martedì 22 dicembre 2009

Cuba: 0% di denutrizione infantile (fonte UNICEF)


L’esistenza nei paesi in via di sviluppo di 146 milioni di bambini, al di sotto dei 5 anni, malnutriti, contrasta con la realtà cubana, mondialmente riconosciuto essere lontana da questo male sociale.
Queste preoccupanti cifre appaiono in recente rapporto del Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF), divulgato nella sede dell’ONU.
Secondo il documento, le percentuali dei bambini sottopeso sono del 28% in Africa Subsahariana, 17% in Medio Oriente e Nord Africa, 15% in Asia orientale e Pacifico e 7% in Latinoamerica e Caribe. Completano il rapporto, Europa centrale e dell’est con il 5% e altri paesi in via di sviluppo con il 27%.
Cuba non ha di questi problemi, è l’unico paese dell’America Latina e del Caribe che ha eliminato la denutrizione infantile, grazie agli sforzi del Governo per migliorare l’alimentazione della sua popolazione, specialmente quella appartenente alle fasce più vulnerabili.
La cruda realtà è che 852 milioni di persone nel mondo soffrono la fame e che 53 milioni di esse vivono in America Latina. Solo in Messico ci sono 5 milioni e 200 mila persone denutrite e Haiti segue con 3 milioni e 800 mila, mentre in tutto il pianeta ogni anno nuoiono di fame più di 5 milioni di bambini.
Secondo le stime delle Nazioni Unite, non sarebbe molto costoso ottenere salute e nutrizione basica per tutti gli abitanti del Terzo Mondo. Basterebbero 13 milioni di dollari all’anno in più di quelli che si stanziano adesso, una cifra che non si è mai raggiunta e che è esigua se paragonata al milione di milioni che ogni anno si spendono in pubblicità commerciali, i 400 milioni in droghe e stupefacenti o anche gli 8 milioni che si spendono in USA per i cosmetici.
Con soddisfazione di Cuba, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura ha anche riconosciuto che questa è la nazione all’avanguardia in Amrica Latina nella lotta contro la denutrizione.
Lo Stato cubano garantisce l’accesso alla canasta basica alimentare, che permette la nutrizione di tutta la popolazione, per lo meno a livello basico, mediante la rete di distribuzione dei prodotti che ne fanno parte.
Nello stesso tempo si fanno aggiustamenti economici in altri mercati e servizi locali per migliorare la qualità dell’alimentazione ed attenuare il deficit alimentare. Inoltre si mantiene una costante vigilanza sul sostentamento dei bambini e degli adolescenti; l’attenzione alla nutrizione comincia con la promozione di una forma di alimentazione migliore e naturale.
Il tema della denutrizione riveste grande importanza nella campagna dell’ONU che intende raggiungere, nel 2015, le Mete dello Sviluppo del Millennio, tra le quali eliminare la povertà e la fame.
Nonostante le deficenze, le difficoltà e le serie limitazioni causate dal blocco economico, commerciale e finanziario imposto dagli Stati Uniti da quasi 50 anni, Cuba non mostra disperati o allarmanti indici di denutrizione infantile. Nessuno dei 146 milioni di bambini minori di 5 anni denutriti che vivono oggi nel mondo, è cubano.(da Prensa Latina) Leggi tutto...

venerdì 18 dicembre 2009

TESSERAMENTO 2022.






Invitiamo tutti le persone che amano Cuba e la sua idea di società ad aderire al tesseramento 2022.

Ricordiamo ai vecchi soci e ai nuovi che:
-Il costo minimo per diventare socio è di euro 20,00.
-Chi vuole diventare socio può anche versare una cifra superiore che servirà a finanziare il progetto di informatizzazione avviato nella provincia di Sancti Spiritus.
-A tutti i soci verrà inviato gratuitamente il periodico "El Moncada".

Per diventare socio:
Puoi versare la somma di adesione sul Conto Corrente Postale Numero 11812617
intestato a: Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba circolo di Senigallia
Causale del Versamento: TESSERAMENTO 2022

Al ricevimento della somma sarà inviata, tramite posta, la tessera.
Sono necessari i seguenti dati:

Cognome:
Nome:
Data di Nascita:
Professione:
Indirizzo:
Città:
Tel./Cel.:
E-Mail:

Hasta la victoria siempre!
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lunedì 14 dicembre 2009

Dichiarazione 8 Dicembre 2009.


Pubblichiamo un documento sui "5" trasmessoci dall'Ambasciata di Cuba dopo la conclusione del processo di revisione, presso la Corte del Distretto di Miami, delle sentenze di condanna contro Antonio Guerrero, Fernando González e Ramón Labañino, disposto dall’Undicesimo Circuito della Corte d’Appello di Atlanta.
La sentenza di condanna in primo grado contro Fernando González (19 anni) é stata ridotta a 17 anni e 9 mesi di carcere, mentre quella di Ramón Labañino (1 ergastolo piú 18 anni), é stata ridotta a 30 anni di carcere.
L’udienza per la revisione della sentenza contro Antonio Guerrero ha avuto luogo lo scorso 13 ottobre. La sentenza di condanna (1 ergastolo piú 10 anni) é stata ridotta a 21 anni e dieci mesi di carcere e a 5 anni di libertá vigilata.
Le sentenze di condanna per Gerardo Hernández (2 ergastoli piú 15 anni) e per René González (15 anni) sono state confermate dalla Corte d’Appello e di conseguenza escluse da questo processo.
Quella di seguito riportata, é la dichiarazione dell’8 dicembre del 2009 firmata da Antonio Guerrero, Fernando González e Ramón Labañino

“Cari fratelli e sorelle di Cuba e del mondo:
Abbiamo giá scontato oltre 11 anni di carcere senza che sia stata fatta giustizia in nessuno dei gradi di giudizio del sistena giudiziario staunitense.
Tre di noi sono stati trasferiti a Miami per la revisione delle sentenze in adempimento di quanto ordinato dall’Undicesimo Circuito della Corte d’Appello di Atlanta, che aveva stabilito che le sentenze di condanna erano state erroneamente imposte.
Nostro fratelllo Gerardo Hernández, che sta scontando due ergastoli piú 15 anni di carcere, é stato arbitrariamente escluso da questo processo di revisione. La sua situazione continua a rappresentare la principale ingiustizia del nostro caso. Il Governo degli Stati Uniti conosce la falsitá delle accuse contro di lui e quanto ingiusta sia la sua condanna.
Questo é stato un processo compesso, molto dibattuto in ogni dettaglio, nel quale abbiamo partecipato insieme ai nostri avvocati. Non abbiamo ceduto di una virgola rispetto ai nostri principi, al nostro decoro ed onore, proclamando sempre la nostra innocenza e la dignitá della nostra patria.
Come nel momento del nostro arresto, ed in altre occasione durante questi lunghi anni, anche ora abbiamo ricevuto proposte di collaborazione dal governo degli Stati Uniti in cambio dell’ottenimento di sentenze piú benevole. Una volta ancora abbiamo respinto tali proposte, che rappresentanto qualcosa che non accetteremo in nessun caso.
Nel risultato di queste udienze del processo di revisione, é presente il lavoro del gruppo di legali e l’indistruttubile solidarietá di tutti voi.
Il fatto significativo é che per la prima volta in questi 11 anni il governo degli Stati Uniti si é visto obbligato a riconoscere che non abbiamo provocato danno alcuno alla loro sicurezza nazionale.
La Procura ha riconosciuto pubblicamente, anche questo per la prima volta, l’esistenza di un forte movimento internazionale a sostegno della nostra immediata liberazione che danneggia l’immagine del sistema giudiziario degli Stati Uniti presso la comunitá internazionale.
Una volta ancora é stato confermato il carattetre assolutamente politico di questo processo.
Puniscono a noi Cinque in base ad accuse che non sono state mai provate. Anche se tre delle condanne sono state parzialmente ridotte, l’ingiustizia é verso tutti confermata.
I terroristi cubano-americani continuano a godere di totale impunitá.
Reiteriamo: Noi Cinque siamo innocenti!
Siamo profondamente commossi e grati per la permanente solidarietá che si viene offerta, cosí decisiva in questa lunga battaglia per la giustizia.
Insieme a voi continueremo a lottare fino alla vittoria finale, che sará conquistata soltanto con il ritorno in Patria dei Cinque.

Antonio Guerrereo Rodríguez
Fernando González Llort
Ramón Labañino Salazar

Miami, 8 dicembre 2009


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sabato 12 dicembre 2009

Fidel: "Obama non era obbligato a un atto cinico".


