venerdì 25 dicembre 2020

buone feste e sereno 2021

Car* Compagn*,

nel formulare i migliori auguri di buone feste e sereno 2021 a voi e ai vostri cari  il circolo di Senigallia dell’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba invita le singole cittadine e cittadini, le associazioni di solidarietà con Cuba, le organizzazioni sociali, culturali e politiche a sostenere la candidatura al premio Nobel per la pace 2021 alla Brigata Medica Internazionale Henry Reeve.

Di seguito l’appello dei compagni dell’USB che, a nostro avviso, riassume come meglio non si potrebbe il perché sia meritato questo riconoscimento internazionale a Cuba.

Il direttivo del circolo di Senigallia. 

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La seconda ondata pandemica sta riprendendo con una potenza maggiore di quella iniziale. Non è responsabilità della malasorte o del caso, ma di scelte politiche criminali, dettate da Confindustria e dalle grandi multinazionali, che impongono ad un governo servile l’apertura delle grandi fabbriche e di tutto l’indotto, causa principale di diffusione della pandemia. È la “razionalità” del capitalismo, che sacrifica la salute e la vita delle maggioranze sull’altare del profitto.

Mentre di fronte all’incedere del virus le frontiere dell’Unione Europea si chiudevano a riccio, a difesa delle economie degli Stati più ricchi, i cosiddetti paesi “frugali” guidati dalla Germania, un paese del terzo mondo ci ha inviato un aiuto insperato ed inspiegabile secondo i canoni della concorrenza mercantilistica e del feroce interesse egoistico.

Un’altra razionalità si è messa in moto in questi mesi terribili, quella della solidarietà internazionalista, che ha portato anche in Italia - come in altre decine di paesi del mondo - una brigata di medici, infermieri e tecnici cubani a sostenere la disastrata sanità lombarda e piemontese nel momento di maggior picco pandemico, da marzo a maggio 2020.

Parliamo della Brigata Medica Internazionale Henry Reeve, già nota alle cronache per il suo impegno contro altri flagelli indotti dal distorto modello di sfruttamento capitalistico, come l’epidemia da Ebola in Africa, ma anche contro epidemie frutto della miseria. Ci riferiamo alla Misión Milagro in America Latina, che dal 2004 aiuta persone con scarse risorse affinché possano essere operate gratuitamente per vari problemi oculari. Ad oggi oltre un milione di poveri hanno riacquistato la vista grazie a quella Missione.

Drammaticamente, il Covid-19 ha messo di nuovo a confronto due modelli sociali ed economici, che hanno dato risposte sia immediate sia strutturali radicalmente differenti alla pandemia, ottenendo risultati diametralmente opposti. Basta leggere i dati dell’OMS per capire la differenza tra la devastazione in atto nei paesi a capitalismo avanzato e la situazione nei paesi socialisti come Cuba, il Venezuela, il Vietnam, la Cina, il Kerala (India). Questi paesi stanno dimostrando che è possibile mettere sotto controllo il virus, senza dover attendere il vaccino. È sufficiente mettere al primo posto la vita dei popoli, piegando ad essa la produzione ed il profitto.

Il governo cubano, sin dal primo gennaio 1959, quando le colonne guidate da Fidel Castro e Ernesto Che Guevara entrarono vittoriose a La Habana, ha fondato la sua ragion d’essere sulla difesa della salute, del lavoro, della cultura, dei servizi alla persona, come la casa per tutti, l’assistenza agli anziani e ai bambini, la difesa della natura, ma anche sulla solidarietà internazionalista, racchiusa nella parola d’ordine “Noi esportiamo medici, non bombe”

La Brigata Medica Internazionale Henry Reeve incarna e rappresenta in pieno quelle conquiste, che sono la materializzazione di una umanità abolita di fatto nel nostro paese, così come in tutti i paesi del cosiddetto “primo mondo”.

Il premio Nobel per la pace a questi uomini e donne, che di fronte ad ogni catastrofe sono pronti a lasciare il proprio paese e i propri affetti per rischiare la vita a favore di persone sconosciute, è un premio alla concezione del mondo che rappresentano, in un’epoca nella quale la vita stessa del genere umano è in pericolo, a causa della irrazionalità di un sistema economico che ancora domina su gran parte del pianeta.

