di Michele Paris
In parallelo al grave deterioramento delle condizioni
psico-fisiche di Julian Assange, martedì la magistratura svedese ha archiviato
per l’ennesima volta l’indagine preliminare a carico del fondatore di
WikiLeaks, basata su accuse ultra-screditate di violenza sessuale risalenti a
quasi un decennio fa. La decisione della procura di Stoccolma era inevitabile,
vista la totale inconsistenza del caso, ma dimostra ancora una volta come il
procedimento fosse stato creato ad arte per incastrare Assange. La sua estradizione
negli Stati Uniti resta invece ancora molto probabile, come ha testimoniato
nuovamente l’udienza preliminare di questa settimana in un tribunale di Londra
in previsione del dibattimento vero e proprio fissato per il prossimo mese di
febbraio.
La vicenda legale di Assange in Svezia, mai sfociata in
un’incriminazione formale, aveva avuto fin dall’inizio due chiarissimi
obiettivi, per raggiungere i quali furono manipolati in modo clamoroso sia i
fatti alla base delle accuse sia le testimonianze delle due presunte vittime.
Il primo era la costruzione di un vero e proprio complotto pseudo-legale
necessario a favorire l’estradizione di Assange negli USA. Il secondo per
infangare il nome del giornalista australiano, facendolo passare per uno
“stupratore” in fuga dalla giustizia, e creare un clima tale da indebolire le
resistenze nell’opinione pubblica alla sua persecuzione.
Entrambe le accusatrici o presunte tali, è bene ricordare,
intendevano chiedere alle autorità di polizia svedesi soltanto un test HIV per
Assange, con il quale avevano avuto rapporti consensuali. Furono la polizia
stessa e la magistratura a insistere per una denuncia e in seguito a emettere
un ordine di arresto per il giornalista australiano. Inizialmente, anzi, il
caso era stato chiuso da un magistrato proprio perché senza fondamento. Assange
aveva allora lasciato la Svezia per recarsi a Londra. Solo in seguito, un altro
procuratore avrebbe deciso di riaprire le indagini, verosimilmente dietro
pressioni di ambienti politici filo-americani, chiedendo un “mandato di arresto
europeo” per Assange.
Per anni, le autorità svedesi avevano insistito sulla
possibilità di sentire quest’ultimo soltanto di persona e nel loro paese,
nonostante i numerosi precedenti di interrogatori condotti in Gran Bretagna o
in collegamento video. Assange aveva contestato nei tribunali britannici la
richiesta di estradizione, ben sapendo che la Svezia aveva intenzione di
mettere le mani su di lui per poi consegnarlo a Washington. Esaurite le strade
legali per la sua difesa, il fondatore di WikiLeaks decise nel giugno del 2012
di chiedere asilo politico presso l’ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove
sarebbe rimasto fino all’arresto illegale nell’aprile di quest’anno,
orchestrato dai governi della Gran Bretagna e del paese sudamericano sotto la
guida del nuovo presidente, Lenin Moreno.
Durante la permanenza nella rappresentanza diplomatica
ecuadoriana, Assange è stato sottoposto a una lunga serie di violazioni dei
suoi diritti, tra cui la sorveglianza continua di tutte le sue attività da
parte di una compagnia spagnola al servizio dell’intelligence americana. Come
hanno rivelato alcune e-mail pubblicate qualche tempo fa dalla stampa, inoltre,
i magistrati britannici avevano insistito con quelli svedesi per prolungare il
loro procedimento legale nei confronti di Assange. Il caso sarebbe stato poi
archiviato, per la seconda volta, nel maggio del 2017, prima di essere riaperto
in seguito al suo definitivo arresto nel mese di aprile.
La nuova archiviazione di questa settimana farà ben poco da
un punto di vista legale per aiutare la posizione di Julian Assange. Anche se
sfociata nel nulla, l’indagine svedese ha comunque svolto il ruolo per il quale
era stata avviata. Nella sua durissima comunicazione al governo di Stoccolma,
il relatore speciale sulle torture dell’ONU, Nils Melzer, aveva definito il
caso svedese come “il principale fattore che ha innescato, consentito e
incoraggiato la successiva campagna persecutoria contro Assange in vari paesi e
il cui effetto cumulativo può essere definito soltanto come tortura
psicologica”.
