martedì 29 marzo 2016

I rischi e le opportunità di una vittoria cubana.



dal sito http://www.militant-blog.org/ 

La visita di Obama a Cuba segna anche sul piano simbolico un passaggio importante nella storia nazionale e rivoluzionaria di Cuba. Ne avevamo accennato in occasione del ripristino delle relazioni diplomatiche che preludevano al viaggio di Obama, che questa svolta era da considerare, al netto dei rischi, un successo politico e diplomatico della Rivoluzione. Alla fine dopo più di cinquant’anni di embargo, la prima superpotenza militare del mondo ha dovuto, almeno parzialmente, modificare la propria politica aggressiva, apertamente provocatoria, contro la piccola isola del Caribe. L’apertura dell’ambasciata, il viaggio di Obama, l’indebolimento di alcune misure del bloqueo (peraltro ancora in vigore nonostante i strombazzamenti mediatici), la trattativa in corso per la normalizzazione delle relazioni commerciali, aprono nuove sfide alla Rivoluzione e per il popolo cubano. E’ prevedibile che l’amministrazione Usa utilizzerà, attraverso il parziale sblocco delle relazioni economiche, le armi della corruzione, della provocazione, dell’infiltrazione politica “liberale” o “socialdemocratica”, di cui sono consumati maestri, anche e soprattutto nella nuova fase politica che si sta aprendo. D’altronde non ci sembra cambiata la linea di aggressione condotta in questi anni dalle varie amministrazioni della Casa Bianca.  Non c’è nessuna “via liberal” all’imperialismo.
 Quello che succede in Venezuela, con il foraggiamento dell’opposizione interna al governo Maduro, è un caso noto ma, con le dovute differenze di contesto, è la linea programmatica Usa in tutti quei paesi dell’America Latina che hanno imboccato in questi anni una strada indipendente (non necessariamente rivoluzionaria o “para-socialista”) dai voleri di Washington. I media generalisti, anche quelli nominalmente di sinistra, si sono, come al solito, prostrati con elogi sperticati al nuovo corso illuminato di Obama, incensando il discorso fatto dal Presidente americano al Gran teatro, luogo simbolo della cultura cubana, in cui il presidente americano ha tentato di porsi sul piedistallo di una presunta superiorità morale in tema di diritti umani e democrazia. Un presunto universalismo che in casa cubana non è passato, non solo per la brillante gestione della conferenza stampa di Raul Castro, ma anche perché non ha trovato quel solito giro di pennivendoli che albergano le conferenze stampa organizzate usualmente dalla Casa Bianca e dai suoi alleati. L’amministrazione americana ha dovuto accettare un confronto paritario con la classe dirigente che governa il processo rivoluzionario cubano, e questa è già di per sé una notizia: è stato, in tutti i suoi passaggi, un confronto fra pari. Possiamo allora dire che, almeno nell’immediato, il popolo e il governo cubano escono rafforzati, non certo indeboliti, dalla svolta negoziale.
Va anche aggiunto che Cuba ha svolto un ruolo decisivo nell’incontro tenutosi all’aeroporto de L’Avana tra Papa Bergoglio e il primate russo ortodosso, un evento internazionale non irrilevante e che in qualche modo rafforza il ruolo diplomatico di Cuba, senza dimenticare il ruolo di mediazione svolto nelle annose trattative tra le Farc e il governo colombiano. Tutto questo conferma il ruolo di un paese che oggi sembra non essere declinante, ed è anche un esempio virtuoso di sovranità nazionale e popolare, del loro potersi conciliare senza cedere al nazionalismo pur rivendicando valori patriottici che, in quel contesto, fanno rima con quelli popolari. Anzi, per i popoli europei da troppo tempo proni ai diktat dell’ordoliberismo di Bruxelles e Francoforte, Cuba dovrebbe essere vista come un esempio di dignità, di indipendenza, di libertà, un’isola che a distanza di più di 60 anni dalla liberazione antimperialista siede da pari al tavolo con il capo della macchina imperialistica americana.
Certo, con la fase di trattativa lunga e difficile che si preannuncia, gli americani tenteranno di giocare la carta della divisione, foraggiando la striminzita opposizione interna, oggi senza una base sociale forte. Sicuramente è da rilevare che, mentre in giro per il mondo, nella “moderna Europa” come in tutte le regioni in qualche modo subalterne, gli americani dettano l’agenda, impongono servitù militari, basi, contratti economici e commerciali capestro, oltre che provocare colpi di stato fatti passare per rivoluzioni popolari (vedi l’Ucraina), senza parlare di quello che sta succedendo in tutta l’area mediorientale, Cuba riesce a trattare a testa alta con il nemico di sempre. E’ una lezione per tutti quei nani che bofonchiano, soprattutto a sinistra, che Cuba deve fare di più nel campo dei diritti umani.
Allora ricordiamoci come Cuba sia un paese all’avanguardia nell’applicazione dei diritti umani, che sono sociali e materiali, e non astratti e individuali, come l’educazione, la sanità, il lavoro, la casa, l’accesso al cibo, eccetera. Nel confronto con gli USA le incognite e i rischi di cedimento non sono pochi, ma il governo e il popolo cubano possiedono un anticorpo importante: un forte senso di dignità e di indipendenza. Questa è l’ennesima sfida di una generazione rivoluzionaria che ancora resiste all’imperialismo. Una sfida che probabilmente vedrà i suoi frutti raccolti da una generazione politica cubana che dovrà dimostrare di essere all’altezza dei suoi padri. Il futuro non è scritto, ma Cuba lo affronta da una posizione di privilegio, quella della dignità.