L’Unione Sindacale di Base conosce bene il popolo e il governo cubani, dai quali ha sempre tratto ispirazione nel quotidiano impegno al fianco del mondo del lavoro e dei settori popolari del nostro paese, brutalizzati dallo sfruttamento e dalla negazione di diritti sociali, sindacali e politici.

Per questo siamo orgogliosi di sostenere in tutto il paese la campagna a sostegno della candidatura al premio Nobel per la pace 2021 alla Brigata Medica Internazionale Henry Reeve.

Sosteniamo il Nobel per La Pace alle Brigate dei Medici Cubani.

 


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martedì 8 dicembre 2020

Si chiama Soberana la via cubana al vaccino anti-Covid.

 


Allo sviluppo dei vaccini cubani collabora anche un ricercatore italiano, il 35enne Fabrizio Chiodo di seguito l’intervista pubblicata su Il Manifesto del 2 dicembre scorso.

Buona lettura.  Italia-Cuba Senigallia

Le immagini dei medici cubani sbarcati nel bergamasco per aiutare i colleghi travolti dal Covid-19 in primavera hanno fatto il giro del mondo. D’altronde i medici cubani sono spesso inviati all’estero per aiutare i paesi alle prese con emergenze sanitarie. È successo con il Brasile, dove hanno garantito assistenza sanitaria nelle aree più povere del paese, e in Africa occidentale all’epoca dell’epidemia di Ebola nel 2014. Alla salute dei paesi più poveri (e anche di quelli ricchi come il nostro) Cuba contribuisce non solo con la cooperazione umanitaria.

Anche dal punto di vista della ricerca e dello sviluppo di farmaci, e in particolar modo dei vaccini, l’industria biotecnologica cubana è spesso all’avanguardia. Così, mentre i vaccini anti-Covid sviluppati da multinazionali come Pfizer, Moderna e AstraZeneca dominano le cronache dei giornali, Cuba ha forse trovato una sua strada autonoma, e più silenziosa, nella lotta alla pandemia. Secondo i dati raccolti da Carl Zimmer, il giornalista del New York Times che segue lo sviluppo dei vaccini in tutto il mondo, i vaccini cubani rappresentano l’8% di tutti i vaccini giunti finora alla sperimentazione clinica. Allo sviluppo dei vaccini cubani collabora anche un ricercatore italiano, il 35enne Fabrizio Chiodo.

Lavora al Cnr di Pozzuoli e alla Vrije University di Amsterdam, ma si reca regolarmente nell’isola per periodi di insegnamento e di ricerca. «Ci sono quattro vaccini nelle varie fasi di sperimentazione a Cuba», racconta Chiodo. «Al Finlay Institute dell’Avana con cui collaboro si studiano due vaccini, battezzati “Soberana 1” e “Soberana 2”. Altri sono in fase di test presso il Centro per l’Ingegneria Genetica e la Biotecnologia di Cuba».

In cosa differiscono dai vaccini sviluppati negli Usa e nel Regno Unito?

I vaccini di Pfizer e Moderna sono basati sull’mRNA, cioè sulla trascrizione del codice genetico da parte delle stesse cellule che così producono la proteina “S” che circonda il coronavirus. In questo modo le cellule imparano a riconoscerla e sviluppano gli anticorpi. L’RNA però è particolarmente instabile e quindi deve essere conservata a bassissime temperature. Il vaccino AstraZeneca invece trasporta il DNA della proteina “S” nelle cellule attraverso un adenovirus, un virus innocuo ma altamente infettivo nei primati. Trattandosi di un virus piuttosto comune, però, il vaccino potrebbe essere neutralizzato dallo stesso sistema immunitario. Sono vaccini dai costi elevati e mai testati sui bambini. I vaccini a cui stiamo lavorando a Cuba, invece, utilizzano approcci completamente diversi. Soberana 1 consiste in una sub-unità della proteina “S” del coronavirus somministrata con una membrana del meningococco che agisce da adiuvante. È una tecnica già usata per il primo vaccino contro il meningococco di tipo B e C e sappiamo già che può essere somministrata già a partire dai 3 mesi di età. Soberana 2 invece presenta la subunità della proteina Spike legata alla proteina tetanotossoide, quella del tetano. È lo stesso approccio adottato per il vaccino contro Haemophilus Influenzae di tipo B, il primo vaccino coniugato sintetico sviluppato a livello commerciale contro un batterio che può causare polmoniti e meningiti. Anche in questo caso, i bambini già vaccinati con questa tecnica sono milioni.

