giovedì 6 maggio 2010

Nuovo corrispondente da Cuba del quotidiano 'il manifesto'.


C'è il nostro uomo all'Avana: amici sempre, ciechi mai.
di Maurizio Matteuzzi

Con questo articolo, Roberto Livi comincia il suo lavoro di nostro corrispondente da Cuba.
Il compagno Roberto Livi cominciò la sua carriera giornalistica (e politica) molti anni fa al manifesto. Il fatto che adesso ritorni a scrivere per questo giornale dall'Avana ha un forte significato simbolico.
Noi siamo convinti, e l'abbiamo scritto più volte su questo giornale, che non ci sarebbe mai stata la rinascita - che qualcuno arriva a chiamare rinascimento - dell'America latina di questo primo decennio del secolo XXI se non ci fosse stata, in tutta la seconda metà del '900, la Cuba rivoluzionaria e castrista a offrire una straordinaria prova di resistenza e dignità.
Da 51 anni e da 11 presidenti degli Stati uniti Cuba resiste con successo alla «ossessione» anti-castrista di Washington (e Miami) e ai suoi incessanti tentativi di destabilizzazione, con l'unica eccezione (fallita) di Jimmy Carter e la debole disponibilità di Obama.
Ma Cuba è di fronte a scelte difficili e non più rinviabili, lo riconoscono anche i cubani e l'ha ripetuto più volte in questi due anni lo stesso presidente Raúl. Scelte drammatiche (e non tutte legate al criminale e grottesco blocco Usa che asfissia l'isola ribelle da quasi 50 anni), scelte decisive per il futuro della rivoluzione e delle sue conquiste sociali, che si annunciano dolorose e dovranno essere prese senza più l'ombrello protettivo che il carisma di Fidel garantiva.
Nei prossimi mesi e anni Cuba sarà ancora - e sempre di più - in prima pagina. Per questo è essenziale che un giornale come il manifesto abbia un occhio attento e sempre acceso «dal di dentro».
Ringraziamo il governo cubano e l'ambasciata di Cuba in Italia per la possibilità che ci hanno dato, accreditando Roberto Livi come corrispondente, di seguire l'evolversi della situazione da vicino e con continuità, evitandoci la pena di dover «interpretare» le notizie da e su Cuba quasi sempre provenienti - salvo rare e onorevoli eccezioni - da fonti e media (generalmente basati negli Usa o in Spagna) per nulla disinteressati e obiettivi, notizie poi riprese e rilanciate come fossero oro colato dai media (e dai politici) italiani.
Scrivendo da e su Cuba noi, al contrario degli altri, non pretendiamo di essere obiettivi. Perché, come ci ha insegnato qualcuno, l'obiettività non esiste e bisogna diffidare da chi la millanta.
Il manifesto è sempre stato e vuole continuare a essere amico di Cuba e della rivoluzione cubana, specie ora che si trova di fronte a dei nodi spinosi da sciogliere.
Partendo da questa amicizia e solidarietà scriveremo da e su Cuba cercando ogni giorno di smascherare le calunnie tendenziose e i luoghi comuni grossolani che quasi sempre accompagnano le informazioni sull'isola. Senza però chiudere gli occhi o tacere le critiche che di volta in volta riterremo giusto rivolgere agli amici e compagni cubani. Amici sempre, ciechi e incondizionali mai: l'incondizionalità non è nella natura e nella storia del manifesto.
È con questo spirito e questa garanzia che il manifesto e Roberto Livi si apprestano a vivere la stimolante avventura che comincia oggi.


