giovedì 4 giugno 2009

Riammissione dell'isola nell'Osa.

Colloqui Cuba-Usa, la partita si scalda - di Maurizio Matteuzzi da ‘il manifesto’ del 02/06.

Domenica Hillary Clinton ha annunciato il sì dell'Avana alla ripresa dei negoziati interrotti da Bush nel 2003 sui flussi migratori. Oggi in Honduras proverà a resistere alle pressioni di tutti i paesi dell'America latina per il rientro dell'isola nell'Organizzazione degli stati americani.


Più protagonista di così si muore. Al vertice delle Americhe di Trinidad a metà aprile, Obama fu la stella ma Cuba - la sua ammissione nel club dei 34 paesi americani da cui è la sola esclusa - fu il centro di ogni discorso. Oggi e domani a San Pedro Sula, in Honduras, all'assemblea dell'Osa, l'Organizzazione degli stati americani, praticamente l'unico punto all'ordine del giorno è la riammissione di Cuba - che su diktat Usa fu espulsa dal «ministero delle colonie» di Washington nel 1962 -, sostenuta da tutti i paesi eccetto uno (e senza più neanche molta convinzione): gli Stati uniti.
Ma il massimo del protagonismo Cuba lo tocca nel momento in cui nel vertice honduregno ci si scannerà per decidere il suo immediato e incondizionato reintegro in un organismo che l'Avana ha definito «un cadavere politico» e nel quale - l'ha detto prima Fidel, poi Raúl e ancora sabato scorso il Granma - pare non voglia assolutamente saperne di tornare.
Un paradosso solo apparente che mostra, ancora una volta, la centralità continentale di Cuba nonostante in tanti si sforzino di presentarla come un «anacronistico residuato» di un'altra fase storica. Anacronistici in realtà, più che mai in questa fase, appaiono gli Stati uniti del modernissimo Obama e del suo assai più antiquato segretario di stato Hillary Clinton - la moglie del pessimo Bill - con il loro blocco economico e la pretesa di porre sempre pre-condizioni alla sua revoca e alla riammissione dell'isola ribelle nel contesto americano.
La partita fra il regime cubano e la nuova amministrazione Usa è apertissima e da domenica è entrata in una nuova fase. Domenica infatti Hillary Clinton, a San Salvador per l'insediamento di Mauricio Funes, il primo presidente salvadoregno di sinistra (è del Fronte Farabundo Martí), ha annunciato che il governo cubano ha risposto ufficialmente sì alla proposta Obama per la ripresa dei negoziati sull'emigrazione (e del servizio postale diretto). Aggiungendoci anche la disponibilità a discutere sulla lotta al narco-traffico e al terrorismo (nonostante alla fine di aprile proprio il dipartimento di stato di Hillary abbia messo di nuovo Cuba, ridicolmente, nella lista nera dei «paesi terroristi»). «Un passo positivo», di cui Clinton si è detta «molto soddisfatta», nella direzione del «new beginning» proposto da Obama a Cuba. Gli accordi per regolare il flusso migratorio verso gli Usa - mai onorati: prevedevano la concessione di 20 mila visti d'entrata l'anno - furono firmati dall'assatanato Ronald Reagan nel lontano 1984 e poi nel '95 dal piacione Bill Clinton ma nel 2003, in piena «guerra al terrorismo», furono sospesi unilateralmente da George W. Bush.
La Clinton ha detto anche di «aspettare ansiosamente il giorno in cui Cuba, se lo vuole, potrà unirsi di nuovo all'Osa». Ma per farlo dovrà aderire alla «Carta democratica inter-americana» del 2001 - condicio sine qua non anche per essere ammessa ai vertici delle Americhe -, quindi «obbedire ai principi della democrazia e dei diritti umani». Di nuovo con la pretesa di imporre condizioni previe.
Come se gli Usa e l'Osa fossero in grado di imporre condizioni sul tasso di democrazia dei paesi membri. Ha avuto gioco facile il Granma di sabato a scrivere che l'Osa è quello stesso organismo che «stette a guardare i colpi di stato sponsorizzati dagli Stati uniti in Uruguay, Argentina e Cile», lo stesso che «stette zitto davanti alla morte di Salvador Allende, davanti all'assassinio e alla scomparsa forzata di decine di migliaia di sudamericani durante la tenebrosa Operazione Condor». Cuba, terminava il Granma, non vuole rimettere piede in quel «cadavere politico» che resta tale anche se, per la prima volta, alla sua testa c'è un socialista, il cileno Josè Miguel Insulza, e che propone si «smantellare» per fondare al suo posto «una nuova organizzazione di paesi latino-americani e caraibici, senza gli Stati uniti» (a rigore c'è già, l'Unasur).
Nel '62 Cuba fu espulsa e isolata da una succube America latina - unica onorevole eccezione, il Messico - sulla base di una clausola che dichiarava «il marxismo-leninismo incompatibile con il sistema inter-americano». Hillary si presenta in Honduras con una proposta di risoluzione dell'ultimo minuto che affidi all'Osa lo studio del problema e la risposta entro un anno. Ma è un tentativo estremo - fatto anche per assecondare la delegazione della «Resistence Assembly», l'ombrello di 54 diversi gruppi anti-castristi «di dentro e di fuori» l'isola, arrivata a San Pedro Sula - per stoppare altre due bozze di risoluzione che chiedono la riammissione «immediata e senza condizioni» di Cuba.
L'eterna partita Cuba-Usa in ogni caso non si giocherà all'Osa. Dopo i «baby-passi» di Obama in aprile - la liberalizzazione dei viaggi e delle rimesse dei cubano-americani -, ecco la risposta dell'Avana sull'emigrazione, un punto scottante. Tutto lascia credere che la partita continuerà e si allargherà a tutto campo.

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