Nei paragrafi finali di una Riflessione intitolata “Le campane rintoccano per il dollaro”, elaborata due mesi fa, il 9 ottobre del 2009, mi riferivo al problema del cambio climatico a cui il capitalismo imperialista ha condotto l’umanità.
Gli Stati Uniti, avevo detto riferendomi alle emissioni di carbonio, non stanno facendo alcuno sforzo reale, stanno solo accettando il 4% di riduzione rispetto al 1990. In quel momento gli scienziati esigevano un minimo che fluttuava tra il 15% e il40%, per il 2020.
Subito dopo avevo aggiunto: “Nella mattina di oggi, venerdì 9, il mondo si è svegliato con la notizia che l’Obama buono dell’enigma spiegato dal Presidente Bolivariano Hugo Chávez nelle Nazioni Unite, ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace. Non sempre condivido le posizioni di questa istituzione, ma mi vedo obbligato a riconoscere che in questi istanti è stata, a mio criterio, una misura positiva. Compensa il colpo sofferto da Obama a Copenaghen, quando è stata Río de Janeiro la designata come sede per le Olimpiadi del 2016, fatto che ha provocato irosi attacchi dei suoi avversari dell’estrema destra.
Molti penseranno che non si è ancora guadagnato il diritto di ricevere questa distinzione. Desideriamo vedere in questa decisione più che un premio al Presidente degli Stati Uniti, una critica alla politica genocida che hanno seguito non pochi presidenti di questo paese e che hanno condotto il mondo a questo crocevia in cui si trova oggi; un’esortazione alla pace e alla ricerca di soluzioni che conducano alla sopravvivenza della specie..
Era ovvia l’osservazione accurata del presidente negro, eletto in un paese razzista che soffre una profonda crisi economica, senza giudicarlo per alcuna delle sue dichiarazioni fatte nella campagna elettorale e nelll sue condizioni di capo dell’esecutivo yankee.
Quasi un mese dopo, in un’altra Riflessione intitolata “Una storia di fantascienza”, ho scritto quanto segue: “Il popolo nordamericano non è colpevole, ma vittima di un sistema insostenibile, e quel che è peggio, già incompatibile con la vita dell’umanità”.
L’Obama intelligente e ribelle che ha sofferto l’umiliazione del razzismo durante l’infanzia e la gioventù, lo comprende, ma l’Obama educato e impegnato con il sistema e con i metodi che lo hanno condotto alla presidenza degli Stati Uniti non può resistere alla tentazione di fare pressioni, minacciare ed anche ingannare gli altri.
Immediatamente ho aggiunto: “Il suo lavoro è ossessionante. Forse nessun altro presidente degli Stati Uniti sarebbe capace d’impegnarsi con un programma così intenso come quello che si propone di svolgere nei prossimi otto giorni”.
Ho analizzato, come si osserva in quella Riflessione, la complessità e le contraddizioni del suo percorso nel sudest asiatico e chiedo:
“Che cosa pensa di abbordare il nostro illustre amico in questo intenso viaggio? I suoi assessori avevano dichiarato che avrebbe parlato di tutto con la Cina, la Russia, il Giappone, la Corea del sud, etc. etc.
È già evidente che Obama preparava il terreno per il discorso pronunciato a West Point il 1º dicembre del 2009. In questa giornata si è impegnato a fondo. Ha elaborato e ordinato accuratamente 169 frasi destinate a toccare ognuno dei tasti che gli interessano, per ottenere dalla società nordamericana il suo appoggio in una strategia di guerra.
Ha adottato pose che farebbero impallidire le Catilinarie di Cicerone.
Quel giorno ho avuto l’impressione di ascoltare George W. Bush; i suoi argomenti non si differenziavano dalla filosofia del suo predecessore, eccetto in un piccolo particolare: Obama si oppone alla tortura.
Il capo principale dell’organizzazione a cui si attribuisce l’azione terroristica dell’11 settembre era stato reclutato ed addestrato dall’Agenzia Centrale d’Intelligenza per combattere le truppe sovietiche e non era nemmeno afgano.
Le opinioni di Cuba condannando quell’azione ed altre misure addizionali sono state proclamate nella stessa giornata. Inoltre abbiamo avvisato che la guerra non è il cammino per lottare contro il terrorismo.
L’organizzazione del Talibano, che significa studente, è sorta dalle forze afgane che lottavano contro la URSS e non erano nemiche degli Stati Uniti.
Un’onesta analisi condurrebbe alla vera storia dei fatti che hanno originato questa guerra.
Oggi non sono i soldati sovietici, ma le truppe degli Stati Uniti e della NATO che a sangue e fuoco occupano questo paese.
La politica che si offre al popolo degli Stati Uniti da parte della nuova amministrazione è la stessa di Bush, che ha ordinato l’invasione dell’Iraq, che non aveva nulla a che spartire con l’attacco alle Torri Gemelle.
Il presidente degli Stati Uniti non dice una parola delle centinaia di migliaia di persone, includendo bambini ed anziani innocenti, che sono morte in Iraq ed in Afganistan e dei milioni di iracheni che soffrono le conseguenze della guerra senza responsabilità alcuna dei fatti accaduti a New York.
La frase con cui ha concluso il suo discorso “Dio benedica gli Stati Uniti”, più che un desiderio, pareva un ordine per il cielo.
Perchè Obama ha accettato il Premio Nobel per la Pace quando aveva già deciso di continuare la guerra in Afganistan sino alle sue ultime conseguenze? Non era obbligato a compiere un atto cinico.
Aveva annunciato che avrebbe ricevuto il Premio il giorno 11 nella capitale della Norvegia, per poi andare a Copenaghen il 18.
Ora dobbiamo aspettarci un altro discorso teatrale ad Oslo, un nuovo compendio di frasi che nascondono l’esistenza reale di una superpotenza imperiale con centinai di basi sparse per il mondo, decenni d’interventi militari nel nostro emisfero e più di una secolo di azioni di genocidio in paesi come Vietnam, Laos e altri dell’Asia, Africa, Medio Oriente, Balcani e qualsiasi parte del mondo.
Adesso il problema di Obama e dei suoi alleati più ricchi è che il pianeta che dominano con un pugno di ferro gli si sta disfacendo tra le mani.
È ben noto il crimine commesso da Bush contro l’umanità, ignorando il Protocollo di Kioto, e non facendo per 10 anni quello che doveva fare molto tempo prima.
Obama non è ignorante e conosce, come lo conosce Gore, il grave pericolo che minaccia tutti, ma vacilla e si mostra debole di fronte all’oligarchia irresponsabile e cieca di questo paese. Non agisce come Lincoln per risolvere il problema della schiavitù e mantenere l’integrità della nazione nel 1861, o come un Roosevelt, di fronte al crisi economica e al fascismo.
Martedì ha lanciato una timida pietra nelle turbolente acque dell’ opinione internazionale.
L’amministratrice della EPS – l’Agenzia di Protezione Ambientale - Lisa Jackson, ha dichiarato che le minacce per la salute pubblica ed il benessere del popolo degli Stati Uniti derivano dal riscaldamento globale e permettono ad Obama di prendere misure senza contare sul Congresso.
Nessuna delle guerre combattute nella storia ha mai significato un pericolo maggiore.
Le nazioni più ricche cercano di gettare sulle più povere il peso dell’incarico di salvare la specie umana. Si deve esigere il massimo sacrificio ai più ricchi. Il massimo della razionalità per l’uso delle risorse ed il massimo di giustizia per la specie umana.
È probabile che a Copenaghen tutto quello che si otterrà sarà un minimo di tempo per realizzare un accordo vincolante che serva realmente per cercare soluzioni. Se lo si otterrà, questa Conferenza Vertice offrirà almeno un modesto passo avanti.
Vediamo cosa succede!
Fidel Castro Ruz – 9 Dicembre del 2009
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lunedì 7 dicembre 2009

"Cyberwar a Cuba" di Gianni Minà.


Il ruolo di Yoani Sanchez, la «bloguera» cubana che l'informazione occidentale ha scelto come testimonial dell'anticastrismo militante, in una guerra informatica che più che il nuovo Obama ricorda il vecchio Rumsfeld.
L'annuncio dell'accordo degli Stati uniti con la Cina, che rinvia la riduzione delle emissioni di biossido di carbonio da parte delle due più grandi nazioni inquinatrici dell'atmosfera, non ha molto preoccupato la grande informazione occidentale, e nemmeno la constatazione, dopo il vertice Fao, che i milioni di morti per fame aumenteranno a breve per l'egoismo e la cinica noncuranza delle cosiddette «nazioni forti». Quello che ha veramente impressionato l'ipocrita informazione del mondo che conta, specie in Italia e in Spagna, è stata la notizia che alla bloguera anticastrista Yoani Sanchez è stato vietato un viaggio negli Stati uniti per prendere il consueto premio che, ormai sistematicamente, le viene assegnato dal bizzarro mercato della cultura occidentale per l'unico merito palese di possedere un blog a Cuba, assistito però da un server poderoso in azione dalla Germania, registrato come «Strato» dal munifico mecenate Josef Biechele, che ospita il blog Generazione Y e ha un'ampiezza di banda 60 volte superiore a quelli che forniscono la rete a tutta l'isola.
La preoccupazione, anzi, ha raggiunto il livello d'allarme quando la bloguera, sponsorizzata dal gruppo editoriale Prisa, padrone del quotidiano spagnolo El Pais e che controlla più di mille emittenti nel mondo con trenta milioni di ascoltatori, ha denunciato un'aggressione e un sequestro di venti minuti, subito in un paese, Cuba, dove questo tipo di pratica squadristica non è mai esistita, mentre invece fa parte delle abitudini e delle usanze dei famigerati anticastristi di Miami, molti dei quali terroristi accertati e disgraziatamente attivi, talvolta anche all'interno dell'isola. Per proteggere questi figuri, Bush Jr (è importante ricordarlo) è arrivato addirittura a violare le leggi antiterrorismo da lui stesso varate dopo gli attentati dell'11 settembre 2001.
Quali sono le colpe di Cuba? Forse proprio il ruolo che la terra della Revolucion ha giocato con la sua storia nel rinascimento in atto in molti paesi dell'America latina. Il travaglio per chi Cuba proprio non la sopporta, a causa di questo ruolo, è cominciato in primavera quando sono usciti i due bellissimi film di Soderbergh su Che Guevara nella rivoluzione e nell'epopea in Bolivia, opere di grande onestà intellettuale. In quei giorni a Trinidad, dopo che il presidente venezuelano Chavez aveva donato a Obama il libro di Eduardo Galeano Le vene aperte dell'America latina « per capire il continente», le nazioni di quell'area del mondo hanno chiesto all'unanimità il reintegro di Cuba nel l'Organizzazione degli stati americani (Oea) da cui la più estesa isola dei Caraibi è stata espulsa mezzo secolo fa per volere degli Usa.
Successivamente, con la forza dirompente di certe immagini della comunicazione moderna, in settembre era arrivato il concerto degli artisti latinoamericani, guidati dal colombiano Juanes e da Miguel Bosè a Plaza de la Revolucion, con oltre un milione di spettatori. Un evento visto in tutto il mondo grazie a YouTube, svoltosi con una palese serenità che, secondo molti, Cuba non avrebbe potuto permettersi perché poteva essere rischioso dal punto di vista politico.
Ma la botta più contundente, ignorata dai grandi media, è arrivata il 28 ottobre quando 187 nazioni hanno condannato per la diciottesima volta l'embargo Usa contro Cuba, con tre soli voti contrari (Stati uniti, Israele e Palau, un arcipelago del Pacifico occidentale, già colonia spagnola, poi venduta alla Germania e ora una specie di protettorato degli Stati Uniti, rappresentato all'Onu da Stuart Beck, avvocato di Long Island e cittadino israeliano). Tutto questo mentre in molti paesi si moltiplicano gli appelli perché Obama liberi i cinque agenti dell'intelligence cubana da 11 anni in carcere per aver smascherato il terrorismo che dalla Florida e dal New Jersey è stato organizzato per anni contro Cuba, causando migliaia di vittime.
Ce n'era evidentemente abbastanza perché i funzionari che nel Dipartimento di Stato si occupano dell'America latina e le agenzie come il Ned e l'Usaid, che disegnano l'immagine della politica degli Usa nel mondo e ne influenzano il consenso, sentissero l'esigenza di intervenire per destabilizzare o ridimensionare questo clima favorevole per l'unica nazione al mondo con la quale i governi di Washington non siano riusciti, in mezzo secolo, a stabilire uno straccio di rapporto civile, umano, come è avvenuto perfino con Vietnam, Cambogia, Corea del Nord e Cina.
Ma chi ha deciso la linea non ha saputo sfuggire alla tentazione, malgrado i buoni propositi espressi a Trinidad da Barack Obama, di farlo rimettendo in piedi una sorta di «strategia della tensione», per la quale Bush jr in due mandati ha dilapidato inutilmente milioni di dollari che, nell'ultimo anno, hanno perfino costretto il nuovo presidente a un'indagine amministrativa. L'indagine ha chiarito come gli stanziamenti siano stati rubati dalle presunte organizzazioni per la democrazia a Cuba o siano stati usati per «ungere» chi poteva creare malessere nella società dell'isola, certo non ancora libera da contraddizioni.
Così, anche se Obama aveva recentemente affermato che «l'impatto della presenza di migliaia di medici cubani in America latina e nel sud del mondo era stato più efficace di qualunque politica portata avanti in questi anni dai governi di Washington», si è deciso di tornare ai vecchi metodi, anche se più tecnologici. Nel caso di Yoani Sanchez una strategia basata sul web come arma di offesa e terreno di vera applicazione dell'embargo, un disegno di cyberwar, di guerra informatica, evidentemente non ancora cancellato da Obama, messo in piedi fin dal 2003, con un documento segreto, da Donald Rumsfeld, ex segretario alla difesa del governo Bush e che, come rivelò il generale Robert J. Elder, del comando cyberspaziale, mira «a trattare internet come un campo di battaglia, che avrà priorità per azioni nel cyberspazio». Come? Lo ha spiegato Usa Today nel 2008: «Il Pentagono sta creando una rete mondiale di siti web informativi, in lingue straniere (compreso un sito in arabo per gli iracheni) affidati a giornalisti locali di paesi definiti "canaglia" per scrivere storie di attualità e altri contenuti che promuovano gli interessi degli Stati uniti e messaggi di controinsurgenza».
Un quadro che sembra la fotografia del mondo della bloguera di moda, che non parla tanto ai cubani ma ad un uditorio che è fuori dall'isola, bombardato da un discorso di pregiudizio verso Cuba teso a neutralizzare nell'opinione pubblica occidentale il favore del quale l'isola gode in questo momento, innanzitutto nel continente a sud del Texas.
Così la bloguera fa il suo lavoro deplorando il disagio del suo paese ma ignorandone le conquiste, perfino il merito di saper reagire, per esempio, a tre uragani letali mentre negli Stati uniti si è fatta morire New Orleans. L'altro giorno, addirittura, ha scritto affranta perché a Cuba la gente si ripara dagli acquazzoni con le borse di nylon e rischia sempre di impantanarsi nei tombini che esplodono d'acqua. Ha ragione, ad Haiti, in tutto il centro America o nelle bidonville di Messico o Colombia, paesi dove è stato imposto il sognato neoliberismo, la gente ha in dotazione impermeabili all'ultima moda, alcuni hanno perfino trench all'inglese e, per quanto riguarda le pozzanghere, dispiace che la Sanchez non possa confrontarsi con le buche piene d'acqua dei rioni bene di Roma come Montemario e i Parioli, tralasciando gli allagamenti di barrios marginales come Tor Bella Monaca, Torre Angela o Torre Gaia.
Insomma, anche se L'Avana, come tutte le città del mondo, non è priva di cretini, perché dovremmo credere che qualcuno stia tramando per togliere la parola a chi fa conoscere al mondo realtà così tragiche e accuse così serie? Semmai c'è da prendere atto che, come per l'Honduras, qualche testa d'uovo del Dipartimento di Stato non ha cambiato mentalità rispetto alla stagione di Bush jr e sta spingendo Obama a usare con Cuba, gli stessi metodi, cioè a ripetere gli errori fatti da dieci presidenti prima di lui. Causando, come Yoani dimentica, angustie, disagi, dolori, ma non ottenendo alcun risultato apprezzabile.