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domenica 20 marzo 2016

Obama a Cuba.



di Fabrizio Casari
Ottantotto anni dopo l’ultima visita di un Presidente degli Stati Uniti, Barak Obama arriva a Cuba. Un viaggio il cui svolgimento in sé rappresenta un evento storico che in qualche modo ne relativizza la stessa agenda, per quanto importante. La visita di Obama prevede infatti incontri con Raul Castro ed attività di varia natura, compresi un intervento pubblico che la Tv cubana manderà in onda integralmente e anche un breve incontro con i cosiddetti “dissidenti”. Ma nulla a che vedere con la forza delle immagini che illustreranno l’omaggio del Presidente degli Stati Uniti al mausoleo di Josè Martì, padre della Cuba ribelle e simbolo della lotta per l’indipendenza dell’isola e dell’intera America Latina.
Cuba si appresta a ricevere l’illustre ospite con serenità e disponibilità al dialogo, il suo arrivo segna comunque una tappa importante nel processo di normalizzazione delle relazioni tra i due paesi. Tappa che, da parte di Cuba, ci si aspetta possa determinare una spallata importante al blocco economico e commerciale che gli Stati Uniti hanno deciso unilateralmente dal 1961. Ma, nei desiderata di Obama, il suo viaggio dovrebbe rappresentare anche una scossa robusta all’impianto del sistema politico cubano, ipotetica  medaglietta con la quale lasciare la Casa Bianca passando direttamente alla storia.
E’ però facile pronosticare come entrambi gli auspici siano destinati a rimanere tali, sebbene nel caso del blocco è evidente che l’arrivo di Obama potrà comportare un ulteriore impulso verso la sua revisione totale. Revisione e non cancellazione, dal momento che lo strumento legislativo è per ora inibito, non godendo Obama di maggioranza né al Congresso né al Senato e non avendo dimostrato, fino ad ora, l’intenzione di aprire un vero e proprio confronto con il partito repubblicano (e anche buona parte del partito democratico) alla ricerca di una soluzione politica all’obbrobrio giuridico che compone il blocco più inutile ed anacronistico mai visto nella storia del consesso delle nazioni.
Un blocco che agli Stati Uniti è costato sì la condanna dell’intero pianeta, ma a Cuba il prezzo pagato é stato di migliaia di vittime e centinaia di miliardi di dollari in danni diretti ed indiretti. Tanti da ipotecarne il modello di sviluppo, costringendo il paese a drenare risorse importantissime per destinarle ad arginare gli effetti del blocco.
In attesa di conoscere quali saranno le conseguenze politiche della visita di Obama, si può intanto notare l’intensificarsi degli sbarchi di imprenditori e uomini d’affari, accompagnati dal consueto stuolo di avvocati, maneggioni e squali d’ogni genere che fiutano il business che verrà. C’é da dire che la vista e l’olfatto cubano non sono da meno e dunque, in assenza di normalizzazione delle procedure finanziarie, dello sblocco del sistema bancario cubano e della riammissione delle transazioni internazionali in divisa, fino ad ora oggetto di pesanti multe extraterritoriali inflitte da Washington ai paesi terzi, cocktail e interpreti saranno gli unici ad agitarsi.
Molti degli osservatori si domandano cosa dirà Obama avendo l’occasione di parlare al popolo cubano e sembrano nutrire illusioni mal riposte circa l’impatto che le sue parole potranno avere sulla popolazione dell’isola. Sognano catarsi improbabili e s’immaginano scenari fantascientifici. Sarebbe ingenuo, da parte di Obama, pensare di riuscire dove nemmeno Woytila poté, ovvero fornire una spalla ideale per utilizzare le difficoltà e le contraddizioni di un paese alle prese con il suo rinnovamento per trasformarle in dissenso politico di massa.
Non a caso il governo ha deciso di lasciare microfoni e telecamere aperte; segno evidente di quanto sia ampio il sostegno politico di cui gode. Ovviamente Obama ribadirà i suoi concetti, la sua idea di democrazia, ma gli argomenti di cui dispone sono fiacchi e ampiamente collaudati nel loro fallimentare realismo. E del resto, che cosa potrebbe dire Obama ai cubani? Qual lezione di democrazia potrebbe impartire?
