di Fabrizio Casari dal sito altrenotizie
Un viaggio di pace in un mondo dove "la terza guerra
mondiale avanza dispersa in mille rivoli e mille teatri". Un viaggio che
predica la riconciliazione tra i diversi e che sceglie Cuba proprio in omaggio
alla recente riapertura di dialogo e relazioni tra l’isola socialista e gli
Stati Uniti. Proprio per questa sua connotazione, nella quale s’intrecciano il
messaggio pastorale e quello politico, il viaggio nelle Americhe di Papa
Bergoglio, primo Papa latinoamericano della storia, non poteva non cominciare da
Cuba.
Che conosce oggi una nuova tappa delle relazioni con gli
Stati Uniti grazie alla sua tenacia nel resistere senza cedimenti a più di 50
anni di blocco, ma che ha avuto proprio in Papa Bergoglio l’indiscusso regista
del processo di riavvicinamento tra Washington e L’Avana. Un riavvicinamento -
va detto - frutto anche della svolta che Obama ha ritenuto di voler dare nella
seconda parte del suo mandato, quando ha deciso di sferrare l’affondo sulle più
spinose ed intrise di ideologismo delle questioni di politica estera, tra le
quali appunto Cuba, l’Iran e ora la Siria.
Dal suo arrivo a L’Avana, fino alla messa celebrata in una
stracolma Plaza de la Revolucìòn, il Papa ha potuto misurare quanto affetto e
quanto rispetto circondino la sua figura. In centinaia di migliaia hanno
partecipato alla messa nella storica piazza delle mobilitazioni cubane, dove
Bergoglio, affiancato dalle effigi del “Che” Guevara e dalla bandiera cubana,
ha portato il suo messaggio evangelico e politico. Cattolici e non si sono mobilitati
per farli sentire l’abbraccio dell’isola tutta. Perché Bergoglio si è
presentato da amico di Cuba, senza rinunciare alla centralità del messaggio
papale ma anche con l’intento di confermare il legame che da diversi anni vede
la Chiesa cubana nel ruolo di interlocutrice attenta e collaborativa nei
confronti del governo.
Il clamore politico-mediatico che accompagnò la visita di
Papa Woytila nel 1998 non si è replicato. Bergoglio, del resto, non è arrivato
a Cuba con le stimmate dell’alfiere dell’anticomunismo che caratterizzarono il
papato di Woytila, bensì portando in regalo la preziosissima opera di
mediazione che ha permesso la riapertura dei rapporti diplomatici tra L’Avana e
Washington. Nel 1998, la visita del Papa polacco entusiasmò il main stream
mediatico, che per la scarsa conoscenza di Cuba s’illuse di utilizzare Woytila
come grimaldello per scardinare il sistema socialista. Non funzionò allora, non
avrebbe senso oggi.
Ma anche in questo viaggio papale non sono mancati
all'appello alcuni specialisti della fantasia travestiti da giornalisti,
intenti a dipingere scenari inesistenti per sostenere speranze irrealizzabili;
niente di nuovo o di strano, di aspiranti servitù il giornalismo è deposito
inesauribile. Sono state enfatizzate le parole di Bergoglio circa il dover
servire le persone e non le ideologie per proporle come critica papale non alla
politica in generale, bensì al governo cubano.
Come se tutti gli altri governi del mondo non siano
concepiti sulle ideologie, come se fosse pensabile che il custode della fede
assegnasse alle ideologie la dimensione unificante dei popoli. Per la stessa
raffinata logica è stata sostanzialmente cancellata la richiesta a Raul, appena
sbarcato, di portare il suo saluto ed il segno del suo assoluto rispetto per
Fidel Castro.
Eppure, questo viaggio rappresenta un salto in avanti
proprio per il riconoscimento della leadership cubana. Se i viaggi di Woytila
prima e di Ratzinger poi vollero significare la legittimità dell’interlocuzione
con l’isola socialista, quello di Bergoglio appare anche come un riconoscimento
diretto all’opera che Cuba svolge in favore della mediazione per la guerra
civile in Colombia.
Non è stato certo casuale il passaggio dove, durante la
predica in Plaza de la Revolucìòn, il Papa ha chiamato ad ogni sforzo per la
fine del conflitto colombiano ed il fatto che i colloqui di pace tra guerriglia
e governo abbiano la loro sede proprio a L’Avana, conferma il sostegno vaticano
alla mediazione cubana, il suo riconoscimento di un ruolo determinante sulla
scacchiera continentale.
Cuba, attraverso Raul e Fidel, ha voluto riaffermare quanto
il processo di ristabilimento delle relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti
non significhi l’abdicazione dei suoi principi o la rinuncia alle sue
rivendicazioni. Restano importanti questioni sul terreno, prima fra tutte la
piena accettazione della legittimità del sistema politico cubano. Non si tratta
solo di parole: l’identità della Rivoluzione e lo sviluppo del Paese sono stati
infatti perseguiti al prezzo di sacrifici immensi e migliaia di vittime.
I danni provocati da più di 50 anni di blocco economico e
diplomatico, di terrorismo e ostilità politica, sono i temi sui quali Cuba non
intende soprassedere, affinchè si possa scrivere la parola "fine"
all'aggressione statunitense contro Cuba. Dunque, secondo i cubani, quanto
avvenuto in circa 60 anni deve in qualche modo trovare posto nell’agenda
politica sulla quale si costruirà il processo di riavvicinamento tra USA e
Cuba.
Il Papa non ha ovviamente preso posizione sul tema, non gli
compete e non rappresenta una priorità per la Chiesa di Roma. In questo senso
le ovvie differenze tra il punto di vista della Revolucìòn e quello di San
Pietro sono stati confermate, ma in un clima di reciproco rispetto e di affetto
che suona comunque come un risultato decisamente positivo sia per Roma che per
L’Avana.
L’altro obiettivo del viaggio di Bergoglio è quello di
rilanciare, proprio da Cuba, teatro della sua vittoria diplomatica più recente,
il ruolo della Chiesa di Roma quale interlocutore affidabile e credibile negli
scenari internazionali più complessi.
In questo senso il viaggio del Papa assume un significato
più politico di quello effettuato dai suoi predecessori e la tappa degli Stati
Uniti, dove sia per la sua opera di mediazione tra Cuba e USA che per le sue
innovazioni sul tema della famiglia, del sacerdozio e delle politiche sociali a
sostegno degli ultimi, troverà gli oppositori che a Cuba non ha trovato.
Il viaggio negli USA sarà un banco di prova importante per
imporre l’autorevolezza del ruolo che Bergoglio intende riaffermare, anche per
il profilo del processo riformatore con il quale sta faticosamente tentando di
cambiare l’immagine della Chiesa di Roma.
A metà degli anni ’70, rispondendo alla domanda di un
giornalista su quale s’immaginava potesse essere il momento giusto per un
riavvicinamento delle relazioni con gli Usa, Fidel Castro disse testualmente:
“Quando ci saranno negli USA un presidente nero e come Papa un
latinoamericano”.
Chissà se nel suo incontro con Bergoglio Fidel vorrà
ricordargli quella che più di 40 anni fa era una intuizione, ma che a
rileggerla oggi appare invece come una profezia.
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