venerdì 24 settembre 2010

Contra el bloqueo


Contribuiamo alla campagna promossa dal direttivo nazionale per l’acquisto e l’invio a Cuba dell’ Actinomicina D, farmaco indispensabile per il trattamento medico di gravi patologie. Pochi mesi fa infatti la ditta messicana che produce il farmaco è stata acquistata da una multinazionale nord-americana ed ora, il criminale blocco economico che gli Usa da quasi cinquant’anni impongono a Cuba, impedisce la vendita diretta dell’ Actinomicina D agli ospedali dell’isola (info: http://www.italia-cuba.it/).
Invitiamo quindi tutte le persone che amano Cuba e che trovano odiosa questa sanzione che vigliaccamente colpisce la parte più debole della popolazione civile a partecipare

Sabato 9 ottobre 2010 ore 20:30

c/o Circolo ARCI CAPANNA
in via G. Di Vittorio 4 – SENIGALLIA (tel. 071 7926579)

CENA con il seguente menù:
• Antipasto
• Bucatini all’amatriciana (al pomodoro e basilico per i vegetariani)
• Affettati, formaggio pecorino e verdure gratinate
• Dolce de Marcella
• Vino, Acqua, Caffè e naturalmente Ron Cubano!

Il costo della cena è di € 15,00 ed il ricavato sarà
interamente devoluto all’acquisto del farmaco.

Partecipiamo numerosi!!! Invieremo le immagini e un resoconto della serata a periodico dell’Associazione Italia-Cuba chiedendone la pubblicazione . Gracias a todos!

Per la buona riuscita dell’iniziativa prenotate telefonando o inviando SMS ai seguenti nr:
Peppe 339/8242575 – Maurizio 333/3745938 – Bruno 328/8237299
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domenica 19 settembre 2010

La CTC analizza i cambi proposti dal governo in materia di occupazione.


La Rivoluzione cubana compie 52 anni di vittoriosa esistenza, ed oggi è più che mai viva ed inalterabile nella Direzione della nazione e nel nostro popolo la volontà e la determinazione di continuare la costruzione del socialismo, avanzare nello sviluppo e l’aggiornamento del modello economico che dobbiamo seguire, consolidando le conquiste raggiunte.
La Direzione del Governo ha lavorato all’elaborazione di misure che garantiscono ed implementano i cambi che risulta necessario ed improrogabile inserire nell’economia e nella società, per trasformare e rendere più efficiente l’attuale processo produttivo e lavorativo.
Cuba deve urgentemente avanzare economicamente, organizzare meglio la produzione, potenziare le riserve di produttività ed elevarla, migliorare a disciplina e l’efficienza e ciò è solamente possibile raggiungerlo attraverso il lavoro degno e consacrato del nostro popolo. Oggi, il dovere dei cubani è di lavorare e farlo bene, con serietà e responsabilità, raggiungere un uso più efficiente delle risorse di cui disponiamo per soddisfare le nostre necessità.