I consumi della Revolucion.
di Roberto Livi

L'appuntamento è alle 5,30 del mattino al Barrio chino, il quartiere cinese nel cuore di Avana centro. È sabato primo maggio, la capitale caraibica esce dal sonno irrequieta al rumore degli autobus cinesi Yu tong, di vecchie e scassate corriere riciclate, di grossi camion che percorrono la città per convogliare centinaia di migliaia di persone a piazza della Revolucion. Lo slogan è «tutti uniti, per Cuba, Fidel e Raul e contro l'interferenza degli Usa e dei loro lacché dell'Unione europea e dei mercenari interni». Una sorta di chiamata alle armi.Il mio gruppo di tai chi quan è composto in gran parte di donne, cinquanta-sessantenni, madri e nonne, che ci tengono a partecipare alla sfilata assieme agli altri allievi e maestri della scuola di arti marziali cinesi (sulle pareti del piazzale in cui si svolgono gli allenamenti vi è la scritta vita e salute, armi della Rivoluzione).
Figlie della rivoluzione, sono disposte a una levataccia e a lunghe camminate sotto il sole per sostenerla. Il primo maggio con Fidel è parte dei ricordi, dall'infanzia alla maturità. Anche al presidente Raul non vogliono far mancare l'appoggio.L'intenzione di difendere la Rivoluzione rimane, ma l'umore è ben diverso dal passato. Non sfileranno di fronte al palco di Raul e delle autorità ballando (come nel 1968 quando cantavano rivolte a Fidel somos socialistas bailantes, bailantes), ma preoccupate per il presente ancor più che per il futuro, che si presenta comunque incerto. Sfilano assieme alle decine e decine di migliaia di persone che rappresentano il popolo dell'Avana e più in generale di Cuba, dagli studenti e insegnanti della scuola ai lavoratori della sanità che testimoniano le grandi conquiste della Rivoluzione, ai rappresentanti delle brigate di medici e maestri che lavorano in molti paesi dell'America latina, dagli sportivi e artisti ai lavoratori delle varie corporazione e imprese statali, fino ai reparti ordinati e compatti delle Forze armate rivoluzionarie, gli uomini di Raul, salutati dal presidente con uno sventolio del cappello di paglia.Dal presidente, i cubani non si attendono solo i richiami a unirsi per difendere Cuba dai nuovi tentativi di destabilizzazione provenienti dal potente vicino nordamericano che, questa volta «assieme all'Ue e ai mercenari interni», agita «strumentalmente» il tema dei diritti umani. Né le lodi alla rivoluzione. Quello che vogliono sentire da Raul sono parole che annuncino un cambio por lo mejor, misure che assicurino una vita migliore, ovvero salari che permettano di arrivare alla fine del mese, aperture al lavoro particular (privato) o a cooperative nel settore dei servizi e dell'alimentazione oltre che nell'agricoltura, la possibilità di andare liberamente all'estero. Nei grandi temi, il socialismo cubano - sanità e scuola gratuite, assistenza ai più poveri - per loro va bene. Libertà di espressione, di associazione politica, insomma la questione dei diritti umani, è più materia di mugugno che di esigenze reali. Il vero, e potenzialmente pericoloso, fattore di preoccupazione e malcontento - anche fra i giovani che più guardano agli standard occidentali - è di natura economica.Come dar loro torto: i prezzi aumentano, i prodotti di largo consumo sempre più difficili da trovare. La crisi economica è drammatica, le finanze statali sono al lumicino e le esigenze sono enormi, visto che Cuba importa quasi il 70% di quello che consuma. Patate e fagioli scarseggiano, una libbra (circa mezzo chilo) di riso è passata da 3,5 a 8 pesos (da 18 a 40 centesimi di euro per uno stipendio medio che si aggira sui 15-18 euro al mese), la carne di manzo è un lusso per pochi. La libreta de abastecimiento, che assicura a ogni cubano una serie di prodotti alimentari di base quasi gratuiti, non basta che per un paio di settimane al massimo. La gente lucha e inventa, ovvero si arrangia per arrivare alla fine del mese. Tutti sinonimi di appropriarsi dei beni dello stato, venderli sottobanco, corrompere e essere corrotti. Insomma vi è una grande massa di gente che si vede costretta a muoversi nell'illegalità, a giustificare ruberie col fatto che bisogna arrangiarsi. E spesso a praticarle sono capi, ispettori e via dicendo.Non si tratta di una denuncia fatta dall'opposizione, per altro assai ridotta e fortemente condizionata economicamente da enti governativi nordamericani. Il quadro sopra