Rivendicare le elezioni multipartitiche come segno di democrazia? Difficile, visto che negli USA è illegale la presenza politica per comunisti, socialisti e anarchici. Potrà spacciare il suo modello elettorale come migliore, quando votano a malapena il 35% degli aventi diritto contro il 96% dei cubani che esercitano il voto con regolarità? Eviterà accenni sull’indipendenza del potere politico dal potere finanziario?
Difficile possa convincere qualcuno, visto che i poteri forti e Wall Street decidono chi e come governa, mentre a Cuba lo decidono i cittadini. Potrà raccontare di un modello sociale migliore? Improbabile, visto che le percentuali di disoccupati, homeless, malati psichiatrici, tossicodipendenti e carcerati negli USA sono le più alte del mondo e quelle di Cuba sono al punto più basso delle statistiche internazionali.
Potrà identificare il suo modello di protezione sociale come rispondente all’universalità dei diritti? Farebbe comicità involontaria, mentre a Cuba l’inclusione sociale è l’essenza pura del modello politico. O potrebbe parlare di diritti umani, quando Cuba rappresenta uno dei pochi paesi a rispettare l’indice GINI? Meno che mai di repressione, quando lo normalità per le forze dell’ordine statunitensi è uccidere i neri, la tortura è denunciata da molti organismi indipendenti e Guantanamo rappresenta l’essenza del modello. O magari potrebbe lanciarsi in discorsi sulla libertà di espressione, quando gli Stati Uniti con il Patrioct Act hanno raggiunto il punto più alto del controllo di massa della loro popolazione?
E potrà rivendicare il contributo alla pace del mondo di un paese come gli Stati Uniti che hanno promosso e sostenuto 63 guerre negli ultimi trent’anni, e che nella loro storia poco più che bicentenaria hanno lanciato le loro truppe in operazioni all’estero per 221 volte?
Cuba, invece, può vantare le missioni internazionaliste che hanno contribuito in maniera determinante alla decolonizzazione dell’Africa dal colonialismo europeo. Di quale ruolo nel mondo potrebbe parlare Obama a Cuba, con i suoi droni che scaricano bombe, quando L’Avana può ricordare l’opera gratuita dei medici cubani che si recano nei luoghi più sperduti della terra e che sono oggi numericamente più numerosi che tutti quelli inviati dall’OMS?
O potrebbe parlare del sistema sanitario? A Cuba è tra i primi del mondo, per antonomasia il più includente, mentre in un ospedale statunitense si può morire se sprovvisti di assicurazione medica. E potrà invece Obama sottolineare il rispetto per la sovranità nazionale dei paesi terzi con l’NSA che spia tutti i governi, amici compresi, di fronte alla Cuba che altro non ha fatto se non difendersi dall’attività di spionaggio statunitense? O disserterà sul rispetto della volontà popolare quando da 61 anni gli USA destinano una parte del bilancio statale alla promozione della sovversione interna a Cuba?
I colloqui tra Obama e Raul si fonderanno su quello che i rispettivi staff discutono da ormai un anno, ovvero dei modi e dei tempi con i quali favorire progressivamente il processo di normalizzazione. D’altra parte, paradossalmente, Cuba ha fretta, ma Obama ancor di più. Il Presidente degli Stati Uniti ha poco più di sette mesi di mandato innanzi a sé e se non vuole annoverare un'altra incompiuta dei suoi otto anni, deve per forza chiudere le questioni salienti con Cuba entro la prossima estate.
Cuba, dal canto suo, ritiene di dover concludere un accordo generale prima del voto di Novembre, dal momento che se una eventuale vittoria di Hillary vedrebbe Washington sulla stessa scia di Obama per quanto attiene al dossier Cuba, diversissimo sarebbe lo scenario di fronte ad una ipotetica vittoria di Trump.