In corrispondenza con il processo di aggiornamento del modello economico e le proiezioni dell’economia per il periodo 2011-2015, si prevede nelle Linee Guida per l’anno prossimo, la riduzione di oltre 500.000 lavoratori nel settore statale e parallelamente il loro incremento nel settore non statale. Il calendario per la sua esecuzione è concepito dagli organismi ed imprese fino al primo trimestre del 2011.
Per il movimento sindacale e i lavoratori è un compito importante prestare la massima attenzione alla riduzione del personale, il processo di disponibilità di lavoro e di impiego, e raggiungere un adeguato utilizzo delle risorse umane. È noto che l’eccesso di personale supera il milione di persone nei settori preventivati ed impresari.
Il nostro Stato non può né deve continuare a mantenere imprese ed entità produttive di servizi fornite di organici gonfiati, e perdite che erodono l’economia, risultano controproducenti, generano cattive abitudini e deformano la condotta dei lavoratori. È necessario elevare la produzione e la qualità dei servizi, ridurre le spese sociali ed eliminare indebite gratuità legate agli impieghi, sussidi eccessivi, lo studio come fonte di impiego e il pre-pensionamento.
Il successo del processo che sta per cominciare dipenderà dalla direzione che, dal movimento sindacale e sotto la direzione del Partito, i dirigenti sindacali daranno alle azioni che si devono intraprendere, e dal consenso sociale che raggiungeremo in merito alla pertinenza economica e politica di questo passo. Tali misure di disponibilità lavorativa mirano ad identificare i posti di lavoro che non risultano indispensabili e a re-ubicarli in altri luoghi, dove necessario e possibile, o a ri-orientare i lavoratori.
Per il trattamento lavorativo dei lavoratori che risultino disponibili in una entità o posto di lavoro, si amplia e si diversifica l’attuale orizzonte di opzioni con nuove forme di relazioni contrattuali non statali come alternativa di impiego, tra le quali ci sono l’affitto, l’usufrutto, le cooperative ed il lavoro nel settore privato, verso dove si muoveranno centinaia di migliaia di lavoratori nei prossimi anni.
Al settore statale sarà possibile emigrare solo coprendo gli impieghi imprescindibili, nei lavori storicamente in deficit di forza di lavoro, come nel caso degli agricoltori, lavoratori dell’edilizia, maestri, poliziotti, operai ed altri.
Il paese sta eseguendo in diversi settori un importante processo di investimenti, nel campo del petrolio, l’edilizia, la biotecnologia, l’industria farmaceutica ed il turismo, sta promuovendo altre produzioni di beni e aumenterà l’esportazione di servizi che genereranno altre fonti di impiego.
Questi cambi nella politica di impiego si implementeranno in maniera graduale e progressiva, si inizieranno immediatamente e per la loto magnitudine ed incidenza, abbracceranno tutti i settori.
Tutto questo processo si effettuerà su basi e norme nuove e verrà modificato l’attuale trattamento lavorativo e salariale per i disponibili e gli interrotti (lavoratori resisi disponibili NdT), poiché non sarà più possibile applicare la formula della protezione o del sussidio attraverso salari a tempo indefinito. Nell’identificazione, trasferimento e ubicazione verso altri lavori avrà un ruolo importane l’attitudine e la disposizione personale dell’interessato.
La definizione di chi coprirà gli impieghi disponibili in ogni gruppo di lavoro si applicherà prendendo in considerazione l’idoneità dimostrata.
Una questione di grande importanza è costituita dal salario. Bisogna rinnovare il principio di distribuzione socialista, perché lo stipendio dipende dalla quantità e qualità del lavoro apportato. I sistemi di pagamento per risultato, applicati in centri di lavoro con organici organizzati meglio continueranno ad essere la via per elevare la produttività e quindi, le entrate dei lavoratori.
Favorire che l’organizzazione sindacale ad ogni livello di direzione contribuisca al compimento di tale politica garantirà la continuità della costruzione del socialismo cubano, applicando il concetto di Rivoluzione a partire dal senso del momento storico, e di cambiare tutto ciò che deve essere cambiato.
La CTC ed i sindacati sono impegnati in tale processo e vigileranno sulla stretta osservanza ed applicazione del principio di idoneità mirata a determinare il diritto di occupare un posto di lavoro, così come per quello della trasparenza in ciò che si deve realizzare.
Il sindacato deve agire nel suo settore con un alto livello di esigenza e per mantenere il controllo sistematico della marcia di tale processo, dal suo inizio alla sua conclusione, adottare le misure che gli corrispondono e mantenere informati i suoi organismi superiori e la CTC.
L’unità dei lavoratori cubani e del nostro popolo è stata la chiave per realizzare la gigantesca opera edificata dalla Rivoluzione e nelle trasformazioni che adesso intraprenderemo, continuerà ad essere la nostra più importante arma strategica.
Segretariato Nazionale della CTC

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sabato 18 settembre 2010

Libertà per i cinque cubani. Un appello di star Usa a Obama.