da 'il manifesto' del 06/12/09. Leggi tutto...

lunedì 23 novembre 2009

Eco&Equo - Fiera di Ancona 27-28-29 novembre.

Il Circolo di Senigallia sarà presente con un proprio stand alla 6^ edizione di Eco&Equo con nuovo materiale (maglie ed artigianato) appena arrivato da Cuba, stiamo anche organizzando una pesca di solidarietà e una mostra fotografica.
Passate a trovarci, vi aggiorneremo inoltre sugli ultimi sviluppi del progetto di informatizzazione in corso a Cuba.





Eco&Equo, la “Fiera dell'attenzione sociale, ambientale e dell'economia alternativa e solidale” giunge alla sua sesta edizione con delle importanti novità, che siamo sicuri apprezzerete. Per dare sempre più importanza ai valori e ai contenuti che hanno sempre contraddistinto Eco&Equo, quest’anno l’intero evento è coorganizzato dall’Assessorato ai Servizi sociali, Immigrazione, Cooperazione allo sviluppo e Ambiente della Regione Marche e da REES Marche, la Rete dell’economia solidale delle Marche che in questi anni è andata costruendo, con passione e tenacia, “Reti di economia solidale” nel nostro territorio regionale, con l'intento di favorire la creazione dal basso di una nuova economia legata ai territori, partecipata e basata sulla solidarietà, sull'ecologia e sugli accordi diretti fra produttori, consumatori, finanziatori e lavoratori.
Siamo certi che questa nuova e importante sinergia si tradurrà in una presenza di espositori qualificati ancora più numerosa e di nuovi visitatori, con vantaggio di tutti. Vorremmo inoltre realizzare un vero approccio partecipativo! Desideriamo che Eco&Equo sia ancora di più la manifestazione di tutti e che i partecipanti, espositori e visitatori, siano sempre più i protagonisti della fiera, non solo nell'inviarci proposte e suggerimenti su ogni aspetto, ma soprattutto attraverso un ruolo attivo durante i tre giorni, nelle modalità che vanno dalla vendita diretta dei prodotti e dalle loro degustazioni, all'offerta di materiale informativo e culturale, fino ai laboratori di pratiche distribuite nell’intero padiglione espositivo, entro e fuori gli stands. Anche per la parte dei convegni abbiamo pensato di riservare una sala per dare spazio e voce alle proposte di chi, espositore e non, desideri organizzare incontri (nove complessivamente gli spazi gratuiti a disposizione, nei tre giorni di fiera). Per le altre due sale stiamo lavorando alla preparazione di un ricco programma di eventi con l’intento di fare di questa sesta edizione di Eco&Equo, la migliore anche da questo importante punto di vista. Altra novità è la presenza dell'informatica comunicativa. Le conferenze e le attività che si svolgeranno nella tre giorni di fiera, saranno riprese, registrate e trasmesse in diretta sulla rete Internet, visionabili e ascoltabili da tutti, nel momento stesso del loro svolgimento e successivamente. L'ultima novità rilevante riguarda la partecipazione delle scuole. Stiamo lavorando ad un percorso didattico qualificato che prepari e coinvolga gli studenti non solo durante i tre giorni della manifestazione, ma anche prima e dopo di essa. Infine, come già gli altri anni, le serate saranno allietate da spettacoli di alto livello qualitativo in tema con la manifestazione. Con tutto questo speriamo di creare un grande evento culturale e di relazioni feconde, che rispetto agli anni precedenti cresca, si arricchisca e si incanali sempre più nel filone giusto, in sintonia con quanto di meglio la società viene via via elaborando e realizzando. Al fine di favorire la partecipazione degli espositori, inoltre, i costi per l’iscrizione e lo spazio espositivo, per la quarta edizione consecutiva, rimangono invariati e, dunque, davvero alla portata di tutti. Anche l’ingresso, naturalmente, continua ad essere gratuito sia alla mostra mercato che a tutte le attività previste dal programma.
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giovedì 12 novembre 2009

Sabato 21 novembre CENA ITALO-CUBANA

Sabato 21 novembre dalle 20.00 a Senigallia nei locali
del Circolo ARCI Capanna in Via Di Vittorio, 5
CENA ITALO-CUBANA
per maggiori dettagli clicca sul volantino

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venerdì 6 novembre 2009

Camilo a Plaza de la Revolucion.

Riceviamo dalla nostra compagna Isabella che risiede a Cuba e con piacere pubblichiamo le foto di Camilo a Plaza de la Revolucion e questo messaggio.

A la Plaza de la Revolucion si è aggiunto il volto di Camilo Cienfuegos; la inaugurazione fu per el 50º anniversario della sua morte che fu il 28 ottobre 1959. Spero che vi sia gradito questo regalo !

A la Plaza de la Revolucion añadieron la cara de Camilo Cienfuegos; la pusieron para el 50 aniversario de su desaparicion fisica che fue el 28 de octubre de 1959. Espero che este recado les sea de agrado !!

¡ HASTA LA VICTORIA SIEMPRE !



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martedì 3 novembre 2009

E' scomparso Arnaldo Cambiaghi.


Cambiaghi con Gino Donè.

Nella mattinata del 31 ottobre è venuto a mancare
Arnaldo Cambiaghi, fondatore e già presidente
dell'Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba.

La sua storia personale è un esempio di militanza
comunista che inizia come partigiano nella guerra
di Liberazione.
Attivista sindacale nel primo dopoguerra fino a quando
il Partito Comunista Italiano lo incarica di occuparsi
di Radio Praga e successivamente di Radio Varsavia.
Tornato in Italia lavora per l'ETLI, di cui diventa
presidente, quindi dell'Italturist.
Il suo legame con la Rivoluzione cubana inizia dai primi
anni Sessanta.
E' tra i fondatori dell'Associazione Nazionale di Amicizia
Italia-Cuba, di cui diventa presidente nel 1992, carica
che manterrà fino al 2001.
Per il suo infaticabile lavoro di propulsore della solidarietà
con la Rivoluzione, nel 1993 il Consiglio di Stato di Cuba
gli assegna la Medaglia d'Oro dell'Amicizia.

L'Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba gli rende
onore continuando a lavorare nella direzione da lui tracciata
di solidarietà e di unità. Leggi tutto...

mercoledì 14 ottobre 2009



Cari compagni,
con questo messaggio voglio ringraziare tutti i nostri Circoli
e i singoli compagni che hanno partecipato a Milano alla
manifestazione del 10 ottobre.
E' stato un grande successo, testimoniato dai complimenti
ricevuti e che estendo a tutti voi - dall'Ambasciatore cubano,
dal Consolato cubano di Milano, da diversi rappresentanti
di partiti e di organizzazioni politiche.
Nonostante l'attuale periodo politico non favorevole,
ancora una volta la nostra Associazione ha dimostrato
di saper lavorare compatta e di non temere
la conta al momento di scendere in piazza.
E' stata una manifestazione piena di colori e di allegria.
Le stime, nostra e della polizia, sulla partecipazione
questa volta sono state coincidenti nel valutare in circa
4.000 il numero delle presenze.
Anche la parte finale, qualla dello spettacolo, è stata
di buon livello artistico e ha avuto un buon gradimento.
Una bella giornata che non deve essere considerata
un punto di arrivo, ma un invito a lottare ancora
con maggior impegno a fianco del popolo cubano per
la liberazione dei Cinque.
Un saluto e di nuovo grazie a tutti.

Sergio Marinoni
presidente Leggi tutto...

martedì 22 settembre 2009

10 OTTOBRE TUTTI A MILANO!



SABATO 10 OTTOBRE 2009
MANIFESTAZIONE Nazionale in favore dei 5 cubani
___
STIAMO RACCOGLIENDO LE ADESIONI PER IL PULLMAN CHE CI PORTERA' A MILANO ALLA MANIFESTAZIONE del 10 Ottobre 2009 per INFO
:
mail: italiacuba.senig@gmail.com
tel.
Albinella 333 3806715
Peppe 339 8242575
Rosalba 335 423701
Gianclaudio 334 5478822 Leggi tutto...

giovedì 17 settembre 2009

Grazie e arrivederci presto.


Salutiamo i compagni del Mezza Canaja che oggi hanno dovuto lasciare i locali delle colonie ex-ENEL in cui tante volte hanno ospitato il nostro banchetto e le nostre iniziative di solidarietà con Cuba.
Oggi lasciano l’edificio del Lungomare Da Vinci ma, come scrivono in una bella lettera sul loro sito (http://csoamezzacanaja.noblogs.org/), non abbandonano le loro battaglie che, ci sentiamo di dire, sono anche le nostre battaglie.
Ad ulteriore prova che la lotta continua è rimasta a sventolare sul terrazzo dell’ex ENEL la bandiera cubana con la scritta HASTA LA VICTORIA SIEMPRE!
Grazie e arrivederci nel prossimo spazio che occuperete e renderete comune.
Il direttivo del circolo “Sado Sadovski” di Senigallia. Leggi tutto...

mercoledì 16 settembre 2009

Aquì no se rinde nadie! Ciao Comandante!


