Di Fabrizio Casari
E’ miseramente fallita l’operazione “23 Febbraio”,
ovvero il tentativo di violare le frontiere venezuelane con tir e camion
contenenti “aiuti umanitari”. Di umanitario non c’era niente e gli aiuti erano
destinati all’opposizione di ultradestra: infatti i camion servivano a
trasportare in territorio venezuelano armi, munizioni e sabotatori, cioè
personaggi e materiali utili allo scatenamento della guerra civile sullo schema
già visto in diversi altri paesi, tra i più noti Ucraina e Siria.
Il format era quello classico, che aveva visto
la sua inaugurazione nella ex-Jugoslavia e si era ottimizzato in Romania,
quindi applicato con alterni successi in Medio Oriente e America Latina, dove
però ha avuto la sua disfatta più cocente proprio in Venezuela prima e in Nicaragua
successivamente.
Soprattutto, l’obiettivo di sabato scorso era
quello di violare le frontiere venezuelane come dimostrazione dello scollamento
del sistema, di una presunta incapacità del governo di mantenere il controllo
su Forze Armate e Guardia Nazionale, blandite e minacciate da Casa Bianca e
Guaidò. L’errore clamoroso è stato quello di credere alle menzogne della loro
stessa propaganda, che racconta di una emergenza umanitaria e di un governo
privo di consenso e tecnicamente non in grado di controllare il Paese.
Ma la tenuta sociale e territoriale del governo
è saldissima, il sostegno politico viene reiterato da milioni di venezuelani
che nelle città come alla frontiera difendono il progetto bolivariano e
l’integrità della patria. L’emergenza umanitaria non c’è, se si eccettuano le
continue rapine delle risorse venezuelane operate dai paesi-guida del
capitalismo che per loro prevedono la sacralità delle proprietà ma per i loro
avversari applicano invece il furto e il saccheggio sfacciato e continuato.
La giornata di sabato doveva essere accompagnata da un
concerto nella zona di frontiera tra Colombia e Venezuela. Si dovevano esibire
cantanti trasformati per l’occasione in ipotetiche star. Un concerto ridicolo
finanziato da un miliardario che, non per caso, ha disposto duecento metri di
spazio vigilato tra i ricchi e i poveri che vi assistevano. Uno spettacolo
francamente penoso e per colmo sponsorizzato dalla Colombia. Ovvero, un
narco-stato simbolo di ogni abominio in termini di violazione dei diritti
umani, che uccide a migliaia gli esponenti dell’opposizione, che è detentrice
del maggior numero di sfollati in un paese in pace e che ha generato la fuga di
6 milioni di colombiani in Venezuela.
Detto quindi della mobilitazione straordinaria
che ha reso ridicola l’adunanza golpista, due sono state le novità sostanziali
di sabato. La prima è stata la rottura delle relazioni politiche e diplomatiche
con la Colombia, decisa unilateralmente dal Venezuela. La seconda è che Juan
Guaidò, l’autoproclamato presidente del nulla, è scappato dall’ambasciata
colombiana a Caracas a bordo di un elicottero che lo ha portato nella zona
colombiana della frontiera.
L’idea era quella di farlo entrare trionfante in
Venezuela dopo lo sfondamento “umanitario” della frontiera ma, alla fine, si è
dovuto accontentare di una mesta riunione con il presidente colombiano Duque,
quello cileno Pinera e Luis Almagro, il funzionario USA al vertice degli OSA.
Le immagini di questa conventicola golpista riunita con espressione attonita
raccontano più di qualunque report la sconfitta patita.
Come è noto Guaidò non potrà rientrare in
Venezuela, dove lo attende l’arresto. C’è dunque adesso da stabilire cosa fare
con un personaggio da operetta che si è reso ridicolo di fronte al mondo.
Domani si riunirà con il Gruppo di Lima e valuterà opzioni diplomatiche
ridicole, come tutte le iniziative fin qui prese.
Infatti, pur concio di non contare nulla, in più
di 30 giorni ha dato ordini perentori, firmato lettere, scambiato telefonate e
preso impegni immaginari ed ora si trova nella poco invidiabile situazione di
inutile ingombro senza più nemmeno una residenza fissa. Perché lui è l’emblema
della sconfitta. Su di lui, addestrato da anni e finanziato a dovere, aveva
puntato la Casa Bianca, convinta che avrebbe prodotto una sollevazione
popolare. In realtà nemmeno la stessa opposizione gli ha dato credito e l’unica
cosa che si è sollevata è stata la polvere generata dalle pale dell’elicottero
che lo ha portato via dal Venezuela.
Fallita l’ennesima spallata al governo resta
ormai l’opzione militare, tutt'ora sul tavolo per quanto di difficile
realizzazione, che prevede l’intervento diretto di truppe colombiane e/o
brasiliane. In alternativa, la prosecuzione dello strangolamento economico e
commerciale. L’opzione militare è decisamente quella più pericolosa perché la
pace e la stabilità della regione verrebbero minate definitivamente.
Ma le controindicazioni non mancano. La Colombia
non ha le capacità militari sufficienti per vincere e il Brasile ha nei suoi
stessi militari il primo No che s’annuncia uno scoglio difficile da superare.
Bolsonaro non ha ancora finito di capire come ci si muove nel Planalto e
difficilmente può dichiarare guerra ad un paese storicamente amico. Dunque la
Colombia potrebbe anche iniziare il conflitto e recitare il ruolo che i turchi
ebbero in Siria, ma poi senza il coinvolgimento diretto degli USA, a
breve-medio termine il Venezuela avrebbe la meglio e le conseguenze sarebbero
imprevedibili per il sistema di potere misto di narcos e politica che governa
Bogotà. Dovrebbero quindi, da subito o poco dopo, entrare in gioco le truppe
statunitensi.
E qui nascono i problemi, perché i terroristi
riuniti nello studio ovale possono anche continuare a sognare una simile
ipotesi, ma il Pentagono ha perfettamente chiaro che portare soldati USA in
Venezuela sarebbe un disastro politico e militare per Washington. Il Congresso
ha già dato l’alt ad ogni opzione militare ed anche lo scenario internazionale
è sfavorevole all'ipotesi: Onu, OSA e Caricom sostengono Maduro, la UE ha
espresso il suo rifiuto ad un’azione militare e il Gruppo di Montevideo ha
ripreso i suoi lavori per una soluzione diplomatica della crisi.
Russia e Cina hanno ripetutamente ammonito
Washington dal provare ad attaccare il Venezuela e sono entrambe storie e
culture poco inclini a sparate propagandistiche. Si può discutere su quale
sarebbe il livello del loro sostegno al Venezuela, ma non che ci sarebbe e
nemmeno del peso notevole che avrebbe.
E' tutto meno che conclusa la vicenda, ma
intanto si può dire che non è andata come Washington pensava e voleva che
andasse. La Casa Bianca si lecca le ferite: nessuno ha fatto caso alle sue
minacce e alle sue offerte. Nessuno ha preso sul serio una amministrazione
composta da delinquenti internazionali di convinzioni nazistoidi e, dopo la
sconfitta in Siria, l’abbandono dell’Afghanistan e il fiasco in Nicaragua, il
fracasso in Venezuela rappresenta l’ennesima sconfitta di una presidenza
ridicola.
Quanto ai paesi europei che avevano dato ultimatum
e riconoscimenti illegittimi e precoci, nessuna sartoria internazionale sarà in
grado di rattoppare i buchi sulle ginocchia, così stupidamente genuflesse
davanti ad una amministrazione di criminali incapaci
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