esposto appare ogni venerdì nelle pagine dedicate alle lettere al direttore di Granma, l'organo del partito comunista. E con altrettanta frequenza nelle lettere a Juventud rebelde. Ne citiamo alcune: «Dinamizzare il modello economico per salvare il modello (socialista, ndr) sociale», scrive A. Orama Munero (Granma del 16 aprile). «Lo Stato deve stimolare le forze produttive, liberarsi dei carichi eccessivi che non può controllare, soprattutto l'egualitarismo (salariale, ndr)» che «frena le forze produttive». «La Rivoluzione ha convertito la maggioranza dei mezzi di produzione in proprietà sociale. Cambiare questa situazione sarebbe un errore», afferma M.C. Aledo Roller (Granma del 9 aprile). Però «se vi fossero molti più calzolai, muratori, carpentieri tassisti, e la lista può essere infinita, che lavorano per se stessi e producono beni e servizi senza sfruttare ed essere sfruttati.. questo non significherebbe che stiamo tornando al capitalismo» . «I cambi creano resistenza» nella burocrazia del partito-stato: «È necessario un cambio nella sfera economica, di questo nessuno dubita. Soprattutto nella produzione di alimenti il popolo chiede risultati, cibo. Raul Castro l'ha detto chiaro che si tratta di una questione di sicurezza nazionale: mettiamo fine alla corruzione, all'assenteismo, alla burocrazia... affrontiamo i nostri problemi e il nostro Socialismo continuerà a essere un esempio per tutto il mondo» (R. Garcia Macìa, Granma del 30 aprile). Fin dalla sua nomina a nuovo presidente, il 24 febbraio 2008, Raul Castro ha dimostrato che il suo stile di governo è improntato al pragmatismo. Ha eliminato proibizioni assurde (possesso di cellulari e computer, affitto di auto, possibilità di ospitarsi in alberghi, di gestire taxi privati..), ha criticato l'egualitarismo, affermando che non vi sarebbe stata uguaglianza di salari, ma uguaglianza di opportunità, e ha avviato una grande redistribuzione delle terre incolte dello Stato, della quale hanno beneficiato centomila famiglie.Poco a poco è iniziata a emergere la Cuba reale, al di là della propaganda. E il quadro era critico, come quello esposto dalle lettere al Granma. Per affrontarla, il nuovo presidente sembra volersi muovere sulla base di riforme che riducano i «benefici per tutti» (la libreta de abastecimiento, i comedores obreros) e aumentino il reddito a chi produce (eliminazione del tetto salariale, possibilità di un secondo lavoro, distribuzione di terre). Solo che si tratta di un progetto non completamente (e chiaramente) delineato e che incontra difficoltà (se non opposizione) nell'elefantesca burocrazia, nell'abitudine al lavoro garantito (mentre Raul ha affermato che vi è un milione di posti di lavoro improduttivi). In questo modo i tagli avanzano più in fretta della crescita dei salari, secondo il sindacalista Salvador Valdés. La crisi economica globale e la scarsità di liquidità finanziaria dello Stato ha poi reso necessaria una sorta di congelamento dei debiti esteri (alla fine dell'anno scorso era stato saldato un terzo del debito estero) con conseguenti tagli negli investimenti esteri nel Paese e nell'importazione di beni.Dunque le riforme vi sono state. Ma la percezione della gran parte dei cubani è che non siano sufficienti. Che il più resti da fare. La gran parte dei cubani chiede «cambiamenti attuati con urgenza», ha ribadito giorni fa anche la massima autorità della chiesa cubana, il cardinale Jaime Ortega. Per l'arcivescovo dell'Avana, a Cuba esiste un «consenso nazionale» sulla necessità di cambiamenti. E il fatto che si ritardino «produce impazienza e malessere nella popolazione». Le mie compagne di tai chi, come la gran parte dei manifestanti, dopo la lunga attesa e la sfilata ritornano a casa sudate e stanche, ma anche più allegre. Alle richieste di Raul e della Rivoluzione hanno risposto ancora una volta: presente! Senza la retorica che troppo di frequente abita nei media ufficiali hanno dimostrato di voler difendere «le conquiste del socialismo», il fatto che i loro figli «sono diventati medici senza spendere un centesimo», che possono dirsi orgogliose di abitare un paese che non si piega, «non si mette in ginocchio di fronte alle pressioni esterne», come recitavano gli slogan in piazza della Rivoluzione. Ora però chiedono a Raul di ascoltare la loro voce, le loro speranze ed esigenze di cambiamenti.

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