 Per ottenere questi risultati, occorre un’industria biotecnologica avanzata.

La creazione del primo laboratorio di ricerca e produzione biotecnologica cubano risale al 1981. Oggi, gli istituti di ricerca e le industrie biotecnologiche cubane sono riunite sotto l’ombrello di BioCubaFarma, una holding con oltre ventimila dipendenti, 60 impianti di produzione e che esporta in 48 paesi. Cuba produce in casa 8 dei 12 vaccini che entrano nel programma nazionale di immunizzazione. L’Unicef fa spesso affidamento su Cuba per la distribuzione dei vaccini nei paesi africani. I ricercatori cubani vanno spesso all’estero per acquisire know-how. Quando si deve passare dalla ricerca accademica alla produzione industriale, i rapporti geopolitici ostacolano le collaborazioni. Però allo sviluppo di alcune piattaforme vaccinali ha collaborato la Cina, e il vaccino contro Haemophilus influenzae di tipo B è stato realizzato insieme a ricercatori canadesi. In ogni caso, al di là della lotta al Covid alle grandi aziende farmaceutiche la ricerca sui vaccini interessa poco, perché altri settori farmaceutici sono più redditizi.

Come ha risposto alla pandemia Cuba?

Le autorità sanitarie inizialmente hanno effettuato tamponi casa per casa, con uno screening a tappeto, riuscendo a contenerla. È stato ridotto l’utilizzo dei mezzi di trasporto, e si è riuscito a tenere aperte le scuole. Certo, il calo del flusso turistico ha rappresentato un colpo tremendo per l’economia cubana. In più, durante l’amministrazione Trump l’embargo è stato irrigidito e questo ha creato problemi nell’approvvigionamento energetico, con un paio di giorni senza corrente elettrica.

Quale lezione potrebbe insegnare all’Italia il sistema sanitario cubano?

Quello che è successo in Lombardia, con una sanità interamente pubblica probabilmente non sarebbe successo. A Cuba è stato certamente applicato un sistema di tracciamento più capillare. Inoltre, a Cuba la popolazione nutre un grande rispetto nei confronti dei medici. Cuba ha il più elevato numero di medici per abitante al mondo, secondo i dati dell’Oms. Ma con il rispetto delle regole e del distanziamento sociale, non hanno avuto gli stessi problemi dell’Italia.

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giovedì 26 novembre 2020

VIVA FIDEL! VIVA DIEGO!


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lunedì 23 novembre 2020

Ha vinto Biden. E adesso?


da Cubadebate, ripreso dal blog di Atilio Boron.

I democratici e i repubblicani sono gli amministratori dell’impero, niente di più. Ma nella loro incarnazione fisica, personale, caratteriale, ci sono sfumature che non vanno trascurate. Fidel diceva sempre: “Dio non esiste, ma è nei dettagli”. Che Elliot Abrams, Marco Rubio, Ted Cruz, Bob Menéndez e Ileana Ross abbiano perso l’accesso diretto allo Studio Ovale che garantiva loro Donald Trump rappresenta una differenza che sarebbe assurdo sottovalutare.

È noto che entrambi i partiti hanno perpetrato ogni tipo di crimini, in tutto il mondo, e che un semplice elenco di essi richiederebbe decine di pagine. Ma in questa recente elezione si correva un rischio aggiuntivo: una conferma plebiscitaria per tenere alla Casa Bianca un criminale come Donald Trump per altri quattro anni avrebbe avuto conseguenze funeste per i nostri Paesi. Menzioniamone appena tre.

Per prima cosa, l’immediata attivazione della “carta militare” contro il Venezuela che Mike Pompeo ha preparato durante il suo tour di appena un paio di mesi fa in visita in Brasile, Colombia e Guyana (tre Paesi confinanti con la nazione bolivariana) oltre al vicino Suriname. In secondo luogo, un Trump “ricaricato” avrebbe intensificato le sanzioni e il blocco contro Cuba, Venezuela e Nicaragua e aumentato le sue pressioni contro i governi di Argentina e Messico, che i consiglieri più reazionari di Trump, per quanto si faccia fatica a crederlo, considerano “alleati” o “complici” della sovversione chavista. In terzo luogo, la rielezione del magnate di New York avrebbe rafforzato il peso regionale di Jair Bolsonaro, Iván Duque e della destra radicale in America Latina e nei Caraibi.

