuti negli USA per aver esercitato attività investigativa in difesa di Cuba. Primo firmatario il Senatore Luigi Manconi, Presidente della Commissione Straordinaria per la tutela e la difesa dei diritti umani, i 37 deputati e senatori autori della missiva compongono l’Intergruppo parlamentare, formatosi su iniziativa meritoria della senatrice del PD Daniela Valentini. La rappresentante dell’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba, avvocato Tecla Faranda, attualmente a Washington per le "giornate di solidarietà" con la causa dei cubani, ha consegnato la lettera durante gli incontri tra la delegazione internazionale di parlamentari, giuristi e intellettuali con i congressisti statunitensi.Questo è l'inizio del post. Un gesto, quello dei 37 deputati e senatori, che rompe il velo di silenzio che in Italia avvolge la vicenda paradossale di questi uomini incarcerati per aver combattuto il terrorismo ma che, com’era da aspettarsi, non trova l’interesse dei media nostrani, intruppati ideologicamente nelle fila ordinate dell’impero a stelle e strisce. Si sommano così ai parlamentari di Gran Bretagna, Germania, Brasile, Messico, Belgio, Cile, Panama, Scozia, Giappone e tanti altri ancora che hanno chiesto con atti parlamentari la liberazione dei tre cubani ancora prigionieri. Nel nostro Paese si deve dare merito alla tenacia dell’Associazione Italia-Cuba e di tutti coloro che hanno voluto alzare la voce contro questa ignobile vicenda di abuso giudiziario, se le migliori firme della cultura italiana hanno aderito alla campagna per la loro liberazione. E l’iniziativa dei 37 parlamentari interrompe il silenzio apatico - quando non complice - delle nostre istituzioni. Un silenzio voluto in alcuni casi, conseguenza del provincialismo tutto italiano che fa dedicare montagne di pagine agli spifferi d'ogni politicante e tace su ciò che è dotato di rilievo più ampio. Eppure la vicenda, sotto ogni punto di vista, poteva e può considerarsi enorme; sia per gli aspetti politici, sia per quanto attiene alla mostruosità giuridica del caso, sia anche per la dimostrazione della mancanza totale d’indipendenza della magistratura statunitense nei confronti della Casa Bianca. Dal punto di vista strettamente giornalistico la storia avrebbe avuto innumerevoli spunti di riflessione e di denuncia e ben avrebbe meritato inchieste invece mai nemmeno iniziate, mentre sono stati scanditi uno ad uno sedici anni di silenzi. Gerardo Hernandez, Ramon Labanino, René Gonzalez, Fernando Gonzalez e Antonio Guerrero erano agenti dei servizi segreti dell'Avana impegnati in attività antiterroristiche. Fornirono al loro governo documentazioni precise su quanto avveniva a Miami. Cuba, nella convinzione che la guerra al terrorismo fosse diventata davvero una priorità per gli Stati Uniti, consegnò ad alti funzionari del FBI un lungo e dettagliato dossier sulle attività terroristiche anticubane organizzate in Florida. Iniziativa pagata cara, forse con la speranza che le relazioni bilaterali Cuba-USA potessero segnare una discontinuità positiva in materia di lotta al terrorismo. L'FBI, preso atto della documentazione fornitagli, agì immediatamente: lasciò liberi i terroristi e arrestò gli antiterroristi. Era il 12 settembre 1998 e cominciava la storia pubblica dei cinque eroi cubani. Vennero accusati con 26 capi d'imputazione relativi ad altrettante violazioni delle leggi federali USA. Ventiquattro di queste di ordine tecnico (dalla falsificazione di documenti alla mancata registrazione come agenti di servizi segreti stranieri) e, tutto sommato, lievi. Non c’erano accuse di porto abusivo di armi, né di atti violenti contro persone o cose. Eppure le condanne sono state abnormi. I cinque agenti cubani si trovavano negli Stati Uniti per infiltrarsi nelle organizzazioni terroristiche cubano-americane stanziate in Florida. Queste, che agiscono con la copertura ed il sostegno delle autorità federali della Florida e l'appoggio politico della Casa Bianca, sono responsabili di innumerevoli attentati ed assassinii di funzionari del governo cubano e cittadini dell'isola. Sono altresì responsabili di sequestri di aerei, navi ed attentati ad installazioni cubane dentro e fuori l'isola. I loro affiliati, coordinati e finanziati sia dalla CIA che dalla FNCA, la Fondazione Nazionale Cubano Americana, sono liberi. Non hanno subito mai nessun tipo di condanna per le loro azioni criminali e la loro cospirazione ai danni di un paese straniero, e godono della totale impunità da parte del governo statunitense, che gli permette persino di addestrarsi apertamente alla guerriglia nelle everglades della Florida. Sono la mano d’opera sporca per ogni operazione della Cia in America Latina, dunque vengono considerati patrimonio delle covert actions che dal Canada alla Terra del Fuoco gli Stati Uniti programmano e realizzano a difesa dei loro interessi. La storia della Rivoluzione cubana s'intreccia purtroppo di continuo con quella del terrorismo diretto e organizzato negli USA contro di lei; un terrorismo che dal 1959 ha prodotto una invasione militare (fallita), 3478 morti, 2099 feriti, 294 tentativi di dirottamenti marittimi ed aerei, 697 atti terroristici, 600 tentativi di assassinio del suo leader, 1821 miliardi di dollari di danni diretti e dimostrati procurati all'economia dell'isola. Il lavoro dei cinque cubani detenuti negli Stati Uniti aveva almeno impedito 44 attentati ulteriori attentati, salvando la vita a chissà quante persone. Se fossero stati cittadini statunitensi avrebbero ricevuto