sabato 6 aprile 2013
Haiti ha bisogno di solidarietà, non di soldati
di João Pedro Stedile. Traduzione di Serena Romagnoli
Sono appena tornato da un viaggio a Haiti. Ho partecipato a un congresso del movimento contadino haitiano e ne ho approfittato per visitare varie regioni del paese e i progetti che con la brigata di Via Campesina-Alba stiamo realizzando in solidarietà al popolo di Haiti.
Vorrei cominciare il mio racconto commentando le caratteristiche principali di quella nazione. È un paese delle dimensioni dello stato brasiliano di Alagoas (27.000 chilometri quadrati), totalmente montagnoso come il Minas Gerais e con le montagne completamente devastate, senza vegetazione, poiché i contadini, durante decenni, sono dovuti ricorrere al carbone come unica fonte di energia e reddito.
Tutto il cibo, a Haiti, è cucinato con il carbone. Non ci sono fornelli a gas nel paese, salvo nei quartieri ricchi di Port-au-Prince, la capitale. Il clima è ovunque semiarido. Piove soltanto tre mesi all’anno, e poi c’è la siccità simile a quella del nostro nordest… E gli abitanti sono dieci milioni di persone, in un piccolo territorio sovrappopolato con il 95% di afrodiscendenti e il 5% di mulatti.
Sono eredi della prima grande rivoluzione sociale dell’America Latina, quando nel 1804 si ribellarono contro i colonizzatori francesi che li sfruttavano come schiavi e li condannavano a una vita media di 35 anni. Espulsero i colonizzatori, eliminarono la schiavitù e distribuirono le terre. E siccome sapevano che i colonizzatori sarebbero potuti tornare con molte più armi, salirono sulle montagne, dove stanno anche oggi.
I colonizzatori tornarono, ma non erano più francesi; vennero i capitalisti USA, che occuparono l’isola dal 1905 al 1945. E quando se ne andarono, lasciarono la dittatura Duvalier, filo-americana, che terrorizzò la popolazione dal 1957 al 1986. Ci furono poi governi provvisori. Nel 1990 fu eletto il padre Aristide, della teologia della liberazione, ma non durò. Gli americani lo rovesciarono e lo portarono a Wasghinton, per dargli lezioni di neoliberismo. Tornò addomesticato per compiere un altro mandato.
Poi elessero Preval, che riuscì a portare a termine il suo mandato, ma senza realizzare nessun cambiamento in senso democratico. E ora hanno eletto un governo burattino degli americani che ha speso 25 milioni di dollari in campagna elettorale. Tutti sanno a Haiti che non è stato eletto dal popolo. Ci dovrebbero essere elezioni per il parlamento, visto che il mandato è scaduto da più di sei mesi, ma nessuno ne parla. Quindi non c’è più un parlamento legalmente costituito anche se è in carica. In pratica il potere reale è esercitato dalle truppe delle Nazioni Unite, chiamate MINUSTAH (missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione di Haiti)!
Anche se si sono liberati dalla schiavitù, gli haitiani hanno vissuto pochi anni di democrazia (e di democrazia borghese).
Il popolo vive in una penuria estrema di cibo e beni materiali, aggravatasi con il terremoto del gennaio 2010, che ha ucciso migliaia di persone e distrutto praticamente tutta la città di Port- au-Prince. Ma è un popolo che conserva la sua dignità e il suo orgoglio, unito dalla cultura, dalla lingua creola, che parlano solo loro nel mondo, e dal Vudù (equivalente del nostro candomblé), praticato da quasi tutta la popolazione, anche se mantengono il sincretismo religioso nei comportamenti: la domenica a messa e il giovedi al “terreiro”.
Nelle regioni rurali non ci sono scuole. Il 70% degli haitiani vive nelle campagne. L’analfabetismo tocca il 65% della popolazione. Non c’è energia elettrica nell’interno del paese. C’è unicamente a Port-au-Prince. Ci sono solo tre strade nazionali asfaltate. Non c’è acqua potabile. Tutti devono acquistarla a prezzi internazionali.
