sabato 20 aprile 2019

Greta e IL PROBLEMA.


 da L'antidiplomatico - di Andrea Zhok
La studentessa liceale svedese Greta Thunberg è andata a parlare con i potenti di tutto il mondo, è stata filmata, intervistata, glorificata mediaticamente, le magliette sono già disponibili e sono certo che a brevissimo partiranno libri e biopic.
Sembra che ci sia un accordo unanime, globale sull'inderogabile necessità di risolvere il Grande Problema del pianeta: capi di Stato e leader di importanti multinazionali plaudono a Greta e annuiscono con sguardo compunto alle sue parole di severo ammonimento.
La pubblicità si è ritarata (per la millesima volta in questi anni) su stilemi ecologisti.
Documentari si succedono a ritmo frenetico sulle reti televisive: ovunque un profluvio di Salva-la-tartaruga-qua e Salva-il-pinguino-là.
Sembra insomma di assistere ad una grande marcia dell'umanità, tutta unita, tutta concorde nella ferma volontà di risolvere il Problema.
Già. In effetti chi mai potrebbe essere in disaccordo rispetto alla necessità di affrontare il Grande Problema, declinato nei termini della "Salvezza del Pianeta"? Chi? I Klingon? I Rettiliani? Galactus il Divoratore di Mondi?
Il vero problema, dietro al Grande Problema, è che da che mondo è mondo i conflitti non sono mai avvenuti su cose come "il Bene deve vincere", "la Sofferenza è brutta", "Salviamo l'Umanità" (o "il Mondo", o "la Natura").
Sono assai fiducioso che Churchill, Stalin e Hitler avrebbero concordato senza nessun problema su tutti questi obiettivi. Senza che ciò gli impedisse di cercare in buona coscienza di estinguersi a vicenda.
Il problema dietro ad ogni presunto Grande Problema è che la rappresentazione astratta del Bene è sempre pragmaticamente insignificante. Le strade cominciano a divergere solo dopo, quando vedi quali interessi, di chi, e in quali modi, il 'perseguimento del Bene' minaccia.
Fino a quando nessuno apre bocca intorno a chi dovrebbe cominciare a dimagrire per ottenere quei risultati, l'accordo regna pacifico e sovrano.
Questo è particolarmente vero nell'odierno sistema liberal-liberista, dove si presume che per ogni problema, disgrazia o sciagura, sarà il sistema stesso a fornire la soluzione, mettendo sul mercato un prodotto acconcio - rilanciando i consumi e i profitti in una progressione infinita e magnifica.
Così ogni problema posto, ogni 'crisi' è, schumpeterianamente, un'occasione di innovazione, e di crescita ulteriore.
Peccato che tutti i problemi ecologici di cui parliamo sono proprio prodotti costanti della dinamica schumpeteriana dell'innovazione competitiva perenne, quell'innovazione che consente di superare gli stalli di crescita (la caduta tendenziale del saggio di profitto) ingegnandosi a produrre di più e meglio. Quell'innovazione anarchica e immensamente pluralista, forzata dalla competizione, e glorificata come il motore del progresso e della crescita, ecco, è proprio quella il Problema.
Se facciamo coincidere il problema ecologico con un suo singolo aspetto (es: riscaldamento globale), ci nascondiamo (magari in buona fede) l'essenza della questione, che non ha a che fare con la capacità di rispondere di volta in volta ad uno specifico problema noto, ma col fatto che mentre ne soppesiamo pian pianino uno, ne stiamo producendo simultaneamente altri cento, ancora ignoti.
Finché vige una spinta globale alla massima competizione produttiva il processo di demolizione del pianeta (più precisamente, della nostra capacità di viverci sopra) continuerà imperterrito, proprio come continua oggi mentre festeggiamo Greta a reti unificate.
Finché QUESTO problema non viene affrontato di petto, fino ad allora stiamo semplicemente chiacchierando, giocando, facendo infotainment.
E tutto questo una paffuta sedicenne svedese è perfettamente legittimata a non saperlo e non capirlo.
Ma tutto quel bestiario di autorità ciniche e giornalisti patinati che le dà corda a costo zero, quelli non hanno davvero nessuna scusa.
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sabato 13 aprile 2019

LO VOGLIONO ISOLARE PERCHE’ SERVA DA MONITO - di Tariq Ali.