Stimato presidente Obama,
Noi, attori e artisti statunitensi, le chiediamo di rivedere il caso di Gerardo Herandez, Ramon Labañino, René Gonzalez, Antonio Guerrero e Fernando Gonzalez, conosciuti come «i 5 cubani», e di concedere loro la libertà immediata. Siamo costernati dal fatto che «i 5 cubani», che non hanno commesso crimini contro gli Usa né mai costituito una minaccia per la nostra sicurezza nazionale, siano detenuti da 12 anni. I «5» sorvegliavano le attività di gruppi violenti dell'esilio cubano di Miami, attività che hanno provocato la morte di migliaia di cubani. Stavano solo proteggendo il loro paese da futuri atti terroristici.
Presidente Obama, s'immagini se quel terrorismo si fosse diretto contro gli Usa. Ci chiediamo: che sarebbe successo se prima dell'11 settembre un pugno di americani si fosse infiltrato nei gruppi criminali per allertare gli Usa su quell'attacco imminente? Staremmo qui, come ora, a diffamarli per le loro azioni? Il nostro governo è responsabile di agire con un doppio standard. Mentre «i 5 cubani» restano in prigione, ci sono dei veri terroristi - come Luis Posada Carriles e Orlando Bosh, responsabili dell'attentato a un aereo cubano in cui morirono 73 persone - che godono di asilo e impunità negli Stati uniti.
Stimato presidente, nel dodicesimo anniversario dell'arresto dei «5 cubani», facciamo appello al suo senso della giustizia e rispettosamente le chiediamo che, riesaminati i fatti e considerato il lungo tempo passato in prigione, conceda ai «5 cubani» una «clemenza esecutiva» per tornare al loro paese e alle loro famiglie. E che intanto conceda il visto a Adriana Perez e Olga Salanueva pe poter visitare i loro mariti, Gerardo Hernandez e René Gonzalez.
Sinceramente, Danny Glover, Elliott Gould, Ry Cooder, Susan Sarandon, Pete Seeger, Martin Sheen, Oliver Stone ( e altre 16 firme) Leggi tutto...

mercoledì 15 settembre 2010

Intervista a Mariela Castro, la nipote della Revolucion.


«GLI EUROPEI CI CREDONO CRETINI?» da “il manifesto” del 12/09/10.