Questa campagna ha dato anche l’opportunità a buona parte
della galassia “liberal” e finto-progressista occidentale di manifestare il
proprio servilismo di fronte al governo degli Stati Uniti attraverso una serie
di attacchi incrociati contro Assange per le accuse infondate di stupro, sulla
base di premesse ideologiche legate alle politiche identitarie oggi tanto care
alla “sinistra” ufficiale. Particolarmente vergognoso è stato il trattamento
riservato in questi anni ad Assange da testate come il New York Times e il
britannico Guardian, scelti in passato da WikiLeaks per la pubblicazione di
documenti riservati del governo americano.
La notizia dell’archiviazione dell’indagine in Svezia deve
avere creato qualche malumore nel governo di Londra e nella magistratura
britannica. Il caso aperto a Stoccolma aveva infatti lasciata aperta l’opzione
di una possibile estradizione verso la Svezia piuttosto che verso gli USA, in
modo da permettere agli ambienti implicati nella persecuzione di Assange di
consegnarlo a un paese il cui rispetto per i diritti democratici è
presumibilmente indiscutibile e dove lo attendeva un procedimento tutto sommato
di lieve entità.
In questo modo, la classe dirigente britannica avrebbe
potuto in sostanza lavarsi le mani circa la sorte di Assange ed evitare almeno
in parte le reazioni dell’opinione pubblica e dei sostenitori del giornalista
australiano in caso di estradizione negli Stati Uniti. Dopo che la Svezia ha
però chiuso l’indagine preliminare, sarà la magistratura e il governo della
Gran Bretagna ad avere la piena responsabilità dell’eventuale consegna di
Assange alla vendetta di Washington.
Per avere svolto il proprio lavoro di giornalista, rivelando
i crimini dell’imperialismo americano e non solo, Assange rischia di dovere
affrontare negli Stati Uniti ben 18 capi d’accusa relativi, tra l’altro,
all’hackeraggio di computer governativi e ad attività di spionaggio, rischiando
complessivamente fino a 175 anni di carcere. Per evitare lo stop
all’estradizione dalla Gran Bretagna, le autorità americane non hanno
presentato accuse che potrebbero prevedere la pena di morte. Tuttavia, una
volta che Assange sarà nelle mani della giustizia USA, è interamente possibile
che simili accuse si aggiungano a quelle già formulate.
La situazione di Julian Assange appare comunque sempre più
delicata. Il già ricordato funzionario delle Nazioni Unite ha in più di
un’occasione mostrato e denunciato l’illegalità del trattamento a lui riservato
da Gran Bretagna e Stati Uniti, così come dall’Ecuador, che lo ha consegnato
alle autorità di Londra rinnegando l’asilo concesso nel 2012, e dall’Australia,
paese di origine di Assange di fatto sempre rifiutatosi di difendere i suoi
diritti.
Oltre al pericolo di un’estradizione negli Stati Uniti, è la
stessa vita del numero uno di WikiLeaks a essere oggi seriamente minacciata. La
salute di Assange è in continuo deterioramento e, ciononostante, non sembra
essere in vista nessun allentamento delle condizioni di detenzione nel carcere
di massima sicurezza di Belmarsh, dove oltretutto il suo diritto alla difesa
viene severamente ristretto.
Anche alla luce dell’ostilità dei giudici che stanno
presiedendo alla sua causa, alcuni con legami famigliari documentati agli
ambienti della “sicurezza nazionale” britannica e americana, è del tutto
legittimo pensare che l’opzione preferita dalle autorità britanniche sarebbe
precisamente la morte in carcere di Assange. Quello che ammonterebbe a tutti
gli effetti a un assassinio di stato di colui che a oggi è forse il più
importante detenuto politico del pianeta, risolverebbe molti problemi per
Londra, evitando le inevitabili polemiche e proteste che finirà per scatenare
l’estradizione verso Washington.
La vicenda Assange, ad ogni modo, ha un’importanza enorme,
malgrado il sostanziale disinteresse dei media ufficiali. Al di là delle
colossali violazioni dei suoi diritti e del comportamento criminale di almeno
cinque governi, una sua condanna avrebbe implicazioni inquietanti per il
principio stesso della libertà di stampa. La persecuzione nei confronti di
Assange e di WikiLeaks ha infatti come obiettivo ultimo il tentativo di
impedire a qualsiasi testata giornalistica la legittima pubblicazione di
notizie e materiale riservato, soprattutto se relativo ai crimini e alle
operazioni anti-democratiche del governo degli Stati Uniti.
dal sito www.altrenotizie.org
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