Questi tre “dettagli”, tutt’altro che banalità, sono più che sufficienti per ricevere con un certo sollievo la sconfitta del magnate newyorkese[i]. In sintesi: c’è stata una scelta tra il peggio e il male, e quest’ultimo ha prevalso. Sconfortante, certo, ma queste sono le “scelte” che l’impero ha sempre da offrire. Ignorare questa verità, basata su una storia di oltre duecento anni, equivale a confondere le illusioni con la realtà.

Bene, e allora: che dire di Joseph Biden? È un vecchio politico (compirà 78 anni il 20 novembre) dell’establishment conservatore statunitense, con 47 anni trascorsi nei labirinti del potere a Washington [ii]. È stato senatore dal 1972 fino a quando, nel 2009, ha giurato come vicepresidente di Barack Obama. Durante questo quasi mezzo secolo non c’è molto nel suo dossier che permetta di aspettarsi un cambiamento significativo rispetto alla politica estera di Trump, soprattutto nell’ambito sempre turbolento delle relazioni continentali.

Di quello che si vi è certezza è che per tanti anni in Senato è stato complice, beneficiario – o almeno testimone silenzioso – della più volte denunciata corruzione istituzionalizzata a Washington, dei succosi contratti e delle concessioni offerte alle società del complesso militare-industriale e, dopo il crollo dei mutui del 2008, del favoloso salvataggio concesso dal Tesoro al corrotto sistema bancario statunitense. Tutto questo avvenne sotto i suoi occhi e non ha mai mostrato disaccordo o disagio morale.

Il rinnovamento o il “nuovo inizio”, retorica alla quale i presidenti degli Stati Uniti sono così affezionati quando spodestano i loro avversari, non combacia con la relazione promiscua che Biden – allo stesso modo di Trump, ma “stando attento alla forma”! – mantiene con la borghesia imperiale.

Per esempio, la sua costosa campagna elettorale è stata facilitata da generosi finanziamenti offerti dalle grandi corporation. Un rapporto rivela che Joe Biden ha ricevuto donazioni da 44 miliardari; ma la sua vice, Kamala Harris, lo ha superato ottenendo contributi da 46 miliardari statunitensi [iii].

In termini individuali Trump ha beneficiato della generosità di Sheldon Adelson, il proprietario di un casinò di Las Vegas e, secondo The Guardian, un “ardente conservatore filo-israeliano” che ha finito per donare 183 milioni di dollari alla campagna del newyorkese[iv]. Biden, a sua volta, ha ricevuto una donazione dall’ex sindaco di New York e magnate dei media Michael Bloomberg per il valore di 107 milioni di dollari.

Come si può vedere, sembrerebbe esserci una piccola contraddizione con il principio elementare di tutte le democrazie di “un uomo/donna per un voto”. Perché, ci sono forse dubbi sul fatto che Adelson e Bloomberg potranno far sentire la loro voce più chiaramente di John e Maggie, che non sono stati in grado di donare nemmeno venti dollari a nessun candidato della fiorente democrazia statunitense? Per questo Luzzani ha ragione quando parla del “gattopardismo” di Biden.

Ci sarà, questo sì, un cambio di stile: i gesti  da bullo e maleducati di Trump e compagnia (Pompeo e Bolton, in particolare) saranno dimenticati e, apparentemente, ci sarà una certa intenzione di riportare a galla il multilateralismo e di cercare compromessi mantenendo l’uso della forza come alternativa ma non come priorità assoluta.

Su questa linea, Biden ha promesso far rientrare il suo Paese negli Accordi di Parigi sul cambiamento climatico; il ritorno nell’Organizzazione Mondiale della Sanità per collaborare alla lotta contro la pandemia, e nell’Unesco, da cui Washington si era ritirata adducendo un presunto “pregiudizio anti-israeliano” di quell’organizzazione. Ma dobbiamo ricordare che gli Stati Uniti avevano smesso di finanziare l’UNESCO nel 2011, sotto la presidenza di Barack Obama e quando Joe Biden era il suo vicepresidente!

Dal Senato, Biden si è preoccupato di rafforzare il complesso militare-industriale e la stabilità del sistema finanziario nella grande crisi del 2008. Di fronte alla catastrofe sanitaria precipitata a causa del negazionismo di Trump rispetto al COVID-19, potrebbe tentare di resuscitare l’“Obamacare” come programma molto modesto di sanità pubblica. Ma ha prestato il fianco con il suo voto al Senato alle invasioni dell’Iraq e dell’Afghanistan e come vicepresidente ha avallato le operazioni militari in Libia e in Siria.

Per quanto riguarda i nostri Paesi, anche in qualità di vicepresidente di Obama, Biden ha sostenuto il colpo di Stato contro Juan Manuel Zelaya (Honduras, 2009); il tentativo di colpo di Stato contro Rafael Correa nel 2010; contro Fernando Lugo (Paraguay, 2012) e il fraudolento processo di impeachment contro Dilma Rousseff, tra il 2015 e il 2016 in Brasile. Non c’è quindi motivo di festeggiare nulla, se non la sconfitta di Trump.

Nel numero di marzo-aprile della rivista Foreign Affairs, una sorta di bibbia per l’establishment statunitense, Biden ha pubblicato un articolo nel quale anticipava quello che avrebbe fatto se fosse arrivato alla Casa Bianca. Il titolo – “Why America Must Lead Again” – non lascia dubbi sull’assoluta fedeltà di questo personaggio alla tradizione dell’“eccezionalismo” statunitense. Il mondo ha bisogno di un leader e gli Stati Uniti devono assumere di nuovo questo ruolo, assegnato nientemeno che da Dio e abbandonato da Trump, che ha sbagliato nel percorso per far sì che gli Stati Uniti “fossero di nuovo grandi” abdicando alla sua responsabilità di mantenere l’ordine internazionale e snobbando i propri alleati e amici.

Il suo programma ha tre assi: il rinnovamento e il rafforzamento della democrazia all’interno degli Stati Uniti e nel concerto internazionale; nuovi accordi commerciali per contenere la Cina e impedire che siano essa e i suoi alleati a stabilire le regole del gioco, cosa che l’impero rivendica come sua prerogativa assoluta così come è avvenuto dopo la seconda guerra mondiale; e, infine, mettere ancora una volta Washington a “capotavola” nei negoziati internazionali. Cina e Russia appaiono chiaramente come i nemici degli Stati Uniti, in linea con le tesi dominanti soprattutto a partire dai tempi di Obama.

Il linguaggio usato in alcuni passaggi è allarmante e non ha nulla di diplomatico, e ricorda alcune delle spavalderie e insolenze di Trump. Per esempio, definisce il governo di Vladimir Putin un “sistema di cleptocrazia autoritaria”, mentre afferma che Xi Jiping “era un bullo”, oltre ad accusare la Cina di aver sfacciatamente rubato i diritti di proprietà intellettuale e i beni delle grandi imprese e dei risparmiatori statunitensi.

Per quanto riguarda la democrazia promette di convocare, nel primo anno del suo mandato, una grande conferenza con i “leader amici” (che già possiamo immaginare quali saranno) per costruire una coalizione internazionale che promuova la democrazia e i diritti umani e combatta la corruzione, e che lavori in coordinamento sulla base di un’agenda comune.

Biden ritiene che una delle più grandi fratture del nostro tempo sia quella che divide le democrazie dalle diverse forme di autoritarismo. Non è la stessa cosa, ma ha una certa somiglianza con l’“Internazionale della Nuova Destra” promossa, sotto l’egida di Trump, dallo stratega di estrema destra Steve Bannon. Tra poco tempo la verità verrà alla luce e sarà possibile vedere chi sono le canaglie e chi sono gli eletti; chi sono i democratici e chi gli autoritari.

Per concludere: penso che non ci si possa aspettare nulla di buono da questa sostituzione. Il rischio maggiore è stato scongiurato e nient’altro. Nel 2008 e all’inizio del 2009, il progressismo europeo e latinoamericano hanno ceduto all’“Obama-mania” e hanno pensato, in un sfoggio di ingenuità, che un presidente afroamericano avrebbe compiuto il miracolo di trasformare la natura dell’impero e di farlo diventare il demiurgo della pace eterna che desiderava Immanuel Kant. La delusione di quelle anime belle, rigonfie di innocenza, non avrebbe potuto essere maggiore. C’è il rischio, anche se non identico, che la stessa cosa accada con Biden.

Il motivo di queste righe non è altro che metterci in guardia da una tale eventualità e dal cadere in un disarmo ideologico; e ricordare che con Trump o Biden rimaniamo in balia della voracità imperiale per le nostre risorse naturali, in un clima ideologico segnato da una paranoia che vede questo continente sul punto di “cadere nelle grinfie” della Cina o della Russia.