Venerdì notte si è spento uno dei pilastri della Rivoluzione Cubana, il comandante Juan Almeida Bosque, un combattente la cui vita rappresenta un paradigma della determinazione e della forza di un intero popolo. Valga per tutti un aneddoto. Subito dopo lo sbarco del Granma, quando gran parte degli 82 componenti della spedizione era già stata falciata dalle mitragliatrici dell’aviazione di Batista, a chi superstite e sotto il fuoco nemico ipotizzava la resa disse perentorio: aquì no se rinde nadie. Qui non si arrende nessuno. E quei dodici rivoluzionari scampati alle pallottole della dittatura furono in grado di dar vita ad una guerriglia che in soli tre anni sbaragliò l’esercito meglio armato dell’America Latina. Ancora oggi e per sempre un esempio e un monito per chiunque e in qualunque parte del mondo proverà a dire: non si può fare. E allora Comandante, a noi piace immaginare che in questo momento tu stia ricostituendo una colonna guerrigliera, da qualche parte, magari col Che e Camilo, pronti a ritentare l’assalto alla caserma dell’ingiustizia.

Che la terra ti sia lieve, Comandante.

Di seguito il comunicato del PCC
È morto il Comandante della Rivoluzione Juan Almeida Bosque.
Con profondo dolore, la Direzione del Partito e dello Stato comunicano al nostro popolo che il Comandante della Rivoluzione Juan Almeida Bosque, membro dell’Ufficio Politico e Vicepresidente del Consiglio di Stato, è morto a La Habana, alle 23.30 dell’11 settembre in seguito ad un arresto cardiorespiratorio.
Il compagno Almeida era nato nella capitale il 17 febbraio del 1927. Tra le molte privazioni di una famiglia e umile e numerosa, con i suoi genitori come guide, si formò con alti valori patriottici ed apprese dalla vita stessa che la lotta è il solo cammino dei poveri per conquistare i propri diritti calpestati. Dopo il colpo di Stato del 1952, si unì alla lotta contro la tirannia, vincolandosi al compagno Fidel. Fu un muratore sino all’assalto alla caserma Moncada nel 1953, il secondo di dodici fratelli, che aiutò il padre a mantenere la numerosa famiglia. Nei 57 anni trascorsi da allora, il Comandante Almeida è stato sempre nella prima linea di combattimento assieme al Capo della Rivoluzione, coraggioso, deciso e fedele sino alle ultime conseguenze.
Il suo atteggiamento è stato sempre quello invariabile di uno degli assaltatori della Caserma Moncada; del prigioniero politico nell’isola de Pinos; del rivoluzionario esiliato in Messico; della spedizione del Granma, di cui fu uno dei tre capiplotone; dell’ufficiale nei giorni della fondazione dell’Esercito Ribelle, quando fu ferito due volte nel combattimento a El Uvero; del Comandante del Terzo Fronte Guerrigliero e del capo militare e dirigente rivoluzionario con numerose ed elevate responsabilità dopo il trionfo del Primo gennaio del 1959.
Ha fatto parte del Burò Politico del Comitato Centrale del Partito dalla sua fondazione nel 1965, responsabilità ratificata in tutti i suoi Congressi.
Fu eletto Deputato dell’Assemblea Nazionale e Vicepresidente del Consiglio di Stato, dalla prima legislatura del nostro Parlamento.
La sua speciale sensibilità umana ed artistica rese possibile il difficile compito di rendere simultanei il suo intenso, responsabile e fecondo lavoro come dirigente rivoluzionario, con una profonda e numerosa opera artistica che comprende più di 300 canzoni ed una dozzina di libri, che costituiscono un prezioso apposto alla conoscenza della nostra storia.
Con particolare amore ed impegno assunse il compito di presiedere l’Associazione dei Combattenti della Rivoluzione cubana e dedicò le sue ultime energie a garantire che l’Organizzazione rappresentasse un solido ed efficace baluardo della Patria.
Il nome del Comandante della Rivoluzione Juan Almeida Bosque resterà per sempre nei cuori e nella mente dei suoi compatrioti, come paradigma della fermezza rivoluzionaria, delle solide convinzioni, del coraggio, del patriottismo e dell’impegno con il popolo.
Per i suoi molteplici ed importante meriti, aveva ricevuto molte decorazioni nazionali e internazionali, tra le quali il Titolo Onorifico di Eroe della Repubblica di Cuba e l’Ordine Maximo Gomez di Primo Grado il 27 febbraio del 1998, in occasione del 40º anniversario della sua nomina a Comandante nella Sierra Maestra.
Rispettando la sua volontà, i resti mortali del compagno Juan Almeida Bosque non saranno esposti. Saranno inumati successivamente con onori militari, in una data che si annuncerà, nel Mausoleo del III Fronte Orientale Mario Muñoz Monroy, del quale fu fondatore e unico capo e dove riposano i resti degli eroici combattenti di questo agguerrito Fronte.
Domenica 13, tra le 8.00 di mattina e le 20.00, giornata di lutto ufficiale, il nostro popolo potrà rendere omaggio di riconoscimento e d’affetto alla sua memoria nel Memoriale José Martí di questa capitale, che fu la sua culla, e nel Salone delle Vetrate alla base del monumento ad Antonio Maceo, a Santiago di Cuba, città eroica che amò molto profondamente, dove lottò contro le forze della tirannia e quindi lavorò al fronte del Partito come delegato del Burò Politico nell’antica provincia d’Oriente e nei capoluoghi di tutte le province, includendo l’Isola della Gioventù, dove fu recluso dopo l’assalto alla caserma Moncada.

UFFICIO POLITICO DEL COMITATO CENTRALE DEL PARTITO COMUNISTA DI CUBA
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mercoledì 9 settembre 2009

Osimo, 11-12-13 Settembre.


Il Circolo Sado Sadovski di Senigallia sarà presente con un proprio stand all' XI Festival "A Pugno chiuso" di Osimo. Leggi tutto...

venerdì 7 agosto 2009

Thomas Sankara.


Idealista, genuino, irriverente, sognatore. Sono tanti gli aggettivi usati per parlare di Thomas Sankara, il presidente-ribelle del Burkina Faso, assassinato nel 1987. Oggi la figura di questo giovane rivoluzionario sopravvive nella memoria di milioni di africani. Scopriamo il perché nel 3° appuntamento di "utopia", la nostra operazione sulla memoria.

Thomas Sankara è stato l’eroe della rivoluzione popolare che nel 1983 cambiò i destini dell’Alto Volta, un povero paese saheliano, poi ribattezzato col nome di Burkina Faso (nella lingua locale significa “terra degli uomini liberi e integri”).
Giovane ufficiale dell’esercito, ambizioso e determinato, Sankara si impadronì del potere con un golpe. All’età di soli 34 anni si trovò a governare una nazione assediata dalla desertificazione e dalla carestia, che da decenni conviveva con colpi di stato, scioperi selvaggi e una miseria dilagante. In soli quattro anni di governo, Sankara riuscì a realizzare riforme sociali epocali e cambiò il volto del Paese.
Sankara era un idealista ma pure un uomo di azione, un insaziabile stacanovista. Si dedicava solo a programmi ambiziosi e intensivi: in meno di tre settimane, il suo Governo riuscì a far vaccinare contro il morbillo, la meningite e la febbre gialla il 60% dei bambini del paese (secondo l’Unicef fu una delle più belle imprese mai realizzate in Africa). In ogni villaggio Sankara fece costruire nuove scuole (in quattro anni la percentuale di bambini scolarizzati del Burkina salì di un terzo), ambulatori, piccoli dispensari e magazzini per i raccolti.
Molta gente si offriva volontaria per realizzare i programmi della rivoluzione, ma Sankara non esitava ad usare le maniere forti pur di centrare i suoi obiettivi: obbligò i capi-villaggio a seguire corsi di formazione per infermieri di primo soccorso. Impose una campagna di alfabetizzazione rapida nelle campagne (tutti, per 50 giorni consecutivi, furono costretti a frequentare la scuola) ed arrivò persino a promulgare l’obbligo di partecipare ad un’ora di ginnastica collettiva tutti i giovedì pomeriggio.
Senza peli sulla lingua
Sankara gestì il potere in modo decisamente poco convenzionale. Cercò di ridare vigore all’arretrata economia rurale, nella speranza di far raggiungere al Paese l’autosufficienza alimentare. Ma rifiutò polemicamente gli aiuti internazionali e le politiche di aggiustamento promosse dal Fondo monetario. «L’Africa si salverà da sola. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno sta nella nostra terra e nelle nostre mani» usava ripetere nei suoi comizi.
Non contento, Sankara scosse le cancellerie occidentali facendosi promotore di una campagna contro il debito estero contratto dai paesi africani: «Dopo essere stati schiavi, siamo ora schiavi finanziari. Dobbiamo avere il coraggio di dire ai creditori: siete voi ad avere ancora dei debiti, tutto il sangue preso all’Africa».
A preoccupare le potenze occidentali erano anche le “amicizie” di Sankara: il presidente burkinabè frequentava “gente pericolosa” come Gheddafi, Fidel Castro, Menghistu e il mozambicano Samora Machel. La Francia, in particolare, temeva che il proselitismo di questo giovane rivoluzionario potesse contribuire all’erosione dell’influenza politica ed economica di Parigi in Africa.
Un presidente in bicicletta
La diplomazia e la realpolitik non erano il suo forte (il padre-fondatore della Costa d’Avorio, Houphouet-Boigny, lo chiamava scherzosamente «il figlio ribelle») ma, da umile e populista qual era, viveva per primo il modello di vita proposto alla sua gente. Occorreva che tutti facessero dei sacrifici e lui non si tirava indietro.
Rifiutava di vivere al di sopra delle possibilità della gente comune, per le vie della capitale Ouagadougou lo si vedeva spesso girare in bicicletta. Per abbattere i privilegi della classe dirigente fece vendere le auto blu ministeriali, sostituendole con semplici utilitarie (il presidente guidava personalmente una Renault 5).
Nel 1985 licenziò gran parte dei membri del suo gabinetto e li inviò a lavorare nelle cooperative agricole, nello stesso anno decise un taglio del 15% dei salari del governo. Impose una radicale politica di austerità a tutti i funzionari pubblici, compreso a se stesso.
La frattura col passato
In effetti la rivoluzione richiedeva sacrifici. Tutti erano coinvolti nei progetti contro la desertificazione: ogni straniero che arrivava in Burkina era obbligato a piantare un albero. Studenti, operai, ministri e persino diplomatici europei furono “inviati” (un termine eufemistico: il regime non sopportava i dissidenti) a dare una mano per la costruzione della ferrovia che avrebbe dovuto collegare la capitale Ouagadougou alla città di Tambao, dove si trovano ricchi giacimenti di manganese e di calcare (gli economisti avevano calcolato che il progetto non avrebbe mai potuto produrre reddito e ancora oggi i lavori non sono stati ultimati).
Sankara era anche questo. Non tutti lo prendevano sul serio, soprattutto all’estero, ritenendolo ingenuo e sognatore. Gli oppositori politici lo accusavano di autoritarismo e di demagogia. Ma il suo fascino era contagioso: soprattutto i giovani vedevano in lui un nuovo leader, non assetato di potere, saggio e idealista. Sul piano sociale e culturale Sankara creò una frattura netta col passato. Si oppose fermamente a quella sorta di feudalesimo rurale che permetteva ai capi-villaggio di sfruttare i contadini. Puntò con forza sull’emancipazione delle donne. Si occupò di moralizzare la vita pubblica e lottò attivamente contro la prostituzione e la corruzione.
A livello economico perseguì una politica protezionistica. Quando non indossava l’uniforme militare, Sankara vestiva il tipico abito verde della fabbrica di tessuti Faso dan Fani, fatto col cotone ruvido burkinabé (era l’uniforme imposta ai funzionari). Anche il pane veniva in parte fatto con la farina di miglio perché il mais costava troppo e doveva essere importato. Certo non fu facile, ma in quattro anni il presidente cambiò il volto del Paese. E il Burkina Faso divenne fiero della propria diversità.
Ucciso dagli “amici” più cari
Thomas Sankara venne assassinato nel 1987 durante un colpo di stato organizzato da alcuni ufficiali dell’esercito, tutti vecchi amici del presidente. La nuova giunta militare venne guidata dal capitano Blaise Compaoré (l’attuale presidente del Burkina Faso), un tempo compagno di lotta di Sankara, che cercò invano di screditare l’immagine dell’ex leader con un’intensa propaganda destinata solo a far rimpiangere il precedente regime. Sotto il governo di Sankara l’economia del Burkina ritrovò vigore, i conti pubblici vennero gestiti con oculatezza e la corruzione fu ridotta a livelli bassissimi (un caso quasi unico in Africa). Tutti i principali indici della qualità della vita - mortalità infantile, età media, scolarizzazione, ecc. - migliorarono. Ma soprattutto la popolazione burkinabé sviluppò un genuino senso di patriottismo che permise di superare le divisioni tribali e di guardare al futuro con rinnovato ottimismo .
Un’eredità ingombrante
A quasi ventidue anni dalla sua morte, la figura di Thomas Sankara sopravvive nella memoria di milioni di africani: ogni 15 ottobre, nell’anniversario del colpo di stato che gli tolse il potere, una grande folla rende omaggio alla sua tomba a Ouagadougou. A tributargli gli onori non sono solo i nostalgici che hanno vissuto la sua rivoluzione, ma anche tanti giovani che lo hanno conosciuto coi racconti dei genitori e i libri di storia. A tutt’oggi rimangono numerosi interrogativi circa i motivi e i mandanti del suo omicidio.
Sankara si era procurato diversi nemici a cui dava molto fastidio. Pur godendo dell’appoggio delle masse, entrò sempre più in contrasto con alcuni gruppi di potere molto influenti fra cui i sindacati, i proprietari terrieri, i capi tradizionali.
Aspri dissidi si erano creati anche con alcuni paesi occidentali, specie gli Stati Uniti e la Francia, rispetto ai quali il Burkina Faso era stato per lungo tempo in una posizione di dipendenza economica e di sudditanza politica. Sankara era solo, troppo debole per avere la meglio su tutti. Ma l’immagine di questo giovane rivoluzionario che osò sfidare i grandi del mondo, e che seppe incarnare le speranze di liberazione di un intero continente, resta un esempio di integrità e di coraggio che riempie di orgoglio milioni di africani.
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giovedì 23 luglio 2009

