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La visita di Obama a Cuba segna anche sul piano simbolico un
passaggio importante nella storia nazionale e rivoluzionaria di Cuba. Ne
avevamo accennato in occasione del ripristino delle relazioni diplomatiche che
preludevano al viaggio di Obama, che questa svolta era da considerare, al netto
dei rischi, un successo politico e diplomatico della Rivoluzione. Alla fine
dopo più di cinquant’anni di embargo, la prima superpotenza militare del mondo
ha dovuto, almeno parzialmente, modificare la propria politica aggressiva,
apertamente provocatoria, contro la piccola isola del Caribe. L’apertura
dell’ambasciata, il viaggio di Obama, l’indebolimento di alcune misure del
bloqueo (peraltro ancora in vigore nonostante i strombazzamenti mediatici), la
trattativa in corso per la normalizzazione delle relazioni commerciali, aprono
nuove sfide alla Rivoluzione e per il popolo cubano. E’ prevedibile che
l’amministrazione Usa utilizzerà, attraverso il parziale sblocco delle
relazioni economiche, le armi della corruzione, della provocazione,
dell’infiltrazione politica “liberale” o “socialdemocratica”, di cui sono
consumati maestri, anche e soprattutto nella nuova fase politica che si sta
aprendo. D’altronde non ci sembra cambiata la linea di aggressione condotta in
questi anni dalle varie amministrazioni della Casa Bianca. Non c’è nessuna “via liberal”
all’imperialismo.
Quello che succede in
Venezuela, con il foraggiamento dell’opposizione interna al governo Maduro, è
un caso noto ma, con le dovute differenze di contesto, è la linea programmatica
Usa in tutti quei paesi dell’America Latina che hanno imboccato in questi anni
una strada indipendente (non necessariamente rivoluzionaria o
“para-socialista”) dai voleri di Washington. I media generalisti, anche quelli
nominalmente di sinistra, si sono, come al solito, prostrati con elogi
sperticati al nuovo corso illuminato di Obama, incensando il discorso fatto dal
Presidente americano al Gran teatro, luogo simbolo della cultura cubana, in cui
il presidente americano ha tentato di porsi sul piedistallo di una presunta
superiorità morale in tema di diritti umani e democrazia. Un presunto
universalismo che in casa cubana non è passato, non solo per la brillante
gestione della conferenza stampa di Raul Castro, ma anche perché non ha trovato
quel solito giro di pennivendoli che albergano le conferenze stampa organizzate
usualmente dalla Casa Bianca e dai suoi alleati. L’amministrazione americana ha
dovuto accettare un confronto paritario con la classe dirigente che governa il
processo rivoluzionario cubano, e questa è già di per sé una notizia: è stato,
in tutti i suoi passaggi, un confronto fra pari. Possiamo allora dire che,
almeno nell’immediato, il popolo e il governo cubano escono rafforzati, non
certo indeboliti, dalla svolta negoziale.
Va anche aggiunto che Cuba ha svolto un ruolo decisivo
nell’incontro tenutosi all’aeroporto de L’Avana tra Papa Bergoglio e il primate
russo ortodosso, un evento internazionale non irrilevante e che in qualche modo
rafforza il ruolo diplomatico di Cuba, senza dimenticare il ruolo di mediazione
svolto nelle annose trattative tra le Farc e il governo colombiano. Tutto
questo conferma il ruolo di un paese che oggi sembra non essere declinante, ed
è anche un esempio virtuoso di sovranità nazionale e popolare, del loro potersi
conciliare senza cedere al nazionalismo pur rivendicando valori patriottici
che, in quel contesto, fanno rima con quelli popolari. Anzi, per i popoli
europei da troppo tempo proni ai diktat dell’ordoliberismo di Bruxelles e Francoforte,
Cuba dovrebbe essere vista come un esempio di dignità, di indipendenza, di
libertà, un’isola che a distanza di più di 60 anni dalla liberazione
antimperialista siede da pari al tavolo con il capo della macchina
imperialistica americana.
Certo, con la fase di trattativa lunga e difficile che si
preannuncia, gli americani tenteranno di giocare la carta della divisione,
foraggiando la striminzita opposizione interna, oggi senza una base sociale
forte. Sicuramente è da rilevare che, mentre in giro per il mondo, nella
“moderna Europa” come in tutte le regioni in qualche modo subalterne, gli
americani dettano l’agenda, impongono servitù militari, basi, contratti
economici e commerciali capestro, oltre che provocare colpi di stato fatti
passare per rivoluzioni popolari (vedi l’Ucraina), senza parlare di quello che
sta succedendo in tutta l’area mediorientale, Cuba riesce a trattare a testa
alta con il nemico di sempre. E’ una lezione per tutti quei nani che
bofonchiano, soprattutto a sinistra, che Cuba deve fare di più nel campo dei
diritti umani.
Allora ricordiamoci come Cuba sia un paese all’avanguardia
nell’applicazione dei diritti umani, che sono sociali e materiali, e non
astratti e individuali, come l’educazione, la sanità, il lavoro, la casa, l’accesso
al cibo, eccetera. Nel confronto con gli USA le incognite e i rischi di
cedimento non sono pochi, ma il governo e il popolo cubano possiedono un
anticorpo importante: un forte senso di dignità e di indipendenza. Questa è
l’ennesima sfida di una generazione rivoluzionaria che ancora resiste
all’imperialismo. Una sfida che probabilmente vedrà i suoi frutti raccolti da
una generazione politica cubana che dovrà dimostrare di essere all’altezza dei
suoi padri. Il futuro non è scritto, ma Cuba lo affronta da una posizione di
privilegio, quella della dignità.
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