Di Roberto Livi – il manifesto del 12/06/20.
L’Avana
«Rappresentate la
vittoria della vita sulla morte, della solidarietà sull’egoismo, dell’ideale
del socialismo sul mito del mercato». Non sono suonate retoriche le parole
pronunciate dal presidente Miguel Díaz-Canel al personale medico cubano della
brigata Henry Reeve che rientravano dalla Lombardia. L’applauso della gente al
loro arrivo le confermava.
LA POLITICA DEL GOVERNO cubano per contenere il contagio del
Covid-19 è stata ed è efficace. I numeri parlano chiaro: mercoledì scorso (10
giugno) era l’11mo giorno senza vittime, mentre i casi confermati di contagio
erano sei, tutti asintomatici e “individuati” grazie ai tamponi (2.344)
effettuati il giorno prima tra la popolazione a rischio.
Dunque hanno funzionato le misure di prevenzione adottate:
isolamento in casa nei quartieri più a rischio, distanziamento sociale,
mascherine, chiusura delle scuole e di tutte le attività non essenziali e del
trasporto pubblico. Più una serie di medicamenti di produzione locale
distribuiti gratuitamente che rafforzano la risposta immunitaria e aiutano a
contenere le conseguenze del contagio. Da marzo sono stati registrati 2.025
casi di persone contagiate, delle quali – a mercoledì scorso – 1880 erano state
dimesse come guarite, mentre le vittime totali erano 83.
SE SI CONFRONTA questa situazione con quella del Cile – che
ha quasi lo stesso numero di abitanti di Cuba – la differenza è impressionate:
148.500 contagiati e quasi 2.500 morti. E queste cifre si riferiscono a un
paese che è il fiore all’occhiello dei Chicago boys e della loro politica
neoliberista propagandata come salvezza (nonostante il primo sponsor sia stato
Pinochet) per tutto il subcontinente latinoamericano.
ALLE CIFRE DEL CONTENIMENTO del coronavirus si aggiunge un
altro dato che impressiona e testimonia favore di Cuba: l’invio di missioni di
personale medico in 28 paesi, tra le quali anche quella in Italia. Una piccola
isola con undici milioni di abitanti oggetto da 60 anni di un blocco economico,
commerciale e finanziario, che oggi l’amministrazione Trump ha rafforzato con
l’intento di strangolarne l’economia, invia in tutto il mondo centinaia di medici
e infermieri a combattere il Covid-19.
Un esempio di solidarietà che per molti dovrebbe essere
premiato con il Nobel per la Pace. Ma che per gli Usa (quasi 1,5 milioni di
contagiati) rappresenta un confronto umiliante.
Tanto che sia il Dipartimento di Stato con il suo falco Mike
Pompeo, sia gli alleati e le organizzazioni, direttamente o meno, nel libro
paga di Washington si ostinano a tentare di diffamare, definendo medici e
infermieri cubani come «schiavi» affittati da un «regime dittatoriale». I
pazienti di Crema assistiti dai medici cubani dovrebbero dunque vergognarsi di
essere stati curati da «schiavi» e non aver preferito correre il rischio di
lasciarci la pelle pur di difendere la libertà made in Usa.
PER QUESTI SUCCESSI Cuba paga alti costi, economici ma anche
sociali. L’economia dell’isola era già in gravi difficoltà prima della pandemia
a causa dello strangolamento finanziario, economico e sociale messo in atto
dall’Amministrazione Trump. Dopo quasi tre mesi di paralisi del paese la crisi
è ancor più grave. Le casse del governo sono quasi a secco; le principali fonti
di ingresso di valuta – turismo e rimesse – bloccate dalla Covid-19 e dalle
sanzioni Usa; la produzione di beni di esportazione ridotta dalla pandemia.
L’ISOLA – e questa è una delle debolezze del socialismo
cubano – dipende dall’importazione di generi alimentari per soddisfare le
esigenze della popolazione (nel 2018 il governo ha speso circa 2 miliardi di
dollari). In crisi di valuta, il governo ha drasticamente ridotto tali importazioni.
Molti generi di prima necessità scarseggiano e grandi sono le file davanti ai
negozi o alle bodegas (dove si vendono prodotti calmierati). Alcune – per pollo
e prodotti di igiene – possono durare anche anche più di un giorno, producendo
ansia (alle volte alla fine della coda il prodotto richiesto è finito) e
malessere. In queste code, nonostante siano regolate da polizia o militari in
funzione di polizia, spesso le misure di distanziamento sono impossibili da
rispettare.
Ma da giorni sono introvabili anche prodotti essenziali alla
dieta locale come il boniato, la patata dolce, e i pomodori e scarseggiano
persino le banane. Segnale evidente – come ve ne fosse bisogno –
dell’inefficienza di Acopio, il monopolio statale di commercializzazione dei
prodotti agropecuari. Tanto che il presidente Díaz-Canel ha messo in chiaro la
necessità sia di riformare Acopio, sia di trovare forme alternative per la
commercializzazione (e dunque per i prezzi) dei prodotti agricoli.
La pandemia ha così reso ancor più urgente la necessità di
«modernizzare» il socialismo cubano.
Si tratta di riforme in gran parte già delineate da una
serie di documenti stilati dopo dibattiti che hanno coinvolto quasi tutta la
popolazione, approvati dall’Assemblea nazionale e i cui strumenti di attuazione
sono supportati anche dalla nuova Costituzione (aprile 2019). Ma ancora in
mezzo al guado.
I temi centrali di tali riforme sono oggetto di dibattito –
anche in rete – da mesi: riforma monetaria, per eliminare le due monete in
circolazione, legge sulle imprese che comporti una decentralizzazione delle
impese di stato e sulle Piccole e medie imprese (che ne formalizzi la forma
giuridica e dunque la possibilità di importare ed esportare), legge sugli investimenti
esteri (apertura anche ai cubani all’estero), priorità alla produzione che
sostituisce le importazioni.
L’ECONOMISTA (E ACCADEMICO) Julio Carranza ha recentemente
ribadito che l’economia socialista non comporta la soppressione del mercato, nè
della proprietà privata ma la subordinazione dell’interesse privato a quello
pubblico, del mercato alla società. «In
questa situazione internazionale in cui il capitalismo – come sistema globale
-, specie nella sua versione neoliberista, ha dimostrato di essere incapace di
proteggere gli interessi della grande maggioranza della popolazione mondiale,
oltre alla sostenibilità ambientale del pianeta, l’alternativa socialista è
difficile, però non solo è necessaria ma è anche possibile». Cuba è
chiamata a dare il suo contributo.
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