Festeggia con noi i 50 anni della Rivoluzione Cubana!



Sabato 1° Agosto 2009
P.SSO COLONIA CAPOTONDI RINO
VIA F.LLI KENNEDY 53 BARBARA
(MUSEO AGRICOLO)

Festeggia con noi i 50 anni della Rivoluzione Cubana!

Ore 19: Parliamo di Cuba, 50 anni di Resistenza e Socialismo con il giornalista cubano Pedro Paolo Gomez Hernandez.
Ore 20: Cena sociale con gnocchi al sugo di papera, anatra e pollo arrosto, contorni, dolce e rum cubano il tutto a 20 euro.
Ore 22: Rodolfo Dal Pane del Circolo di Ravenna farà il punto della situazione sui progetti informatici in corso a Cuba a cui collaboriamo da anni.

PER PRENOTAZIONI TEL. AI SEGUENTI N.ri: Albinella 333/3806715 - Rosalba 335/423701
Giuseppe 339/8242575 Gianclaudio 334/5478822 - Barbara 347/9721406 - Maurizio 333/3745938 Leggi tutto...

giovedì 9 luglio 2009

Festa dei Popoli - Forte Altavilla Ancona 16-17-18 Luglio



Il Circolo Sado Sadovski di Senigallia sarà presente con un proprio stand e presenterà due mostre fotografiche "Habana blues" e "la Revolucion soy yo" che si terranno nell'ambito della festa.


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domenica 5 luglio 2009

TESTIMONIANZA DALL’HONDURAS. LA GENTE VOTA. GLI INDIGENI MARCIANO SULLA CAPITALE. VIOLENZE SUI MEDICI CUBANI.


da www.gennarocarotenuto.it
Dopo ore di tentativi finalmente Giornalismo partecipativo riesce a comunicare con P. T. cooperante di un paese europeo residente da anni in Honduras. “E’ che il primo segnale che stava succedendo qualcosa è che i militari hanno staccato la luce in tutta la città. Solo da poco ci siamo procurati un generatore, ma abbiamo pochissima benzina perché è razionata, non si vende, e quindi posso restare collegata pochissimo tempo”.Quando avete saputo del golpe? “in mattinata prestissimo si è saputa la notizia che hanno preso il presidente con la forza. La capitale ha iniziato a reagire, mentre dalle altri parti del paese si è animata la gente a continuare a votare per il referendum. Anzi le ultime notizie sono che anche nella capitale dove può sta votando in massa”.
Si sta votando che tu sappia? “Qui dove mi trovo sono arrivati i militari e hanno sequestrato le urne per impedire il voto. Nella capitale è successo in molti posti ma ho molte testimonianze che in tutto il resto del paese e anche in alcune zone della capitale la gente sta correndo a votare come forma di dire NO al golpe”.
I media funzionano? “Hanno spento tutto. Appena hanno sequestrato il presidente Zelaya hanno chiuso il Canal 8, l’unico favorevole al governo e poi anche tutti gli altri. Adesso credo funzioni solo una radio della destra golpista HRN”.
Che tipo di reazione c’è da parte dei movimenti? “ti dico solo che i popoli indigeni hanno iniziato una marcia a piedi verso la capitale. Inoltre molte persone sono andate al palazzo presidenziale. Ma non ho informazioni verificate”. Riuscite a comunicare? “la mancanza di corrente fa che i cellulari sono quasi tutti scarichi. Qui dove sono li possiamo ricaricare ma le centinaia di persone nascoste non hanno maniera di farlo”.
Ci sono le notizie di violenza? “Gira voce di almeno un morto, ma non posso confermartela. Le uniche violenze sicure che ho io sono quelle contro i medici cubani. Alcuni sono stati aggrediti, gli altri li stiamo nascondendo. Inoltre qui da noi quando hanno sequestrato le urne del referendum hanno detenuto tre persone ma sono stati costretti a rilasciarli quasi subito. Inoltre ho notizie di liste nere di dirigenti popolari che vengono ricercati, soprattutto quelli che hanno lavorato al referendum. Non ho notizie di persone precise arrestate. Ma centinaia se non migliaia di persone si sono dovute nascondere”.
Sei uscita? Com’è la città? Che idea ti sei fatta sui rapporti di forza? “Ho girato per il quartiere ma come straniera non mi sono avvicinata al punto dove si votava. I militari sono estremamente aggressivi, puntano le armi in faccia alla gente. La gente sta chiamando alla calma e cerca di parlare loro e si stanno facendo azioni pacifiche in tutto il paese. Il messaggio è calma, pace e non opporre altre forme di resistenza”.
Che messaggio puoi lasciarmi in conclusione? “Faccio un appello internazionale a non lasciare solo l’Honduras e a fare informazione su quello che sta succedendo in Honduras. Non credete ai media ufficiali”. Leggi tutto...

giovedì 2 luglio 2009

Solidarietà di Fidel a Zelaya.