una medaglia e centinaia di reportages, ma sono cubani e dunque vanno in galera e sotto silenzio assoluto. Il processo, svoltosi in Florida, durò sette mesi, un record per i processi penali statunitensi. La difesa presentò più di 70 testimoni a favore, tra i quali due generali dell'esercito, un ammiraglio ora in pensione, ed un ex assistente presidenziale. Lo stesso Pubblico Ministero ammise che non venne trovato ai cinque nemmeno un foglio contenente informazioni riservate destinate alla sicurezza nazionale. Ciò nonostante, l'accusa fu quella di spionaggio. Vennero accusati del tentativo di carpire segreti militari agli USA e di attività contro la sicurezza nazionale. Ma il loro compito era quello, esclusivo, d'infiltrarsi nelle organizzazioni terroristiche cubano-americane e, quindi, nulla aveva a che vedere con lo spionaggio antistatunitense. Risulta perciò paradossale (o illuminante, dipende dai punti di vista) che proprio questa attività investigativa sia stata considerata dal tribunale una minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Perché indagare sui terroristi diventa minacciare la sicurezza nazionale degli Stati Uniti? Più che le accuse nei confronti degli antiterroristi cubani, dalla loro vicenda emerge una verità storica e politica che surclassa quella della farsa processuale: i cinque cubani non furono condannati per violazione delle leggi degli Stati Uniti, ma per aver scoperto quelli che, sì, le vìolano. Si sono infiltrati in una rete terroristica che, per il fatto di poter essere infiltrata, evidentemente esiste e non è inviolabile. Se si vuole. La detenzione dei cinque cubani, come la sentenza di condanna, è stata molto al di sotto degli standard minimi di decenza. In barba alla tanto osannata indipendenza dei media verso il potere, giornali e Tv statunitensi decisero di oscurare completamente la vicenda, che per la loro assurdità e per il suo valore simbolico avrebbe potuto creare danni notevoli alla retorica della leadership statunitense. Ma la sabbia sotto la quale hanno tentato di nascondere la vergogna dell’operazione non ha impedito a Cuba e a quanti, fuori da Cuba, si sono impegnati nella denuncia delle violazioni dei diritti umani, di sollevare il caso e imporlo all’attenzione internazionale. Anche grazie alla mobilitazione di una rete di solidarietà internazionale, alla quale hanno aderito intellettuali, artisti, giuristi, personaggi della cultura e della politica di tanti paesi, ben dieci Premi Nobel e Amnesty International, il 27 Maggio del 2005, il Gruppo di Lavoro sulle Detenzioni Arbitrarie della Commissione per i Diritti Umani dell’ONU, dichiarò "arbitraria" la loro detenzione e chiese al governo USA di adottare immediate misure per risolvere la situazione. Oggi, quando Renè e Fernando Gonzalez sono di nuovo a Cuba, dopo aver scontato la loro condanna, Antonio, Ramon e Gerardo sono ancora prigionieri. In numerose occasioni Cuba ha fatto presente che si potrebbe aprire una trattativa bilaterale che porti alla loro liberazione in cambio di quella di Alan Gross, spia statunitense sotto copertura della NED, arrestato a L’Avana per spionaggio nel 2009 e condannato a 15 anni di prigione. Da Washington non arrivano segnali di disponibilità, per ora rifiutano l’idea di dover trattare con L’Avana; eppure, solo pochi giorni orsono, con i Talebani hanno scambiato un soldato statunitense con quattro jahidisti detenuti a Guantanamo. Ai Talebani evidentemente la Casa Bianca riconosce una possibilità d’interlocuzione che invece nega a Cuba. Sul piano giuridico formale lo scambio potrebbe essere semplice e rapido. Obama dispone della facoltà di usare il “perdono presidenziale” per i condannati in via definitiva e rilasciare i tre cubani detenuti ingiustamente avrebbe come effetto immediato il ritorno a casa di Alan Gross. Si chiuderebbe in questo modo una vicenda vergognosa per la giustizia statunitense e potrebbe aprirsi uno spiraglio nelle relazioni tra Washington e L’Avana. Gli avvenimenti recenti, però, nonostante la reiterata disponibilità di Cuba ad avviare una nuova fase nei rapporti con gli USA, non dispongono all’ottimismo. La recente vicenda della multa alla banca francese BNP Paribas, accusata dagli USA di aver effettuato transazioni finanziarie con Cuba e altri paesi presenti nella ridicola lista dei cattivi che Washington stila ogni anno, non sembra indicare un cambio di rotta nella Casa Bianca. Pare semmai che Washington insista nel trasformare le proprie iniziative politiche in giurisprudenza internazionale, estendendo a tutto il mondo le sue leggi interne, a voler ribadire chi governa il mondo. E nemmeno sul fronte dell’aggressione terroristica sembra potersi proiettare un film diverso da quello degli ultimi 53 anni. Gli arresti del 6 Maggio scorso a L’Avana dei mercenari José Ortega Amador, Obdulio Rodríguez González, Raibel Pacheco Santos y Félix Monzón Álvarez, tutti procedenti da Miami e reo confessi di organizzazione di atti terroristici, indicano che l’attività dei gruppi terroristici della Florida proseguono e che Washington non ha nessuna intenzione di rinunciare all’uso del terrorismo nello scontro politico con l’isola socialista. Obama o Bush, in questo senso cambia poco: se gli avversari degli Usa diventano automaticamente terroristi e i terroristi amici degli USA vengono definiti "combattenti per la libertà", allora diventa difficile separare lo stretto interesse politico della Casa Bianca dall’ipocrita guerra al terrore planetario.E questo è il resto. Leggi tutto...