martedì 2 giugno 2009

Che fare?

Sotto il peso delle sue bugie lo scorso autunno è crollato anche il muro del capitalismo, e non poteva che finire così. Ma, mentre in America latina con l’ affermarsi del “socialismo del XXI secolo” nella maggior parte dei Paesi cresce la febbre di riscatto, in Occidente i governi stanno tentando di rianimare il libero mercato (privato) pompando ingenti somme di denaro (pubblico) lasciando soli a se stessi milioni di cittadini che, grazie al fallimento di questa idea di società, hanno perso o perderanno ogni mezzo di sostentamento. Gran parte delle persone che si interessano intelligentemente di tale problema, ed in particolare la maggior parte degli intellettuali, nonostante facciano una analisi della situazione molto corretta predispongono soluzioni che sono definite all'interno del sistema esistente, mettendo a loro presupposto quegli stessi caratteri che sono alla base dell'attuale modello e che ostacolano qualunque soluzione migliorativa (in particolare il mercato e i profitti che esso produce viene considerato come situazione di partenza da regolare e non da eliminare nelle attuali forme).

Nell’ attesa di grandi strategie politiche dei movimenti di opposizione (sempre più divisi) si rischia, secondo noi, di perdere l’occasione storica di un’alternativa che la crisi del sistema capitalista ci offre. E’ necessario quindi recuperare da subito il senso dell'agire individuale ovvero la capacità di incidere anche individualmente adottando uno stile di vita conflittuale con la società dei consumi.

-Recuperare il senso dell'agire individuale
Questo sistema avendo destrutturato gli organismi politici e amministrativi cerca un'interlocuzione da persona a persona. La cerca perché ritiene, rispondendo alle medesime logiche che hanno tarpato le sinistre, che l'individuo disorganizzato sia più facile da gabbare che l'individuo organizzato. Ma se l'individuo non organizzato è più cosciente di quanto la sua presenza all'interno di una organizzazione fatta di deleghe possa richiedere e prevedere, il confronto diviene a tutto svantaggio del sistema in quanto, in questa condizione, dovrebbe contrastare non uno ma infiniti leader.

-Tra integralismo e compromesso
Il sistema non funziona ed è facile prendere le distanze da esso, ma se la distanza è troppo profonda si rischia di perdere i contatti con il resto degli individui e di scegliere una pratica persecutoria nei confronti di coloro i quali sono vittime (seppur spesso coscienti) del sistema. E' dunque necessario trovare un fare politico che non avvii forme di integralismo ma che con fermezza manifesti la possibilità di soluzioni diverse senza cedere ai compromessi maggiormente presenti sia nella pratica della relazione che in quella dell'autoreferenzazione.

-La trappola della violenza
Comprendere la situazione, individuare le responsabilità, avere consapevolezza di come la sofferenza dell'intera umanità dipenda dall'interesse di pochi, e di come questi incidano anche a livello minimale sulle quotidianeità e indirizzino fortemente i destini anche personali con strafottenza. E' una consapevolezza irritante, la reazione più immediata è il desiderio di fare pareggiare almeno una volta i conti. Ma i conti non si pareggiano facendo azioni gratuite, o inutilmente plateali e chi non riesce a controllare la propria rabbia deve rimanere a casa. Il perseguimento di una violenza liberatoria e quindi non motivata, non condivisa assemblearmente e unanimemente, non strategica, non specifica e non imprescindibile non solo è inutile ma nocivo. E' nocivo perché militarizza il movimento, perché concentra l'attenzione sull'azione violenta riducendo il significato della conflittualità, perché si presta a favorire un eroismo di piazza e una cultura dell'atto saltuario, raccontabile, letterario (gli eroi giovani). E' nocivo perché spesso è desiderato, voluto, supportato, difeso, promosso dai governi che già in passato, ed in modo particolare in Italia, hanno sperimentato il vantaggio ricavabile dallo spostare l'argomento del contendere sul confronto violento dello scontro.
L'atto violento, se svolto all'interno delle manifestazioni, è un atto autoritario in quanto imposto da una minoranza, non discusso comunemente, ma difeso dalle presenza del corteo; è insulso in quanto gli obiettivi non sono rappresentativi ma solo evocativi; è pericoloso perché attuabile, in quanto svolto in incognito, da chiunque anche per interessi diversi da quelli palesati.
L'azione più forte non è la più violenta.