Un errore suicida.
Nella riflessione scritta la notte del giovedì 25 ho detto "Non sappiamo che cosa accadrà stanotte o domani in Honduras, ma il comportamento valoroso di Zelaya passerà alla storia."
Due paragrafi prima avevo segnalato:
“Quello che accadrà sarà una prova per la OEA e per l'attuale amministrazione degli Stati Uniti."
Il giorno successivo, la preistorica istituzione interamericana si riuniva a Washington e in una spenta e tiepida risoluzione, ha promesso di svolgere immediatamente le pratiche pertinenti per cercare un'armonia tra le parti in lotta. Cioè, una negoziazione tra i golpisti ed il Presidente Costituzionale dell’Honduras.
L'alto capo militare che continuava alla testa delle Forze armate honduregne, faceva pronunciamenti pubblici in differenza con le posizioni del Presidente, intanto riconosceva la sua autorità in modo meramente formale.
I golpisti non avevano bisogno di un'altra cosa dalla OEA. Gli importava poco la presenza di un gran numero di osservatori internazionali che si erano spostati al suddetto Paese per dare fede di una consultazione popolare, con i quali Zelaya ha parlato fino a notte inoltrata. Oggi, prima dell'alba circa 200 soldati professionisti, ben allenati e armati, sono stati lanciati contro la residenza del Presidente, i quali, allontanando rudemente la squadra della
Guardia di Onore, hanno sequestrato Zelaya che dormiva in quello momento, l’hanno portato alla base aerea, l’hanno fatto salire per la forza in un aereo e l’hanno trasportato a un aeroporto della Costa Rica.
Alle ore 8 e 30 del mattino, abbiamo conosciuto da TeleSur la notizia dell'assalto alla Casa Presidenziale e il sequestro. Il Presidente non ha potuto partecipare all'atto iniziale della consultazione popolare che si sarebbe tenuta questa domenica. S’ignorava quello che avevano fatto con lui.
La stazione di televisione ufficiale è stata taciuta. Desideravano ostacolare la divulgazione prematura della traditrice azione attraverso TeleSur e Cubavisión
Internazionale che informavano sui fatti. Hanno sospeso, quindi, i centri di trasmissione e perfino hanno tolto l'elettricità a tutto il Paese. Il Congresso e gli alti tribunali coinvolti nella cospirazione non avevano ancora pubblicato le decisioni che giustificavano la congiura. Per primo hanno portato a termine l'inqualificabile colpo militare e dopo l’hanno legalizzato.
Il popolo si è svegliato con i fatti consumati e ha cominciato a reagire con crescente indignazione. Non si sapeva il destino di Zelaya. Tre ore più tardi, la reazione popolare era tale che si è visto delle donne battendo con il pugno i soldati, i cui fucili cadevano quasi delle loro mani per mero sconcerto e nervosismo. Inizialmente i loro movimenti sembravano quelli di un bizzarro combattimento contro fantasmi, più tardi tentavano di coprire con le mani le cineprese di TeleSur, miravano tremuli i loro fucili contro i reporter, e a volte, quando la gente andava avanti, i soldati venivano in dietro. Hanno inviato veicoli blindati con cannoni e mitragliatrici. La popolazione discuteva senza paura con le dotazioni dei blindati; la reazione popolare era sorprendente.
Circa alle ore 2 pomeridiane, in coordinamento con i golpisti, una maggioranza addomesticata del Congresso ha destituito Zelaya, Presidente Costituzionale dell’Honduras, e ha nominato un nuovo Capo di Stato, affermando al mondo che quello aveva rinunciato, presentando una firma falsificata. Alcuni minuti dopo, Zelaya, da un aeroporto della Costa Rica, informava di quanto accaduto e smentiva categoricamente la notizia della sua rinuncia. I cospiratori hanno fatto una figuraccia davanti al mondo.
Molte altre cose sono successe oggi. Cubavisión si è dedicata interamento a smascherare il colpo, informando continuamente la nostra popolazione.
Dei fatti nettamente fascisti si sono verificati, e anche se gli aspettavamo, ci hanno comunque stupito.
Patricia Rodas, ministro degli Affari Esteri dell’Honduras, è stata, dopo Zelaya, l'obiettivo fondamentale dei golpisti. Un altro distaccamento è stato inviato alla sua residenza. Lei, coraggiosa e decisa, a agito velocemente, non ha perso neanche un minuto per denunciare il colpo per tutte le vie possibili.
Il nostro ambasciatore aveva contattato Patricia per conoscere la situazione, così come altri ambasciatori. A un certo punto ha chiesto ai rappresentanti diplomatici del Venezuela, Nicaragua e Cuba di riunirsi con lei che, ferocemente assillata, aveva bisogno di protezione diplomatica. Il nostro ambasciatore, che dal primo momento era stato autorizzato da offrire il massimo appoggio al Ministro costituzionale e legale, è andato a visitarla alla sua residenza.
Quando erano già nella sua casa, il comando golpista ha inviato il maggiore Oceguera per arrestarla. Loro si sono messi davanti alla donna e hanno detto che era sotto la protezione diplomatica, e che solo si poteva muovere in compagnia degli ambasciatori. Oceguera discute con loro e lo fa rispettosamente. Poco dopo entrano nella casa 12 o 15 uomini in divisa ed incappucciati.
I tre ambasciatori si abbracciano a Patricia; gli incappucciati agiscono in modo brutale e riescono a separare gli ambasciatori del Venezuela e Nicaragua; Hernández l’ha presso tanto fortemente per uno delle braccia che i mascherati hanno trascinato loro fino a un furgoncino; gli portano alla base aerea, dove riescono a separarli, e gliela portano via. Stando lì detenuto, Bruno, che aveva notizie del sequestro, si comunica con lui attraverso il telefonino; un mascherato tratta di strappargli rudemente il telefonino; l'ambasciatore cubano che era stato già battuto a casa di Patricia, gli grida: Non mi spingere, coglione! Non ricordo se la parola che ha pronunciato sia stata utilizzata qualche volta da Cervantes, ma senza dubbio l'ambasciatore Juan Carlos Hernández ha arricchito la nostra lingua.
Poi l’hanno lasciato in una strada lontano dalla missione e prima di abbandonarlo gli hanno detto che, se parlava, poteva succedergli qualcosa di peggio. "Niente è peggiore della morte!", gli ha risposto con dignità, "e non per quello ho paura di voi. I vicini della zona l'hanno aiutato a ritornare all'ambasciata, da dove si è comunicato subito, un'altra volta, con Bruno.
Con quell'alto comando golpista non si può negoziare, bisogna esigergli la rinuncia e che altri ufficiali più giovani e non compromessi con l'oligarchia occupino il comando militare, o non ci sarà mai un governo "con popolo, dal popolo e per il popolo" in Honduras.
I golpisti, messi alle strette e isolati, non hanno salvazione possibile se si confronta con fermezza il problema.
Perfino la signora Clinton ha già dichiarato nel pomeriggio che Zelaya è l'unico Presidente dell’Honduras, e i golpisti honduregni non possono neanche respirare senza l'appoggio degli Stati Uniti.
In camicia da notte fino ad alcune ore fa, Zelaya sarà riconosciuto dal mondo come l'unico Presidente Costituzionale del Honduras.
Fidel Castro Ruz
- 28 giugno 2009
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sabato 20 giugno 2009

COMUNICATO STAMPA CONTRO LA DECISIONE DELLA CORTE SUPREMA DEGLI STATI UNITI


L'Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba esprime il proprio sdegno per la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di rigettare la revisione del processo nei confronti dei Cinque eroi cubani detenuti illegalmente da oltre 10 anni nelle carceri statunitensi.
Una decisione per la quale la Corte Suprema non ha dato motivazione alcuna e che getta una nuova ed ennesima pesante vergogna sulla democrazia statunitense.
La politica estera e le relazioni con Cuba non sono cambiate e la gestione di Obama non si dissocia di molto da quella di Bush. La giustizia statunitense ha perso ancora una volta l'opportunità di porre rimedio a un processo ritenuto ingiusto da giuristi e personalità di tutto il mondo.
Continueremo con la nostra solidarietà a batterci con Cuba per ottenere la liberazione dei Cinque cubani che, come unica colpa, hanno quella di aver difeso il proprio popolo da azioni di terrorismo anticubano provenienti dalla Florida.

La Segreteria Nazionale Leggi tutto...

giovedì 4 giugno 2009

Riammissione dell'isola nell'Osa.

Colloqui Cuba-Usa, la partita si scalda - di Maurizio Matteuzzi da ‘il manifesto’ del 02/06.

Domenica Hillary Clinton ha annunciato il sì dell'Avana alla ripresa dei negoziati interrotti da Bush nel 2003 sui flussi migratori. Oggi in Honduras proverà a resistere alle pressioni di tutti i paesi dell'America latina per il rientro dell'isola nell'Organizzazione degli stati americani.


Più protagonista di così si muore. Al vertice delle Americhe di Trinidad a metà aprile, Obama fu la stella ma Cuba - la sua ammissione nel club dei 34 paesi americani da cui è la sola esclusa - fu il centro di ogni discorso. Oggi e domani a San Pedro Sula, in Honduras, all'assemblea dell'Osa, l'Organizzazione degli stati americani, praticamente l'unico punto all'ordine del giorno è la riammissione di Cuba - che su diktat Usa fu espulsa dal «ministero delle colonie» di Washington nel 1962 -, sostenuta da tutti i paesi eccetto uno (e senza più neanche molta convinzione): gli Stati uniti.
Ma il massimo del protagonismo Cuba lo tocca nel momento in cui nel vertice honduregno ci si scannerà per decidere il suo immediato e incondizionato reintegro in un organismo che l'Avana ha definito «un cadavere politico» e nel quale - l'ha detto prima Fidel, poi Raúl e ancora sabato scorso il Granma - pare non voglia assolutamente saperne di tornare.
Un paradosso solo apparente che mostra, ancora una volta, la centralità continentale di Cuba nonostante in tanti si sforzino di presentarla come un «anacronistico residuato» di un'altra fase storica. Anacronistici in realtà, più che mai in questa fase, appaiono gli Stati uniti del modernissimo Obama e del suo assai più antiquato segretario di stato Hillary Clinton - la moglie del pessimo Bill - con il loro blocco economico e la pretesa di porre sempre pre-condizioni alla sua revoca e alla riammissione dell'isola ribelle nel contesto americano.
La partita fra il regime cubano e la nuova amministrazione Usa è apertissima e da domenica è entrata in una nuova fase. Domenica infatti Hillary Clinton, a San Salvador per l'insediamento di Mauricio Funes, il primo presidente salvadoregno di sinistra (è del Fronte Farabundo Martí), ha annunciato che il governo cubano ha risposto ufficialmente sì alla proposta Obama per la ripresa dei negoziati sull'emigrazione (e del servizio postale diretto). Aggiungendoci anche la disponibilità a discutere sulla lotta al narco-traffico e al terrorismo (nonostante alla fine di aprile proprio il dipartimento di stato di Hillary abbia messo di nuovo Cuba, ridicolmente, nella lista nera dei «paesi terroristi»). «Un passo positivo», di cui Clinton si è detta «molto soddisfatta», nella direzione del «new beginning» proposto da Obama a Cuba. Gli accordi per regolare il flusso migratorio verso gli Usa - mai onorati: prevedevano la concessione di 20 mila visti d'entrata l'anno - furono firmati dall'assatanato Ronald Reagan nel lontano 1984 e poi nel '95 dal piacione Bill Clinton ma nel 2003, in piena «guerra al terrorismo», furono sospesi unilateralmente da George W. Bush.
La Clinton ha detto anche di «aspettare ansiosamente il giorno in cui Cuba, se lo vuole, potrà unirsi di nuovo all'Osa». Ma per farlo dovrà aderire alla «Carta democratica inter-americana» del 2001 - condicio sine qua non anche per essere ammessa ai vertici delle Americhe -, quindi «obbedire ai principi della democrazia e dei diritti umani». Di nuovo con la pretesa di imporre condizioni previe.
Come se gli Usa e l'Osa fossero in grado di imporre condizioni sul tasso di democrazia dei paesi membri. Ha avuto gioco facile il Granma di sabato a scrivere che l'Osa è quello stesso organismo che «stette a guardare i colpi di stato sponsorizzati dagli Stati uniti in Uruguay, Argentina e Cile», lo stesso che «stette zitto davanti alla morte di Salvador Allende, davanti all'assassinio e alla scomparsa forzata di decine di migliaia di sudamericani durante la tenebrosa Operazione Condor». Cuba, terminava il Granma, non vuole rimettere piede in quel «cadavere politico» che resta tale anche se, per la prima volta, alla sua testa c'è un socialista, il cileno Josè Miguel Insulza, e che propone si «smantellare» per fondare al suo posto «una nuova organizzazione di paesi latino-americani e caraibici, senza gli Stati uniti» (a rigore c'è già, l'Unasur).
Nel '62 Cuba fu espulsa e isolata da una succube America latina - unica onorevole eccezione, il Messico - sulla base di una clausola che dichiarava «il marxismo-leninismo incompatibile con il sistema inter-americano». Hillary si presenta in Honduras con una proposta di risoluzione dell'ultimo minuto che affidi all'Osa lo studio del problema e la risposta entro un anno. Ma è un tentativo estremo - fatto anche per assecondare la delegazione della «Resistence Assembly», l'ombrello di 54 diversi gruppi anti-castristi «di dentro e di fuori» l'isola, arrivata a San Pedro Sula - per stoppare altre due bozze di risoluzione che chiedono la riammissione «immediata e senza condizioni» di Cuba.
L'eterna partita Cuba-Usa in ogni caso non si giocherà all'Osa. Dopo i «baby-passi» di Obama in aprile - la liberalizzazione dei viaggi e delle rimesse dei cubano-americani -, ecco la risposta dell'Avana sull'emigrazione, un punto scottante. Tutto lascia credere che la partita continuerà e si allargherà a tutto campo.
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martedì 2 giugno 2009

Che fare?