 – da il Manifesto del 12/04/19.
Tante volte sono andato a incontrare Julian Assange all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, soprattutto quando il presidente era Rafael Correa e l’ambasciata sembrava uno spazio liberato.
L’ho incontrato nuovamente poche settimane fa. Lenin Moreno, il successore di Correa, aveva capitolato a tutti i livelli, davanti all’impero statunitense.
L’ambasciata era diventata un carcere, la salute di Julian si era deteriorata. Non aveva dubbi sul fatto che Moreno avrebbe risposto positivamente alla richiesta di espellerlo dall’ambasciata. La richiesta di estradizione da parte di Washington non era più un segreto.
E ieri l’ambascita lo ha consegnato alla polizia britannica. Se vivessimo in un mondo dove le leggi sono rispettate, Assange sarebbe processato per violazione delle norme sulla cauzione (un reato non grave), multato o tenuto in carcere per poche settimane e poi rilasciato per permettergli di far ritorno nella sua Australia. Ma sia il Regno unito che l’Australia sono satrapi imperiali, acquiescenti alle richieste degli Stati uniti. Lo Stato segreto (non così segreto) in entrambi i paesi lavora in stretto contatto con i padroni statunitensi, o meglio ai loro ordini.
Perché lo vogliono così tanto? Perché serva da esempio. Vogliono imprigionarlo e isolarlo come monito, così da evitare che altri seguano il cammino di WikiLeaks. Chelsea Manning è stata nuovamente arrestata perché ha rifiutato di testimoniare contro di lui davanti al Grand Jury. Dal momento che i servizi segreti russi e cinesi sono piuttosto al corrente delle mosse degli Usa nella maggior parte del mondo, la minaccia posta da WikiLeaks consisteva nel fare arrivare le informazioni a ogni cittadino in possesso di un computer, in qualunque parte del mondo.
LA POLITICA ESTERA degli Stati uniti e dell’Unione europea e le loro guerre post-11 settembre si sono fondate su menzogne, promosse dalle reti televisive e dai media globali e spesso credute dalla maggioranza dei cittadini nordamericani ed europei. Le informazioni che smascherano queste bugie smontano le scuse – i diritti umani, la democrazia, la libertà… – avanzate per giustificare le guerre. WikiLeaks ha esposto tutto questo, pubblicando documenti classificati in grado di illuminare a giorno le motivazioni reali.
È UN RECORD INCREDIBILE. Allo stato attuale, WikiLeaks ha pubblicato tre milioni di documenti diplomatici e altre registrazioni del Dipartimento di Stato, per un totale di oltre due miliardi di parole. Un corpus incredibile e insuperabile che se fosse stampato arriverebbe a migliaia di volumi, qualcosa di completamente nuovo nel mondo. Ecco dove Internet diventa una forza sovversiva, in grado di sfidare le reti di propaganda dell’ordine esistente. Assange e i suoi colleghi hanno dichiarato apertamente che i loro bersagli principali erano l’impero statunitense e le sue operazioni globali.
La risposta delle istituzioni Usa è stata isterica e comica. La Libreria del Congresso ha bloccato l’accesso Internet a WikiLeaks. Gli Archivi nazionali statunitensi hanno bloccato anche l’accesso al proprio database riguardo alla parola «WikiLeaks». Il tabù è diventato assurdo, come un cane che abbaia insensatamente a qualunque cosa, anche alla propria coda.
COME HA DETTO Julian Assange: «Nel marzo 2012, il Pentagono ha addirittura creato un filtro automatico per bloccare i messaggi di posta elettronica, compresi quelli destinati al Pentagono, che contenessero la parola WikiLeaks». E così, i procuratori del Pentagono che accumulavano le prove contro l’analista di intelligence statunitense Manning, accusata di essere la fonte di WikiLeaks, non riuscivano a ricevere importanti email da parte del giudice o della difesa. Il governo britannico ripete che rispetterà le leggi. Vedremo. Il Dipartimento della giustizia statunitense ha dichiarato che negli Usa Assange potrebbe essere condannato a cinque anni di carcere. Diane Abbot, membro influente del governo ombra di Jeremy Corbyn, ieri ha detto in Parlamento: «Vogliamo sottolineare che la ragione per la quale parliamo di Julian Assange questo pomeriggio – siccome l’unica imputazione che potrebbe essergli mossa in questo paese riguarda la violazione dei termini della cauzione – ha interamente a che vedere con le attività di denuncia di Julian Assange e di WikiLeaks.
Questo lavoro ha smascherato guerre illegali, omicidi di massa, uccisioni di civili e casi di corruzione su grande scala, e ha messo Assange nel mirino dell’amministrazione statunitense.» Abbot ha aggiunto: «Julian Assange non viene perseguito per proteggere la sicurezza nazionale degli Stati uniti, ma perché ha esposto i crimini delle amministrazioni statunitensi e delle relative forze armate»
I PROSSIMI GIORNI e settimane ci diranno. Intanto, WikiLeaks e il suo fondatore meritano la solidarietà di tutti coloro i quali ritengono che i cittadini del mondo non debbano essere trattati come bambini e che la maggior parte dei politici nell’orbita statunitense ed europea non siano degni di fiducia e cerchino in tutti i modi di evitare che le loro menzogne, la loro corruzione siano resi noti al mondo.
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