da L'antidiplomatico - di Andrea Zhok
La studentessa liceale svedese Greta Thunberg è andata a
parlare con i potenti di tutto il mondo, è stata filmata, intervistata,
glorificata mediaticamente, le magliette sono già disponibili e sono certo che
a brevissimo partiranno libri e biopic.
Sembra che ci sia un accordo unanime, globale
sull'inderogabile necessità di risolvere il Grande Problema del pianeta: capi
di Stato e leader di importanti multinazionali plaudono a Greta e annuiscono
con sguardo compunto alle sue parole di severo ammonimento.
La pubblicità si è ritarata (per la millesima volta in
questi anni) su stilemi ecologisti.
Documentari si succedono a ritmo frenetico sulle reti
televisive: ovunque un profluvio di Salva-la-tartaruga-qua e
Salva-il-pinguino-là.
Sembra insomma di assistere ad una grande marcia
dell'umanità, tutta unita, tutta concorde nella ferma volontà di risolvere il
Problema.
Già. In effetti chi mai potrebbe essere in disaccordo
rispetto alla necessità di affrontare il Grande Problema, declinato nei termini
della "Salvezza del Pianeta"? Chi? I Klingon? I Rettiliani? Galactus
il Divoratore di Mondi?
Il vero problema, dietro al Grande Problema, è che da che
mondo è mondo i conflitti non sono mai avvenuti su cose come "il Bene deve
vincere", "la Sofferenza è brutta", "Salviamo
l'Umanità" (o "il Mondo", o "la Natura").
Sono assai fiducioso che Churchill, Stalin e Hitler
avrebbero concordato senza nessun problema su tutti questi obiettivi. Senza che
ciò gli impedisse di cercare in buona coscienza di estinguersi a vicenda.
Il problema dietro ad ogni presunto Grande Problema è che la
rappresentazione astratta del Bene è sempre pragmaticamente insignificante. Le
strade cominciano a divergere solo dopo, quando vedi quali interessi, di chi, e
in quali modi, il 'perseguimento del Bene' minaccia.
Fino a quando nessuno apre bocca intorno a chi dovrebbe
cominciare a dimagrire per ottenere quei risultati, l'accordo regna pacifico e
sovrano.
Questo è particolarmente vero nell'odierno sistema
liberal-liberista, dove si presume che per ogni problema, disgrazia o sciagura,
sarà il sistema stesso a fornire la soluzione, mettendo sul mercato un prodotto
acconcio - rilanciando i consumi e i profitti in una progressione infinita e
magnifica.
Così ogni problema posto, ogni 'crisi' è,
schumpeterianamente, un'occasione di innovazione, e di crescita ulteriore.
Peccato che tutti i problemi ecologici di cui parliamo sono
proprio prodotti costanti della dinamica schumpeteriana dell'innovazione
competitiva perenne, quell'innovazione che consente di superare gli stalli di
crescita (la caduta tendenziale del saggio di profitto) ingegnandosi a produrre
di più e meglio. Quell'innovazione anarchica e immensamente pluralista, forzata
dalla competizione, e glorificata come il motore del progresso e della
crescita, ecco, è proprio quella il Problema.
Se facciamo coincidere il problema ecologico con un suo
singolo aspetto (es: riscaldamento globale), ci nascondiamo (magari in buona
fede) l'essenza della questione, che non ha a che fare con la capacità di
rispondere di volta in volta ad uno specifico problema noto, ma col fatto che
mentre ne soppesiamo pian pianino uno, ne stiamo producendo simultaneamente
altri cento, ancora ignoti.
Finché vige una spinta globale alla massima competizione
produttiva il processo di demolizione del pianeta (più precisamente, della
nostra capacità di viverci sopra) continuerà imperterrito, proprio come
continua oggi mentre festeggiamo Greta a reti unificate.
Finché QUESTO problema non viene affrontato di petto, fino
ad allora stiamo semplicemente chiacchierando, giocando, facendo infotainment.
E tutto questo una paffuta sedicenne svedese è perfettamente
legittimata a non saperlo e non capirlo.
Ma tutto quel bestiario di autorità ciniche e
giornalisti patinati che le dà corda a costo zero, quelli non hanno
davvero nessuna scusa.
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