«Molti, giornalisti ma non solo, arrivano a Cuba e pretendono di dirci subito cosa dobbiamo fare e cosa no».
Intervista a Mariela Castro, la figlia del presidente Raúl. Che dice di «non essere d'accordo» con lo zio Fidel quando si assume tutta la responsabilità della persecuzione degli omosessuali negli anni '60
Mariela Castro è la battagliera figlia di Raúl e la nipote di Fidel. Da anni conduce la lotta per i diritti degli omosessuali a Cuba, lotta non facile in un paese e in una regione in cui il machismo è ancora parte della cultura dominante («i compagni machisti rivoluzionari», li chiama). Ma come figlia dell'attuale presidente e nipote di un «líder máximo» sempre sulla breccia, è anche molto di più e, dalla sua posizione privilegiata, con lei si può parlare di tutto, tutto ciò che riguarda Cuba, piccolo-grande paese che suscita grandi amori e odi mortali. Insieme ortodossa (come nel giudizio canonica sui dissidenti) ed eterodossa («in molti casi sono anch'io una dissidente»), non risparmia le critiche al paese guidato da suo padre e suo zio e non nasconde i problemi.
Estremamente comunicativa e sfoggiando sempre un forte senso dell'humor, è stata l'ospite d'onore nella festa dell'Amca, l'associazione Assistenza medica per il Centro America fondata e guidata dal professore Franco Cavalli, oncologo e compagno svizzero ticinese, che la settimana scorsa ha celebrato i suoi 25 anni di cooperazione a Bellinzona. Dove l'abbiamo incontrata.
Fidel ha fatto autocritica e si è assunto la responsabilità della persecuzione degli omosessuali negli anni '60. Tu hai detto che sei d'accordo con lui, perché?
Lo capisco e lo rispetto. Però credo che bisogna partire da un fatto: che l'omofobia è un dato culturale molto antico e non solo a Cuba. In tutto il mondo le culture dominanti fino a oggi sono state profondamente omofobiche e Cuba in quel momento riproduceva quel processo storico, radicatissimo anche nella cultura cubana. Soprattutto nella cultura spagnola e africana. Quindi si può capire che a quei tempi la gente e anche i leader considerassero gli omosessuali dei malati mentali da curare, degli immorali e dei perversi come diceva la chiesa. Fidel riproduceva ciò che aveva appreso come parte di quella stessa cultura. Allora erano poche le voci che dissentivano: la Federazione delle donne cubane, qualche intellettuale come Haydée Santamaría e Alfredo Guevara. Per questo io dico che Fidel non deve sentirsi il colpevole per l'omofobia di quegli anni. Sono convinta che se avesse avuto un'informazione più completa su questo tema e non fosse stato educato dentro una cultura omofobica, avrebbe detto basta con le discriminazioni. Lui, come líder máximo, si assume la responsabilità politica per non essersi occupato anche dell'omofobia e averla fermata.
Resta comunque una macchia della rivoluzione cubana...
Una macchia. E sai perché? Perché una rivoluzione il cui obiettivo principale è conquistare, imporre la giustizia sociale non può permettersi di creare nuove forme di discriminazione. Per questo è contraddittorio che nella rivoluzione cubana da un lato si lotti per conquiste così importanti nel campo della giustizia sociale e dei diritti umani e dall'altro mantengano dei fattori di esclusione e discriminazione come in questo caso. Ecco perché, con tanti altri cubani, mi sono impegnata in questo lavoro.
Credi che questa macchia sia stata cancellata ora?
Io non so se si possa dire che sia stata cancellata. So che sto lavorando per cancellarla, e credo che dopo il lavoro che abbiamo fatto in tutti questi anni, quantomeno la società cubana sta discutendo il tema.
Altro tema. L'inatteso ritorno in scena di Fidel. Non credi che questo possa aggiungere un problema nel processo di riforme annunciato come inevitabile e urgente da tuo padre, visto che Fidel e Raúl non sempre hanno avuto le stesse posizioni su diversi temi?
Guarda, non so fino a che punto sia sempre stato tutto determinato da Fidel. A volte credevo che ci fossero cose deciase da lui poi mi è capitato di ascoltare aneddoti anche famigliari che dicono non fosse esattamente così. Comunque io credo che sia ottimo che Fidel sia tornato. Primo perchè lui continua a essere il líder máximo. Ci saranno contraddizioni? Benvengano, la storia è fatta sulle contraddizioni.
Quindi non credi alla lettura di molti «cubanologi» per cui il ritorno di Fidel ha creato tensioni fra lui e Raúl, o addirittura che sia tornato per dare uno altolà alle riforme annunciate da tuo padre?
Non credo proprio. Perché lui, da quando ha cominciato a riprendersi, ha partecipato sempre ai dibattiti e alle proposte, è stato sempre consultato. Non credo che il suo ritorno abbia creato più tensioni di quelle che ci sono state sempre nel gruppo dirigente della rivoluzione. Tensioni naturali fra punti di vista diversi. L'ha detto anche mio padre, in pubblico e in privato.