E dunque lo sforzo dovrà essere reciproco, ma non va dimenticato che lo scenario di questa normalizzazione si è dato perché gli Stati Uniti hanno cambiato la loro politica verso Cuba prendendo atto del suo fallimento, mentre L’Avana non ha cambiato nemmeno una virgola della sua posizione. Dunque toccherà a Obama fare un ulteriore passo verso l’apertura: suo é il problema, non cubano.
Se per Obama questa visita rappresenta direttamente ed indirettamente l’ammissione di una politica cieca ed inconcludente, discorso opposto vale per Raul Castro. In questo senso, anche la scelta di aprire i voli statunitensi per Cuba ma impedire ancora i voli cubani per gli USA, non aiuta, perché rappresenta una idea cialtrona e mercantile di quello che gli USA intendono per reciprocità. E’ solo un esempio di una mentalità coloniale che difficilmente il viaggio di Obama riuscirà ad estirpare. Un annuncio in direzione di un ulteriore cambio di atteggiamento sarebbe però auspicabile e segnerebbe con decisione una impronta politica realista e sostenibile anche negli stessi USA.
Cuba dal canto suo ha le idee chiare su quali debbano essere i passaggi per arrivare alla normalizzazione completa delle relazioni diplomatiche e pone alcune precondizioni affinché di possa procedere speditamente verso la strada della collaborazione. In premessa va garantito il principio di reciprocità tra i due paesi e il rispetto delle diversità e specificità di ordine politico e culturale, ovvero il reciproco rispetto di due sistemi che sono per natura opposti ma che possono riconoscersi e rispettarsi.
Nel concreto Cuba chiede la fine delle politiche destinate a produrre sovversione nell’isola; la restituzione di Guantanamo, l’abolizione progressiva delle misure finanziarie che impediscono lo sviluppo delle attività commerciali import/export dell’isola sono passi che, nella loro concretezza, segnerebbero davvero la svolta attesa.
Cuba vive da qualche anno un processo profondo di cambiamento. L’applicazione delle riforme economiche fa dell’isola un laboratorio aperto nella sperimentazione di un percorso di rinnovamento pur nella conservazione del sistema. I processi produttivi, l’organizzazione del mercato del lavoro, l’ampliamento significativo dei settori destinati all’economia privata, si sposa però indissolubilmente con il carattere pubblico ed universale della sfera dei diritti sociali e questo conferisce autorevolezza e credibilità ad un processo che in molti si ostinano a leggere come un progressivo cedimento.
Difficile poter definire in base alle teorie economiche classiche il modello in corso di sperimentazione; per la prima volta, sembra che possa delinearsi un modello tutto cubano, calibrato sulle necessità e possibilità del paese e non importato dalle dottrine altrove pensate ed applicate. Una forma di sperimentazione suscettibile di cambiamenti continui, ma con una bussola che orienta bene. Che mostra con chiarezza senza renderli incompatibili il Nord e il Sud nel disegno di un futuro possibile.
L’isola del resto non fa mistero, anzi lo ripete quotidianamente, di essere la Cuba che ha resistito con la forza delle sue idee a 61 anni di guerra non dichiarati, non mancando mai al suo dovere storico in patria e fuori da essa. Qualunque ipotesi esterna che prevedesse lo scambio tra normalizzazione con gli USA al costo della messa in disparte del sistema di valori che dal 1959 l’ha formata e determinata, sarebbe una pura illusione.
Per Cuba la normalizzazione delle relazioni con gli Stati Uniti rappresenta di per sé un ulteriore conferma di come 55 anni di resistenza non sono stati vani; le aperture già determinatesi con l’evoluzione del socialismo cubano troveranno ulteriore rafforzamento da questo passaggio. Il cui significato sarà soprattutto politico, fino a quando non si accompagnerà alla fine formale del blocco economico, ma il cui valore simbolico rappresenta la fine di un’era e l’inizio di un nuovo corso della storia.


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