Compie sessant’anni la Rivoluzione Cubana. Sessant’anni
orsono, guerriglieri chiamati Barbudos divennero liberatori. Un’isola che era
diventata un bordello a cielo aperto, con le fiches che valevano più degli
esseri umani, ascoltò la deliziosa sinfonia del passo guerrigliero, che
superava con la velocità di cui a volte si picca la storia, un’epoca di
ingiustizia, violenza, sfruttamento ed ignominia.
Cuba era un’isola cubana diventata proprietà statunitense,
gestita da Fulgencio Batista, un sergentino ignorante quanto sanguinolento,
messo sul trono dai feudatari di Miami. Ma Fidel Castro, avvocato cubano
dall’oratoria brillante e dalla visione
profonda, decise di fare della libertà di Cuba la sua unica causa e condannò lo
sbirro alla sconfitta eterna.
Sessant’anni fa, con l’arrivo delle truppe guerrigliere,
L’Avana divenne una città cubana. I grattacieli delle banche si apprestarono a
divenire ospedali e le strade dove si respirava terrore divennero residenza dei
giusti. Gli architetti della rinascita vestivano verde olivo, portavano barbe
incolte e sfrontatezza, sprezzo per il pericolo e acume tattico.
Gli occhi del mondo dovettero posarsi sulla bellezza
autentica, quella che disegna i volti degli ultimi quando diventano i primi.
Persino il vento decise di cambiare direzione e dalla Sierra Maestra iniziò a
soffiare forte verso Miami, condannata a divenire immondezzaio della storia,
incubatrice degli avanzi di ogni tirannia, fogna contenente ogni terrore.
Mafiosi, ladri e biscazzieri dovettero fuggire in fretta
dall’Avana, divenendo così i primi balseros. Le strade fecero luce, i sorrisi
illuminarono l’incedere liberatore. Persino negli anfratti del porto l’odore
che si respirava era diverso. La capitale, tornata cubana, espettorava, i suoi
polmoni si aprivano all’aria nuova proveniente dalla Sierra Maestra.
Quel 1° Gennaio del 1959, Cuba divenne qualcosa più grande
di se stessa: smise di essere solo un’isola e divenne sinonimo di impossibile,
parafrasi di liberazione, auspicio e speranza di tutte le vittime
dell’ingiustizia e dello sfruttamento ovunque sparse. Il Dio Denaro venne messo
agli ordini degli uomini e delle donne divenuti Dei della ribellione, il futuro
smise di essere termine proibito nelle declinazioni delle speranze. I fucili si
girarono, i sadici in uniforme fuggirono o si arresero; i giusti con barbe
lunghe e valori alti s’incaricarono di mettere le cose al loro posto: gli ultimi
diventarono primi, perché la categoria degli ultimi veniva abolita.
A Cuba in sessanta anni sono avvenuti mutamenti dell’ordine
e del disordine. Sono state ribaltate le priorità, è stato sovvertito l’ordine
logico, rivoluzionati persino lo spazio e il tempo. Le persone hanno ragione
delle cose e il ragionare sconfigge il pensiero debole. Un nuovo vocabolario si
è imposto e l’Io si pronuncia Noi. La gente è diventata popolo e il popolo è
divenuto nazione.
Da sessanta anni a Cuba il tempo litiga con le lancette
degli orologi. Lui preferisce farsi scandire dalla sovranità riconquistata e
difesa. La nozione delle ore è stata superata da quella del cambiamento,
nessuna lancetta può stabilire il quando, ma solo il dove e il come. L’unica
ora è quella legale.
Da sessant’anni immersa in un calice di passioni, dove non
trova spazio il veleno del nemico, Cuba si picca di essere il primo territorio
libero d’America. E’ così, lo è stato e continua ad esserlo, perché quell’isola
a forma di coccodrillo, esportatrice di valori e incubatrice di sogni, resiste,
cambia, vince e sferra un ghigno di cubania di fronte ai poderosi.
Da quasi sessanta
anni subisce il più criminale e lungo blocco economico e commerciale della
storia, al quale ha risposto con i migliori risultati sociali del continente.
Ha sopportato il terrorismo ed è divenuta bastione inespugnabile, luogo sicuro
per chiunque. Ha versato sangue in Africa e in America Latina, liberando popoli
e paesi e ancora non conosce l’onta della sconfitta. Produttrice di emozioni e
scontri ideologici, è stata odiata e osteggiata, temuta, rispettata, tradita e
amata; nulla della sua storia è rimasto sottotraccia, immunizzata da banalità e
indifferenza.
Sessanta anni sono un tempo di ragione e pacatezza. Non
chiudono l’ardore ma misurano la ragione. Non s’arrampicano sui fasti,
preparano il da farsi. In alcuni casi sono fase di ricordi del passato e timori
per il futuro. Arrivata alla sua piena maturità, Cuba non è il paradiso
terrestre che qualcuno immagina, meno che mai l’inferno che l’impero delle
menzogne racconta.
Cuba è semplicemente il luogo meno diseguale della terra.
Quello nel quale l’uguaglianza nei diritti è sancita dalla legge e rispettata
ogni giorno. Approdo sicuro per ogni ribelle, esempio e scuola di ogni
insurrezione, università vivente di sovranità e indipendenza, Cuba esporta
medici e vaccini, saggezza e sacrifici. E’ sinonimo di resistenza, è luogo dove
tutto è in movimento. Un movimento indirizzato verso il perfezionamento di
quanto costruito, verso l’ottimizzazione di quanto realizzato, perché le nuove
sfide hanno bisogno di nuove sfrontatezze.
Sessant’anni dopo la sua vittoria, Cuba si regala la sua
nuova Costituzione. Un manifesto di principi e di valori scritto da milioni di
cubani che scandiscono nella Carta Magna della loro nazione l’idea di un paese
diverso dagli altri, destinato dalla storia ad aprire cammini inesplorati.
Fidel, il suo Comandante in Capo, statista fra i più grandi,
capo di popolo tra i più amati, Presidente tra i più rispettati e avversario
tra i più temuti, pur se nullatenente in vita ha lasciato una eredità immensa:
Cuba è socialista e il socialismo è per sempre, perché rivoluzionare il mondo è
l’unico modo di salvarlo.
da www.altrenotizie.org
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