Le riforme avviate da Raúl sono sufficenti per la crisi economica del paese o dovrebbero essere più radicali e rapide?
Sono solo l'inizio. Richiedono tempo e sistematicità per poter calibrare i cambiamenti, senza ritardi e senza burocratismi.
... ma la burocrazia a Cuba...
... è pesantissima, un ostacolo. E' un problema da risolvere e il popolo lo ha posto con forza. Non mi piace dirlo io, ma sono stati alcuni politologi cubani ad affermate che la burocrazia a Cuba è quanto di più contro-rivoluzionario ci sia. Anch'io credo che sia un grandissimo ostacolo al processo socialista cubano. Non possiamo riprodurre la stessa burocrazia dei paesi ex-socialisti. Il popolo deve presentare il conto ai burocrati. E lo sta facendo.
È un fatto visibile a (quasi) tutti che a Cuba, nonostante le conquiste della rivoluzione, la gran maggioranza della gente vive male. Quanto dovranno aspettare ancora i cubani, dopo 50 anni, per poter sperare di vivere meglio, senza gli affanni e le angustie quotidiane?
Io lo direi in un altro modo. Direi che la gran maggioranza o in generale la popolazione cubana è insieme soddisfatta e insoddisfatta rispetto alla rivoluzione, ha necessità risolte e irrisolte. Il vincolo con la rivoluzione è profondo nella maggioranza della popolazione, ma è innegabile che ci siano forti contraddizioni. Cuba è un paese povero ma la povertà è «equitativa», un paese che in certi campi ha raggiunto livelli di sviluppo importanti, paragonabili a quelli dei paesi ricchi. Ma ha ancora molti problemi irrisolti, specie a livello della vita quotidiana, che, chi più chi meno, toccano tutti. Ci sono cose buone, altre da migliorare e altre da creare. Per questo stiamo discutendo.
Però sono passati 50 anni...
Ma 50 anni molto difficili. Abbiamo dovuto spendere tutte le nostre energie per difenderci dal terrorismo di stato (e che stato!), e qualsiasi progetto in situazione di difesa trova enormi difficoltà per avanzare e porta in superfice tendenze schematiche e dogmatiche anziché liberare altre idee più interessanti che pure c'erano.
I problemi cubani sono solo dovuti all'assedio di 50 anni e al blocco Usa?
No, per niente. È un contesto, non un solo fattore. L'ostilità esterna ma non solo. C'era gente che proponeva idee nuove e altra che voleva imporre la stessa strada degli altri paesi del blocco socialista. Sono stati 50 anni difficili ma che ci hanno insegnato molto. E guarda che il popolo ha appreso la lezione perché sta facendo proposte molto interessanti. Che per fortuna adesso si tengono più in consderazione di prima.
Il problema più grave è quello della doppia economia, del doppio salario che rischia di avere effetti sociali perversi...
Li ha già creati. Dagli anni '90 quando si creò la doppia economia e la doppia moneta - che fu indispensabile perché ci ritrovammo soli e non saremmo sopravissuti - sono sorte diseguaglianze, non classi ma strati sociali diversi. Ma si sarebbe dovuto uscire da tempo da questi meccanismi, le decisioni però hanno tardato a venire. Io non sono economista e non so dire come si possa fare. So solo che si sta cercando di rafforzare l'istituzionalità del paese.
I dissidenti. Un problema che crea altri problemi. Noi a sinistra diciamo che il dissenso è il cuore della democrazia...
Anch'io lo penso. Senza dissenso non possiamo avanzare come società...
Come è possibile che a Cuba non si trovi la strada per rompere l'equiparazione automatica e schematica dissenso-tradimento, dissidenti-mercenari?
A Cuba tu puoi dissentire senza essere considerato un traditore. Io per esempio spesso dissento, anche da mio padre. Un discorso diverso è quello sui mercenari. Sono pagati.
In Europa, per alcuni, anche a sinistra, Cuba è diventata un'ossessione. Critiche, critiche, solo critiche...
Cuba è diventata il nemico di moda. Quando un nemico diventa di moda i giornali non parlano che di lui, fino a quando ne trovano un altro. In Europa Cuba è diventata un cliché noiosissimo. Che barba. Se trovassero argomenti interessanti saremmo anche noi interessati a partecipare. Se dicessero la verità ci metterebbero in difficoltà, invece mescolano alcune piccole verità con molte menzogne. Uno degli argomenti fissi è che a Cuba non c'è un'opposizione. Il fatto è che non c'è un'opposizione autentica. Il giorno che ci fosse un'opposizione autentica, che rispondesse davvero agli interessi del popolo meglio del governo, vedresti che il popolo andrebbe sicuramente verso l'opposizione. Ma finora non c'è. Pensate che il popolo sia tonto? Noi abbiamo bisogno di nemici più liberi, autentici e creativi per perché ci sia un dibattito vero. In tanti, giornalisti e no, arrivano a Cuba a dirci cosa dobbiamo fare. Credono che noi siamo cretini e non capiamo quello che sta capitando qui, quello che stiamo vivendo, quali sono i nostri problemi?