L’anno scorso, per la prima volta nella storia dell’isola, c’è stata un’epidemia di colera, che ha ucciso centinaia di persone. La malattia medievale è stata portata dai soldati nepalesi che buttavano i loro rifiuti nel principale fiume del paese. C’è qualche tribunale internazionale che abbia deciso di processare le Nazioni Unite per quelle morti? Più del 65% di tutti gli alimenti sono importati o arrivano nella forma di donazioni, di cui si appropria una borghesia commerciale negra che sfrutta la popolazione. Le famiglie che riescono ad avere qualche soldo, per comprare prodotti che arrivano dalla vicina Repubblica Dominicana, sono quelle aiutate da parenti che lavorano negli USA.
In uno scenario di questo tipo, non è difficile immaginare lo scoppio di prossime rivolte popolari. Ma non preoccupatevi, ci sono 12.000 soldati di molti paesi del mondo, coordinati dall’esercito brasiliano con il marchio delle Nazioni Unite, per contenere le possibili rivolte. Sfilano in convogli, dotati di moltissime armi, solo per dire al popolo: Non dimenticatevi che stiamo qui per mantenere l’ordine! L’ordine della povertà e della nuova schiavitù. Lì non ci sono guerre, né violenze (l’indice degli omicidi è il più basso dell’America Latina), i soldati stanno lì come poliziotti.
Ho chiesto a dei soldati brasiliani perché stavano lì, visto che non sanno neanche il creolo per comunicare con la popolazione. L’unica risposta che ho ottenuto è stata che se andassero via loro arriverebbero gli statunitensi, che sono molto più violenti. Il popolo di Haiti non ha bisogno di soldati armati. Il popolo di Haiti ha bisogno di solidarietà per sviluppare le forze produttive del suo territorio e produrre i beni di cui ha bisogno per uscire dall’immensa penuria che soffre.
Il popolo di Haiti ha bisogno di sostegno per avere energia elettrica, per costruire una rete di distribuzione di gas da cucina e evitare il disboscamento. Ha bisogno di una rete idrica per la distribuzione dell’acqua potabile e di scuole di tutti i livelli in tutti i villaggi. Hanno bisogno di semi e utensili. Per il resto sanno bene cosa devono fare. Stanno lì dal 1804 come popolo che si è liberato, sopravvivendo e moltiplicandosi nonostante i tanti sfruttatori stranieri.
Per fortuna ci sono modi di mettersi in relazione con il popolo di Haiti. Il governo di Bahia ha mandato cisterne per immagazzinare l’acqua piovana, di cui gli haitiani sono molto grati. La Petrobras ci ha aiutato a portare in Brasile 77 giovani contadini, che studiano agroecologia. La chiesa cattolica di Minas Gerais ha fatto una raccolta speciale in tutte le parrocchie per finanziare progetti di sviluppo agricolo a Haiti, dagli orti all’allevamento delle capre e delle galline e alla produzione di semi. E noi movimenti sociali di Via campesina Brasil, con le poche risorse di cui disponiamo, abbiamo inviato, da più di 6 anni, una brigata permanente di giovani volontari, che stanno realizzando progetti in campo agricolo, cisterne, progetti educativi.
Il popolo di Haiti è arrabbiato per le truppe della Minustah. Se le Nazioni Unite volessero aiutare davvero Haiti, potrebbero seguire l’esempio di Venezuela e Ecuador. I loro soldati non sono armati e stanno costruendo case, strade e magazzini. O seguire l’esempio di Cuba, che anche a Haiti ha mandato più di 5.000 medici volontari, l’unico servizio sanitario pubblico che esiste nel paese, realizzato da questi medici umanisti che danno l’esempio della pratica del socialismo.
Penso che il nostro dovere come fratelli degli haitiani sia continuare a protestare e chiedere che le truppe si ritirino da Haiti e continuare a sostenere gli haitiani con progetti di sviluppo economico e sociale.
* J.P. Stedile è il leader più conosciuto dell’Mst, il Movimento dei Senza Terra brasiliani, e di Via campesina, l’organizzazione internazionale che raggruppa movimenti e lavoratori agricoli.
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