Il tono da “Guerra Fredda” che permea lo scritto di Biden è impossibile da nascondere. Resta, nonostante tutto, una tenue speranza: che egli ricordi e faccia riprendere, anche se solo parzialmente, la politica di Obama verso Cuba e ristabilisca le relazioni diplomatiche a livello di ambasciatori, elimini le soffocanti restrizioni in materia di viaggi, di rimesse, di commercio, di turismo e scambi culturali e, in definitiva, allenti un po’ i rigori di quel vero crimine contro l’umanità che è il blocco a cui l’Isola ribelle è stata sottoposta per 60 anni.

E, inoltre, che proceda in modo uguale nei confronti della Repubblica Bolivariana del Venezuela, ponendo fine alla figuraccia internazionale della Casa Bianca nella sua pretesa di fare di un buffone come Juan Guaidó un “presidente incaricato” di quel paese, e acconsenta a dialogare con il governo di Nicolás Maduro, abbandonando una volta per tutte la via dello scontro scelta da Trump, che, come è successo con Cuba, ha fallito miseramente.

Notas:

[i] La literatura sobre Donald Trump y su gestión en la Casa Blanca es enorme, y no podemos dar cuenta de toda ella aquí. Nos limitamos por eso a mencionar unos pocos títulos que aportan numerosas perspectivas para comprender al personaje y su papel en la política de Estados Unidos. Ver, por ejemplo, Silvina Romano, compiladora: Trumperialismo. La guerra permanente contra América Latina (Buenos Aires: Mármol Izquierdo/CELAG, 2020); Sonia Winer y Mariana Aparicio Ramírez, compiladoras: Estados Unidos: situación interna e internacional en el entorno de las elecciones y la pandemia (México: Unam/Anthropos y Siglo XXI editores, 2020); Casandra Castorena, Marco A. Gandásegui (h) y Leandro Morgenfeld, compiladores: Estados Unidos contra el mundo. Trump y la nueva geopolítica (Buenos Aires: CLACSO, 2018); Marco A. Gandásegui (h) compilador: Estados Unidos y la nueva correlación de fuerzas internacional (CELA, Panamá; CLACSO y Siglo XXI Editores, 2017) ; Silvina Romano, Aníbal García Fernández, Arantxa Tirado y Tamara Lajtman: “Elecciones presidenciales en EE. UU.: tendencias e impacto en América Latina”, accesible en:https://www.celag.org/elecciones-presidenciales-en-ee-uu-tendencias-e-impacto-en-america-latina/ Una revisión de las recientes elecciones se encuentra en Leandro Morgenfeld, ·Crónica de un escándalo anunciado”, en Revista Anfibia, Noviembre 2020, accesible en:http://revistaanfibia.com/ensayo/cronica-escandalo-trump-biden/ , Raúl Zibechi, El otoño del imperio, en La Jornada (México: 6 Noviembre 2020) accesible enhttps://www.jornada.com.mx/2020/11/06/opinion/019a1pol y Atilio A. Boron, “La herencia política de Trump”, en Página/12 (4 Noviembre 2020), accesible enhttps://www.pagina12.com.ar/303810-la-herencia-politica-de-trump

 [ii] Sobre Biden es imprescindible leer la esclarecedora nota de Telma Luzzani en Página/12 del domingo 8 de Noviembre: “Elecciones en Estados Unidos: el gatopardismo de Biden”, disponible enhttps://www.pagina12.com.ar/304393-elecciones-en-estados-unidos-el-gatopardismo-de-biden

[iii] Tal como se informa enhttps://www.rollcall.com/2019/11/20/the-democratic-field-middle-class-heroes-or-millionaire-hypocrites/

[iv] Cf.https://www.opensecrets.org/elections-overview/biggest-donors El gasto total de la campaña en el 2020 fue de casi 14.000 millones de dólares, más del doble de lo que se gastara en la presidencial anterior, en el 2016. [v] Joe Biden, “Why America Must Lead Again. Rescuing U.S. Foreign Policy After Trump”, en Foreign Affairs, Volumen 99, Número 2, Marzo/Abril 2020. La acusación de “matón” en contra de Xi Jiping la refiere Rick Gladstone en “Biden to Face Long List of Foreign Challenges, With China No. 1”, en New York Times (7 Noviembre 2020), accessible enhttps://www.nytimes.com/2020/11/07/world/americas/Biden-foreign-policy.html

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