di Maurizio Matteuzzi.

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mercoledì 8 settembre 2010

A PUGNO CHIUSO - OSIMO (Campocavallo) 8-9-10-11-12 settembre


Il Circolo "Sado Sadovski" sarà presente, come da tradizione, al XII Festival Comunista Antimperialista organizzato dai compagni della L.U.P.O. di Osimo(http://www.luposimo.org/).
Vi aspettiamo nei giorni 8-9-10-11 e 12 settembre nell'area attrezzata di Campocavallo. Leggi tutto...

venerdì 3 settembre 2010

INTERVISTA A FIDEL.


*Pubblicato su La Jornada di Città del Messico del 30 e 31 agosto
©La Jornada-il manifesto

E' stato 4 anni dibattendosi fra la vita e la morte. Entrando e uscendo dalla sala operatoria, intubato, alimentato attraverso le vene e i cateteri e perdendo di frequente conoscenza...
«La mia malattia non è nessun segreto di stato» avrebbe detto poco prima che essa provocasse la crisi e l'obbligasse a «fare quel che doveva fare»: delegare le sue funzioni di presidente del Consiglio di stato (la presidenza della repubblica) e, di conseguenza, di comandante in capo delle forze armate di Cuba.
«Non posso più continuare», ammise allora - come rivela in questa prima intervista a un organo di stampa straniero da allora -. Si rassegnò al passaggio delle consegne e si mise nelle mani dei medici.Questo è l'inizio del post.
Lo choc scosse tutto il paese e gli amici di fuori: fece cullare speranze revansciste ai suoi detrattori e mise in stato d'allarme il poderoso vicino del nord. Era il 31 luglio del 2006 quando fu resa pubblica, in via ufficiale, la lettera di rinuncia del massimo leader della rivoluzione cubana.
Quel che non aveva potuto in 50 anni il suo più mortale nemico (blocco, guerre, attentati), era riuscito a una malattia di cui nessuno sapeva niente e si speculava di tutto. Una malattia che per il regime, lui l'accettasse o meno, doveva diventare «segreto di stato».
Oggi fanno una quarantina di giorni dalla definitiva riapparizione di Fidel Castro in pubblico, almeno senza il rischio apparente di una ricaduta. In un clima disteso e quando tutto fa pensare che la tormenta sia passata, l'uomo più importante della rivoluzione cubana si mostra vivace e brillante, per quanto non domini del tutto il movimento delle gambe.
Durante le cinque ore che è durata l'intervista - colazione inclusa - con La Jornada (di cui questa è una parte, ndt), Fidel ha toccato i temi più diversi, anche se alcuni lo ossessionano in modo particolare. Permette che gli si domandi di tutto - per quanto sia lui quello che fa più domande - e ripassa per la prima volta e con dolorosa franchezza alcuni dei momenti della crisi di salute sofferta negli ultimi quattro anni.
«A un certo punto ero morto», rivela con sorprendente tranquillità. Non chiama per nome la diverticolite patita né parla delle emorragie che costrinsero gli specialisti dello staff medico a operarlo in molte occasioni, col rischio di morire ogni volta. Ma si sofferma a lungo, invece, sul racconto della sofferenza vissuta. E non mostra alcuna inibizione in definire quella tappa dolorosa come «un calvario».
«Ormai non volevo più vivere. Mi sono domandato più volte se quella gente (i suoi medici) mi avrebbe costretto a vivere in simili condizioni o mi avrebbe permesso di morire... Alla fine sopravvissi ma in condizioni fisiche penose. Arrivai a pesare poco più di 50 chili».
«Sessantasei chili», precisa Dalia, la sua inseparabile compagna che assiste alla conversazione. Sono presenti solo lei, due dei suoi medici e un altro paio dei suoi collaboratori più stretti.
«Immaginati, un tipo della mia statura che pesa solo 66 chili. Oggi sono già fra gli 85 e gli 86, e questa mattina sono riusciti a fare 600 passi da solo, senza bastone e senza aiuto. Voglio dirti che ti trovi davanti a una specie di re-su-sci-ta-to», sostiene con un certo orgoglio.
E quand'è resuscitato, comandante, cosa ha trovato?, gli chiedo.
«Un mondo di matti... Un mondo che appare ogni giorno in televisione, nei giornali e che nessuno capisce, però che non mi sarei voluto perdere per niente al mondo», sorride divertito.
Il compito di accumulazione informativa quotidiana di questo sopravissuto comincia da quando si sveglia. A una velocità di lettura impressionante, divora libri; si legge fra 200 e 300 articoli d'informazione al giorno; è attentissimo alle nuove tecnologie della comunicazione; è affascinato da Whikileaks, «la gola profonda di Internet», divenuta famosa per la diffusione di più di 90 mila documenti militari realtivi all'Afghanistan, su cui questo nuovo "navigante" sta lavorando.
«Ti rendi conto di cosa significa questo - mi dice -? Internet ha messo nelle nostre mani la possibilità di comunicare con il mondo. Sono finiti i segreti, o almeno così sembrerebbe. Ci troviamo davanti a un "giornalismo investigativo ad alta tecnologia», come lo chiama il New York Times, e alla portata di tutti. Ci troviamo davanti all'arma più poderosa che sia mai esistita, che è la comunicazione - continua -. Il potere della comunicazione è stato, e sta, nelle mani dell'impero e di ambiziosi gruppi privati che hanno usato e abusato d'esso.Per questo i media hanno fabbricato il potere che oggi ostentano»,
L'ascolto e non posso fare a meno di pensare a Chomski...
Articoli sulla manipolazione da parte dei poderosi gruppi imprenditoriali locali o regionali, i loro complotti per insediare e rovesciare governi o personaggi della politica, o sulla "tirannia" esercitata dall' "impero" attraverso le transnazionali sono ora alla portata di tutti i mortali.
Ma non di Cuba, che dispone solo di un'entrata di Internet per tutto il paese, comparabile a quella che ha un qualsiasi hotel Hilton o Sheraton. Questa è la ragione per cui a Cuba connettersi è un'impresa disperata. La navigazione in rete è come si facesse in camera lenta.
Perché tutto questo?, chiedo.
«Per il rifiuto secco degli Stati uniti a dare a Cuba l'accesso a Internet attraverso uno dei cavi sottomarini in fibra ottica che passano vicino alle nostre coste. Cuba si è vista obbligata, quindi, a prendere il segnale da un satellite, ciò che rende il servizio assai più caro per il governo cubano e impedisce di disporre di una banda più larga che consenta l'accesso a molti più usuari e a una velocità normale nel resto del mondo, con la banda larga».
Per questa ragione il governo cubano dà priorità, per la connessione, non a chi può permettersi di pagare il costo del servizio ma a chi ne ha più bisogno: medici, accademici, giornalisti, professionisti, quadri del governo e club di Internet di uso sociale. Non si può fare di più. Però, secondo Fidel, Cuba potrà risolvere presto questa situazione.
Si riferisce alla conclusione dei lavori per il posizionamento del cavo sottomarino che parte dal porto di La Guaira, in Venezuela, e arriva nelle vicinanze di Santiago di Cuba. Con questi lavori, portati avanti dal governo di Hugo Chávez, l'isola potrà disporre della banda larga e della possibilità di ampliare il servizio.
Per quanto non ci sia niente in lui che denoti segni di fastidio, credo che a Fidel non piacerà la domanda che gli sto per fare: comandante, tutto il fascino della rivoluzione cubana, i riconoscimenti, la solidarietà di una buona parte dell'intellettualità universale, il successo di fronte al blocco Usa, insomma, tutto questo è finito nella spazzatura a causa della persecuzione degli omosessuali a Cuba.
Fidel non si sottrae al tema. Non nega né respinge l'affermazione. Chiede solo un po' di tempo per ricordare, dice, come e quando si diffusero i pregiudizi nelle file rivoluzionarie.
Cinque decenni fa, e a causa dell'omofobia, a Cuba furono emarginati gli omossessuali e molti furono spediti a campi di lavoro militari-agricoli, accusati di essere contr-rivoluzionari.
«Sì - ricorda -, sono stati momenti di una grande ingiustizia, una grande ingiustizia - ripete con enfasi -, chiunque l'abbia commessa. Sto cercando di precisare la mia responsabilità in tutto questo perché, oltretutto, personalmente io non ho questo tipo di pregiudizi».
E' noto che fra i suoi migliori e più vecchi amici ci sono omosessuali. Però allora perché venne fuori questo odio contro i diversi? Lui pensa che tutto fu il risultato di una reazione spontanea fra le file rivolizionarie, che veniva dalla tradizione. Nella Cuba di prima non erano solo i neri a essere discriminati: anche le donne e, ovviamente, gli omosessuali...
«Sì, sì, però non nella Cuba dalla nuova etica di cui erano tanto orgogliosi erano i rivoluzionari di dentro e di fuori...»
Chi fu quindi il responsabile diretto o indiretto del fatto che non si mise un freno a quel che stava succedendo nella società cubana? Il partito? Perché quello fu il momento in cui il Pc cubano non mise nel suo statuto la proibizione di discriminare a seconda dei propri orientamenti sessuali.
«No - dice Fidel -. Se qualcuno è responsabile sono io... E' sicuro che in quei momenti non potevo occuparmi del problema... Ero immerso, principalmente, nella crisi di ottobre, nella guerra, nelle questioni politiche...»
Ma questo, comandante, divenne un serio e grave problema politico...
«Capisco, non gli sapemmo dare il giusto valore... i sabotaggi sistematici, gli attacchi armati si susseguivano senza soste, avevamo tanti e tanto terribili problemi, problemi di vita o di morte che non gli prestanno la sufficiente attenzione».
Dopo diventò molto difficile difendere la rivoluzione, la sua immagine si era deteriorata per sempre in certi settori, specie in Europa.
«Capisco, capisco - ripete -, era giusto...».
La persecuzione degli omosessuali poteva esserci in qualsiasi posto ma non nella Cuba rivoluzionaria, gli dico.
«Capisco, è come quando è il santo a peccare, vero? Non è lo stesso che quando pecca il peccatore, no?»
Fidel abbozza un sorriso e poi torna serio: «Guarda, renditi conto di come erano i nostri giorni in quei primi mesi della rivoluzione: la guerra con gli yankees, il problema delle armi e, quasi contemporaneamente, gli attentati contro di me... Sfuggire alla Cia, che comprava tanti traditori, a volte fra la gente a noi più vicina, non era cosa da poco. Però, in definitiva, se bisogna assumere la responsabilità, assumo la mia. Io non getto la colpa su altri».
Lamenta solo di non aver corretto allora quegli errori. Oggi tuttavia il problema viene affrontato. Sotto lo slogan "La omosessualità non è un pericolo, la omofobia sì» si è celebrato di recente in molte città del paese la terza Giornata cubana in occasione del Giorno mondiale contro la omofobia. E Mariela Castro, una sociologa di 47 anni - figlia del presidente Raúl Castro - dirige il Centro nazionale di educazione sessuale (Cenesex), un'istituzione che - dice lei - è riuscita a migliorare l'immagine di Cuba dopo gli errori degli anni '60.
«Siamo qui noi cubane e cubani per continuare a lottare per l'inclusione, perché questa sia la lotta di tutte e tutti, per il bene di tutte e tutti», ha detto Mariela Castro inaugurando la Giornata, scortata da transessuali che inalberavano una bandiera cubana e l'altra multicolore del movimento gay. Oggi a Cuba la linea sull'omosessualità include iniziative come il cambio d'identità dei transessuali o le unioni civili fra persone dello stesso sesso. Dagli anni '90, nell'isola l'omosessualità è depenalizzata, per quanto non siano cessati del tutto i casi di persecuzione da parte della polizia. E dal 2008 si praticano operazioni gratuite per il cambio di sesso.
Passiamo al pranzo che condividiamo con sua moglie, Dalia Soto del Valle. Da quella terrazza virtuale in cui si colloca per guardare e analizzare il mondo, la vita, Fidel fa un brindisi a un mondo del futuro con una sola patria.
«Cos'è questa storia che uno è spagnolo, un altro inglese, altri africani? E che alcuni possiedano più di altri? Il mondo del futuro dovrà essere comune, e i diritti degli esseri umani dovranno venire prima dei diritti individuali... E sarà un mondo ricco, dove i diritti saranno uguali per tutti».
Come si arriverà a questo mondo, comandante?
«Educando, educando e creando amore e fiducia».
E questo è il resto.
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