-La necessità di intelligenza
E' necessario percorrere cammini che non siano prevedibili. Evitare il confronto in terreni scontatamente perdenti ed evitare di cadere in trappole tese. E' necessario assumere atteggiamenti lucidi che promuovano azioni che effettivamente infastidiscano e limitino la prevaricazione di questo modello, azioni che siano comprese e partecipate dalle comunità e dagli individui. Quando Gandhi, sebbene nell'ambito limitato di un movimento per l'indipendenza, individuò nell'acquisizione dei vestiti dagli inglesi uno dei meccanismi per consolidare il potere coloniale, non invitò a distruggere i depositi delle compagnie ma invitò a farsi, come tradizione indiana, i vestiti da soli e quest'azione, sentita e condivisa, iniziò a scardinare il potere costituito. E il colonialismo inglese sugli indiani e nel mondo non era sicuramente meno pesante e invasivo del potere della globalizzazione.

-Azioni coerenti
La limitazione dell'efficacia dei movimenti è connessa anche alla mancanza di coerenza che i suoi appartenenti mostrano. Automobilisti irriducibili, tifosi, puttanieri, accumulatori di denaro, gratuitamente violenti, dogmatici, non possono ipotizzare di scardinare un sistema che si fonda proprio su questo tipo di atteggiamenti. Essere conflittuali comporta anche avere una modalità di vita incoerente con i dogmi della società criticata; comporta avere una omogeneità tra mezzi e fini.

-Ridurre, rallentare, riflettere
Una azione imprescindibile è ridurre i consumi ed in questo gli abitanti del mondo occidentale hanno una grande possibilità di essere attivi. Ridurre gli acquisti riduce la richiesta di merci e l'importanza del mercato, riduce lo spreco di energia; rallentare i tempi delle azioni e degli spostamenti, visto che più velocemente ci si muove e più si consuma: la trappola del tempo è strumento di mercato; riflettere sulle cose che si fanno, su ogni gesto, sul come e il perché si compie. Nell'acquisto operare una distinzione critica tra le merci, boicottare i prodotti non corretti (eticamente, socialmente, ambientalmente), indirizzare il mercato. Acquisire prodotti da soggetti conosciuti, piccoli produttori, e non dalle multinazionali.
Individuare e sostenere delle realtà che per la loro esistenza sono dei limitatori del sistema
Vi è una diffusa serie di azioni che, anche solo per essere attuate, limitano la diffusione del modello. Ad esempio l'autoproduzione dei cibi o la riparazione dei prodotti. Tali azioni possono essere svolte dalle persone più diverse, ma sono intrinsecamente conflittuali, anche senza diretta consapevolezza, nei confronti dei princìpi che regolano questo modello.
Sostenerli è fondamentale.

-Contribuire alla ricomposizione delle comunità
Stare nei luoghi, relazionarsi con essi e con le comunità, utilizzare le capacità tecniche di esse e mettere a disposizione le proprie. Contribuire a renderle autonome o maggiormente indipendenti.

-Confrontarsi, uscire dalle case, parlare, sentire, inventare
Parlare delle cose semplicemente, con chiarezza, stimolando proprio quelle persone che sembrano avere già preso una posizione allineata.
Contribuire a togliere i pregiudizi e le abitudini indotte. Ritornare ad essere soggetti attivi, propositivi, disponibili. La propria presenza, il proprio essere è un elemento politico fondamentale che trova modo di sostenere ipotesi alternative al modello dato se relazionato creativamente e positivamente con altri.

Nessun commento: