domenica 16 gennaio 2011

Seremos como el Che! