martedì 15 marzo 2011

Libertà per i cinque con Silvia Baraldini.


di Marcello Pesarini
“I cinque compagni possono essere liberati come fu per me. Una pressione continua, convinta, da parte dei compagni e dei democratici di tutto il mondo può influenzare il governo USA: non provarci sarebbe sbagliato”. Dalle parole di Silvia Baraldini, all’assemblea organizzata da Italia-Cuba ad Ancona per la liberazione dei 5 cubani detenuti nelle prigioni USA dal 12 settembre 1998 con l’accusa di spionaggio, quando stavano cercando di sventare gli attentati dei cubani anticastristi viventi negli USA, ricaviamo una conferma della necessità di unire cuore e ragione nel nostro impegno.
L’iniziativa, introdotta dalla presentazione di Albina Caldarelli, segretaria del circolo di Senigallia, entra con le sue parole nella “Isla”: i gemellaggi tra i coordinamenti regionali dell’associazione e le province cubane sono testimonianze di cooperazione nelle quali gli aiuti per superare il “bloqueo” permettono ad uno dei sistemi sanitari più avanzati e capillari del mondo di continuare nel suo servizio verso la popolazione cubana, ma anche verso i cooperanti. Giulia Torbidoni, collaboratrice del Manifesto, introduce Silvia ricordando come lei sia stata una delle prime vittime, sempre negli USA, della legislazione Rico nata contro le trame mafiose, durante la sua militanza rivoluzionaria. Ora è lei, la donna condannata ingiustamente a 43 anni di carcere duro nel 1983, tornata a finire di scontare la sua pena in Italia solo nel 1999, e liberata grazie all’indulto nel 2006, che si emoziona parlando di Assata Shakur, la militante nera alla cui liberazione aveva contribuito, a ringraziare quella donna, perché con le sue azioni ha reso utili e significative anche quelle di Silvia. Nell’emozione del suo racconto trova spazio la condanna alla stupidità delle istituzioni totali come le carceri, che se indirizzate solo ad annullare il detenuto non solo sono incostituzionali ( vedi art.27, rieducazione) ma non rispondono neanche al bisogno sempre più indotto di sicurezza. Si collega alla situzione marchigiana Marcello Pesarini dell’Osservatorio marchigiano sulle carceri, citando la scuola di approfondimento aperta da Ristretti Orizzonti e leggendo un brano di Graziano Scialpi, detenuto morto recentemente, spesso accusato di simulazione. Silvia risponde alle domande di chi si chiede perché mai gli USA siano considerati in Italia come patria della democrazia, e le fa eco Roberto Mancini, capogruppo di Partecipazione a Senigallia, insegnante fra gli insegnanti che difendono e vogliono riproporre la scuola pubblica come investimento verso le nuove generazioni e verso la democrazia: la libertà e la dignità non si mettono sulla bilancia con nulla, sono intoccabili. Proseguono i racconti, gli scambi di regali, anche la sciarpa dell’associazione polisportiva Assata Shakur da anni attiva in Ancona nell’antirazzismo, le domande irrisolte, i salti di generazione, ma lei si alza, prima di dare spazio alla cena sociale, e ci ricorda: il 5 di ogni mese scrivete alla Casa Bianca per chiedere la liberazione di Ramon, Renè, Fernando, Gerardo, Antonio, perché se gli USA vedono che il movimento non è episodico ne possono tenere conto. Lo dovremmo fare per le cose a cui teniamo di più in questo momento: essere costanti e, quando non va bene, interrogarci sul perché. Grazie, Silvia.

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