Sotto il peso delle sue bugie lo scorso autunno è crollato anche il muro del capitalismo, e non poteva che finire così. Ma, mentre in America latina con l’ affermarsi del “socialismo del XXI secolo” nella maggior parte dei Paesi cresce la febbre di riscatto, in Occidente i governi stanno tentando di rianimare il libero mercato (privato) pompando ingenti somme di denaro (pubblico) lasciando soli a se stessi milioni di cittadini che, grazie al fallimento di questa idea di società, hanno perso o perderanno ogni mezzo di sostentamento. Gran parte delle persone che si interessano intelligentemente di tale problema, ed in particolare la maggior parte degli intellettuali, nonostante facciano una analisi della situazione molto corretta predispongono soluzioni che sono definite all'interno del sistema esistente, mettendo a loro presupposto quegli stessi caratteri che sono alla base dell'attuale modello e che ostacolano qualunque soluzione migliorativa (in particolare il mercato e i profitti che esso produce viene considerato come situazione di partenza da regolare e non da eliminare nelle attuali forme).

Nell’ attesa di grandi strategie politiche dei movimenti di opposizione (sempre più divisi) si rischia, secondo noi, di perdere l’occasione storica di un’alternativa che la crisi del sistema capitalista ci offre. E’ necessario quindi recuperare da subito il senso dell'agire individuale ovvero la capacità di incidere anche individualmente adottando uno stile di vita conflittuale con la società dei consumi.

-Recuperare il senso dell'agire individuale
Questo sistema avendo destrutturato gli organismi politici e amministrativi cerca un'interlocuzione da persona a persona. La cerca perché ritiene, rispondendo alle medesime logiche che hanno tarpato le sinistre, che l'individuo disorganizzato sia più facile da gabbare che l'individuo organizzato. Ma se l'individuo non organizzato è più cosciente di quanto la sua presenza all'interno di una organizzazione fatta di deleghe possa richiedere e prevedere, il confronto diviene a tutto svantaggio del sistema in quanto, in questa condizione, dovrebbe contrastare non uno ma infiniti leader.

-Tra integralismo e compromesso
Il sistema non funziona ed è facile prendere le distanze da esso, ma se la distanza è troppo profonda si rischia di perdere i contatti con il resto degli individui e di scegliere una pratica persecutoria nei confronti di coloro i quali sono vittime (seppur spesso coscienti) del sistema. E' dunque necessario trovare un fare politico che non avvii forme di integralismo ma che con fermezza manifesti la possibilità di soluzioni diverse senza cedere ai compromessi maggiormente presenti sia nella pratica della relazione che in quella dell'autoreferenzazione.

-La trappola della violenza
Comprendere la situazione, individuare le responsabilità, avere consapevolezza di come la sofferenza dell'intera umanità dipenda dall'interesse di pochi, e di come questi incidano anche a livello minimale sulle quotidianeità e indirizzino fortemente i destini anche personali con strafottenza. E' una consapevolezza irritante, la reazione più immediata è il desiderio di fare pareggiare almeno una volta i conti. Ma i conti non si pareggiano facendo azioni gratuite, o inutilmente plateali e chi non riesce a controllare la propria rabbia deve rimanere a casa. Il perseguimento di una violenza liberatoria e quindi non motivata, non condivisa assemblearmente e unanimemente, non strategica, non specifica e non imprescindibile non solo è inutile ma nocivo. E' nocivo perché militarizza il movimento, perché concentra l'attenzione sull'azione violenta riducendo il significato della conflittualità, perché si presta a favorire un eroismo di piazza e una cultura dell'atto saltuario, raccontabile, letterario (gli eroi giovani). E' nocivo perché spesso è desiderato, voluto, supportato, difeso, promosso dai governi che già in passato, ed in modo particolare in Italia, hanno sperimentato il vantaggio ricavabile dallo spostare l'argomento del contendere sul confronto violento dello scontro.
L'atto violento, se svolto all'interno delle manifestazioni, è un atto autoritario in quanto imposto da una minoranza, non discusso comunemente, ma difeso dalle presenza del corteo; è insulso in quanto gli obiettivi non sono rappresentativi ma solo evocativi; è pericoloso perché attuabile, in quanto svolto in incognito, da chiunque anche per interessi diversi da quelli palesati.
L'azione più forte non è la più violenta.

-La necessità di intelligenza
E' necessario percorrere cammini che non siano prevedibili. Evitare il confronto in terreni scontatamente perdenti ed evitare di cadere in trappole tese. E' necessario assumere atteggiamenti lucidi che promuovano azioni che effettivamente infastidiscano e limitino la prevaricazione di questo modello, azioni che siano comprese e partecipate dalle comunità e dagli individui. Quando Gandhi, sebbene nell'ambito limitato di un movimento per l'indipendenza, individuò nell'acquisizione dei vestiti dagli inglesi uno dei meccanismi per consolidare il potere coloniale, non invitò a distruggere i depositi delle compagnie ma invitò a farsi, come tradizione indiana, i vestiti da soli e quest'azione, sentita e condivisa, iniziò a scardinare il potere costituito. E il colonialismo inglese sugli indiani e nel mondo non era sicuramente meno pesante e invasivo del potere della globalizzazione.

-Azioni coerenti
La limitazione dell'efficacia dei movimenti è connessa anche alla mancanza di coerenza che i suoi appartenenti mostrano. Automobilisti irriducibili, tifosi, puttanieri, accumulatori di denaro, gratuitamente violenti, dogmatici, non possono ipotizzare di scardinare un sistema che si fonda proprio su questo tipo di atteggiamenti. Essere conflittuali comporta anche avere una modalità di vita incoerente con i dogmi della società criticata; comporta avere una omogeneità tra mezzi e fini.

-Ridurre, rallentare, riflettere
Una azione imprescindibile è ridurre i consumi ed in questo gli abitanti del mondo occidentale hanno una grande possibilità di essere attivi. Ridurre gli acquisti riduce la richiesta di merci e l'importanza del mercato, riduce lo spreco di energia; rallentare i tempi delle azioni e degli spostamenti, visto che più velocemente ci si muove e più si consuma: la trappola del tempo è strumento di mercato; riflettere sulle cose che si fanno, su ogni gesto, sul come e il perché si compie. Nell'acquisto operare una distinzione critica tra le merci, boicottare i prodotti non corretti (eticamente, socialmente, ambientalmente), indirizzare il mercato. Acquisire prodotti da soggetti conosciuti, piccoli produttori, e non dalle multinazionali.
Individuare e sostenere delle realtà che per la loro esistenza sono dei limitatori del sistema
Vi è una diffusa serie di azioni che, anche solo per essere attuate, limitano la diffusione del modello. Ad esempio l'autoproduzione dei cibi o la riparazione dei prodotti. Tali azioni possono essere svolte dalle persone più diverse, ma sono intrinsecamente conflittuali, anche senza diretta consapevolezza, nei confronti dei princìpi che regolano questo modello.
Sostenerli è fondamentale.

-Contribuire alla ricomposizione delle comunità
Stare nei luoghi, relazionarsi con essi e con le comunità, utilizzare le capacità tecniche di esse e mettere a disposizione le proprie. Contribuire a renderle autonome o maggiormente indipendenti.

-Confrontarsi, uscire dalle case, parlare, sentire, inventare
Parlare delle cose semplicemente, con chiarezza, stimolando proprio quelle persone che sembrano avere già preso una posizione allineata.
Contribuire a togliere i pregiudizi e le abitudini indotte. Ritornare ad essere soggetti attivi, propositivi, disponibili. La propria presenza, il proprio essere è un elemento politico fondamentale che trova modo di sostenere ipotesi alternative al modello dato se relazionato creativamente e positivamente con altri.
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domenica 31 maggio 2009

Chico Mendes.


Proseguiamo la piccola operazione sulla memoria perché, come dicevamo, qualche volta dimenticare è una colpa.
Dopo il peruviano Nestor Cerpa Cartolini ricordiamo un altro figlio dell’America Latina che ha perso la vita combattendo per difendere i diritti dei più umili. Il ‘Guerrigliero eroico’ a cui dedichiamo un pensiero questo mese è Chico Mendes.

Nacque nel 1944 al Seringal Cachoeira, in Acre, da una famiglia di discendenti di raccoglitori di caucciu'. Fin da giovane si interesso' a far valere i diritti alle loro terre degli estrattori di gomma. Nel 1970 il piano di integrazione nazionale (PNI), un ambizioso piano del governo per domare l'Amazzonia , attrasse costruttori, allevatori di bestiame, compagnie di legname e coloni in Acre. Nel 1975, Chico Mendes organizzo' un sindacato di lavoratori rurali per difendersi dalle violente intimidazioni e dalle occupazioni della terra praticati dai nuovi arrivati che stavano distruggendo la foresta e quindi togliendo ai lavoratori rurali i loro mezzi di sostentamento.
Mendes organizzo' numerosi gruppi di lavoratori rurali per formare blocchi umani non violenti intorno alle aree di foresta minacciate dalla distruzione e presto attrasse la collera dei costruttori, abituati a risolvere gli intoppi sia grazie a politicanti corrotti sia assoldando pistoleri per eliminare gli ostacoli umani. Queste azioni di contrasto salvarono effettivamente migliaia di ettari di foresta, dichiarati reservas extrativistas dove lavoratori rurali poterono continuare a raccogliere e lavorare il lattice di gomma e a raccogliere frutti , noci e fibre vegetali.
L'interesse internazionale si concentro' su Mendes come difensore della foresta, ma il suo ruolo come leader lo fece anche diventare l'obiettivo degli oppositori frustrati ed infuriati. Nei primi giorni di dicembre 1988, si attivo' per far divenire il suo paese natale, il Serigal Cachoeira, una riserva estrattivista, sfidando il proprietario terriero ed allevatore locale, Darly Alves da Silva, che reclamava la proprieta' della terra. Il 22 dicembre, Chico Mendes che aveva ricevuto diverse minacce di morte lascio' per pochi istanti la sua guardia del corpo. Fu colpito a breve distanza nella veranda posteriore della sua casa da colpi partiti dai cespugli e mori' subito dopo.
Per almeno due anni, ci furono diverse speculazioni sugli assassini; nonostante fossero ben noti, furono considerati fuori dalla portata legale per le loro connessioni con influenti proprietari terrieri e figure ufficiali corrotte della regione - un compromesso comune nelle terre di frontiera del Brasile. Forti pressioni nazionali ed internazionali riuscirono a far arrivare il caso in tribunale. Nel dicembre del 1990, Darly Alves da Silva ricevette una condanna a 19 anni di prigione per essere stato il mandante dell'omicidio; suo figlio, Darci, ricevette la stessa condanna per esserne stato l'esecutore materiale.
I lavoratori rurali , l'opinione mondiale e il governo brasiliano, che necessitava di mostrare ai brasiliani ed al resto del mondo un minimo di controllo sulla regione amazzonica, ottennero ampia soddisfazione dal verdetto. Ma quando i media spostarono i loro riflettori, gli omicidi continuarono. Dagli ultimi anni del '70, di centinaia di omicidi di leaders sindacali e protestanti per i diritti della terra, l'unico che fu investigato completamente e porto' ad una condanna fu quello di Chico Mendes.
La condanna a Darly Alves da Silva fu annullata nel febbraio del 1992 a Rio Branco dalla corte d'appello statale.
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sabato 16 maggio 2009

Brigata internazionalista Josè Martì Cuba 5 - 27 luglio 2009

Sono ormai oltre 30 anni che l’Associazione di Amicizia Italia-Cuba partecipa alla Brigata Internazionale di Lavoro volontario a Cuba. La Brigata ‘José Martí’, è così chiamata in onore dello scrittore, poeta, patriota, rivoluzionario cubano, artefice della lotta per l’indipendenza di Cuba dalla Spagna, morto combattendo nel 1895. E’ una figura così importante che tutto lo sviluppo del processo rivoluzionario cubano trae origine dai suoi insegnamenti.


I componenti della brigata provengono da molti paesi europei e svolgono il loro lavoro nei pressi di Caimito, un municipio a circa 40 Km. da La Habana. Insieme ai giovani cubani e ai campesinos del luogo, si lavora nell’agricoltura, in una zona principalmente destinata alla coltivazione degli alberi da frutta.
Si vive in comunità al ‘Campo’. Possono partecipare alla Brigata donne, giovani e uomini, di qualsiasi età, idealmente animati a compiere un dovere di solidarietà con Cuba. E' questa solidarietà la leva morale che sostiene il lavoro volontario, l'amore e la simpatia per la Rivoluzione cubana, la manifestazione della nostra solidarietà a Cuba nella resistenza e nella lotta contro l'aggressione del governo degli Stati Uniti e contro l'illegale blocco economico che provoca sofferenze al popolo cubano.
La Brigata di Lavoro è anche un’occasione per discutere con i rappresentanti cubani della situazione politica, economica, sociale, nella quale sono costretti a vivere. La nostra visione di Cuba, a volte pessimistica e a volte idealistica, si concretizza nella conoscenza della realtà, sia discutendo, sia nell'apprendere direttamente i risultati delle conquiste della Rivoluzione.
Ogni giorno, dopo il lavoro, c'è un incontro, una visita, una partecipazione ad attività ricreative, culturali, insieme cubani ed europei, seguiti da periodi di riposo nel Mare dei Caraibi.
La vita in comune tra giovani cubani ed europei porta a fraternizzare, a conoscerci meglio, a rendere umani i rapporti politici e sociali dei diversi partecipanti. E' il momento più grande e più semplice per aprire la nostra visione sul mondo. Ci renderemo conto che questo mondo non è così brillante, non è fatto solo dalla ‘società dei consumi’, dal pensiero neo-liberista e dalla globalizzazione capitalista. Ma è anche un mondo pieno di contraddizioni, fra ricchezza e povertà, con problemi individuali e collettivi, economici e sociali, etici, morali e ideali. Insomma i problemi dell'oggi e del futuro dell'umanità, che vuole vivere con il lavoro, in una società più giusta ed eguale, nella pace e nella fratellanza con tutti i popoli.
La partecipazione alla Brigata è aperta a tutti coloro che vogliono fare questa esperienza e conoscenza di Cuba. Vorremmo che con noi ci fossero anche persone che militano nei diversi partiti o nelle diverse associazioni, che abbiano filosofie e opinioni diverse, ma che idealmente si sentano vicini al popolo cubano.
L'adesione alla Brigata prevede poche ma importanti condizioni: iscrizione all'Associazione, avere saldi principi e sentimenti democratici, sana costituzione, impegno a realizzare il programma di lavoro e rispetto per le regole di vita cubane.
Il Campo è situato in un grande parco verde. E' composto da alloggi in legno con letti a castello, suddiviso in camere da 4 o da 8 persone a più letti; il campo è fornito di bagno, docce e lavandini per l'igiene personale e il bucato.
La mensa è comune per tutti gli ospiti del campo. L'alimentazione è basata su piatti tipici cubani: riso, fagioli neri, carne e pesce, banane fritte, patate dolci, frutta tropicale, succhi di frutta, latte e yogurt naturale.
La vita al Campo: Ogni contingente nazionale avrà un Capo Brigata. Quello designato dall'Associazione di Amicizia Italia-Cuba, è responsabile nei confronti di ICAP e terrà i rapporti con l'Italia: presiede le riunioni della brigata italiana per discutere insieme il programma, i problemi, le necessità e le iniziative.
Il lavoro: la sveglia è alle ore 5.45, pulizie personali, colazione e partenza per il campo alle ore 7.00. La giornata lavorativa è fino alle ore 12. Rientro per il pranzo, così come è previsto nelle giornate di lavoro programmate.
Tutte le altre attività sono indicate nel Programma della Brigata.
La Brigata Europea di Lavoro si effettuerà dal 6 al 22 luglio 2009
La Brigata di Lavoro è una magnifica opportunità per conoscere Cuba e, in questo modo, fraternizzare con cubani e amici europei e scambiare opinioni sui diversi aspetti della realtà cubana.
Il programma prevede 13 notti di permanenza al Campo Internazionale Julio Antonio Mella (CIJAM), situato a Guayabal, nel municipio di Caimito, in Provincia di La Habana, a 40 km. dalla capitale, in alloggi condivisi da 8 persone, e comprende vitto (pensione completa), trasferimenti da e per l’aeroporto, trasporti per le attività previste nel programma, assistenza medica d’urgenza e 4 notti di permanenza in una struttura di Matanzas durante la visita a questa provincia.
Durante la permanenza verranno effettuate giornate di lavoro produttivo nell’agricoltura, verranno effettuate anche visite a località di interesse socio-economico, storico-culturale, turistico e programmi facoltativi (non previsti nei costi del programma) che offrono la possibilità di conoscere altri luoghi del paese. Nel Campo Internazionale vi sono servizi di caffetteria, bar, negozi, telefono nazionale e internazionale, posta elettronica e cassetta di sicurezza per denaro, passaporto, documenti e oggetti di valore.
Durante la permanenza al Campo è possibile contattare i partecipanti all’ indirizzo di posta elettronica: cijam@icap.cu
Nota
Il Campo non costituisce un’opzione per alloggiare. Prima di iniziare la Brigata, o una volta conclusa la stessa, si può rimanere nel Campo per l’arrivo dei voli, per cause di imperiose necessità o in attesa della partenza dei voli. Si dovranno pagare 10.00 CUC
(Pesos Convertibili Cubani) per ogni giorno in più. Le lingue ufficiali per le traduzioni saranno inglese, francese e spagnolo. Le attività facoltative non sono comprese nella quota generale. Questo programma potrà subire cambiamenti per ragioni non dovute alla nostra volontà.
I brigatisti entrano a Cuba con visto A-6 concesso dall’ICAP . I brigatisti che vogliono soggiornare a Cuba una volta terminato il programma della Brigata devono cambiare il loro ‘status’ pagando la quota per il visto turistico, costo 40,00 CUC

Clicca su ARGOMENTI - Brigata internazionalista 2009 per vedere la modalità e la scheda d'iscrizione.
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lunedì 11 maggio 2009

Cuba sì, Italia no!


Perché sostenete Cuba? E’ una domanda che ci sentiamo rivolgere spesso dalle persone che si avvicinano ai nostri banchetti. Anche noi a volte ci chiediamo cos'è che ci spinge ad essere solidali con un’isola abitata da 11 milioni di persone distante 9.000 km da noi. Forse perché è un bellissimo paese esotico con un popolo fiero ed intelligente? O forse perchè siamo ancora affascinati dall’epopea della Rivoluzione che ha visto trionfare i ‘barbudos’ di Fidel e Che Guevara contro il tiranno Batista? Sicuramente anche per queste ragioni, ma c’è una cosa che più di tutte ammiriamo di Cuba e dei cubani, questa cosa è la solidarietà che esprimono non solo a parole ma con fatti concreti verso i popoli più oppressi e più bisognosi. Non possiamo purtroppo dirci altrettando ammirati ed orgogliosi del nostro Paese, l'Italia, che grazie alle leggi varate da un esecutivo xenofobo e razzista, oggi è protagonista di una vera e propria aggressione all’umanità.

AGGRESSIONE ALL UMANITÀ di Alessandro Dal Lago.

Quando qualcuno, affamato, malato o bisognoso, bussa alla nostra porta, dovrebbe scattare un imperativo primordiale al soccorso.


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Quando qualcuno, affamato, malato o bisognoso, bussa alla nostra porta, dovrebbe scattare un imperativo primordiale al soccorso. Questo almeno sostengono le mitologie religiose. L'umanità, prima ancora di un'astrazione filosofica, è l'espressione di questo riflesso. Anche se non crediamo al diritto naturale e tanto meno alla retorica dei diritti umani, soprattutto nell'epoca delle guerre umanitarie, sappiamo che il limite minimo della comune condizione umana è definito da quell'imperativo. Rinviando i barconi dei migranti in Libia, il governo italiano ha deciso di rinunciare di fatto e di diritto a qualsiasi minima considerazione umana. O meglio: ha stabilito che la cittadinanza, italiana o occidentale che sia, è il requisito indispensabile perché qualcuno sia trattato da essere umano. E dunque che abbia diritto a vivere, a essere curato e trattato come una persona.
Tra i migranti respinti senza nemmeno mettere piede sul nostro sacro suolo ci sono persone in fuga dalla guerra, dagli stermini e dalla fame. Impedendo loro persino di chiedere asilo e riconsegnandoli ai porti d'imbarco, l'Italia li condanna alla detenzione, alle angherie e, come è già documentato da anni, alla morte. Così nel nome della difesa paranoica della nostra purezza territoriale che accomuna la maggioranza di destra e parti consistenti dell'opposizione, noi rispediamo nel nulla i nostri fratelli, uomini, donne e bambini. Proprio come, a diecimila chilometri di distanza, in nome della nostra sicurezza, le nostre pallottole uccidono i bambini e le nostre bombe cancellano dalla faccia della terra cento civili in un colpo solo.
A questo punto, non c'è nemmeno bisogno di insistere nelle analisi. Il quadro appare chiaro. Dentro la nostra fortezza, norme discriminatorie, che si appoggiano a una cultura trionfante della delazione pubblica e privata, tengono in riga, nell'ombra e nello sfruttamento, gli stranieri di cui abbiamo bisogno. Fuori, c'è l'espulsione preliminare, concordata con la Libia. Curiosi ricorsi storici: i nostri ex colonizzati, a suo tempo decimati e rinchiusi nei campi di concentramento di Graziani, si incaricano, in cambio di soldi, contratti e autostrade, di respingere e internare i profughi e gli affamati di un continente.
Qui le leggi razziali, rispolverate da qualcuno, non c'entrano proprio. C'è invece quella linea, profonda come la faglia di Sant'Andrea, che separa il mondo sviluppato dal resto della terra. In un romanzo di Saramago, la penisola iberica si staccava dall'Europa. Ma ora è questa che scava un fossato incolmabile con la povertà esterna; la Lega è la punta estrema e paranoica di questa cultura del respingimento. E in Italia, ventre d'occidente, non valgono nemmeno le finzioni umanitarie di burocrati e giuristi europei. Qui da noi, mentre la stampa si affanna intorno ai casi privati del padrone, tutto è divenuto possibile. Ma ci si sbaglierebbe a credere che la nostra sia un'eccezione. Dopotutto, il fascismo è nato in una pianura tra le Alpi e gli Appennini. Oggi, l'Italia è l'avanguardia di un'aggressione all'umanità.
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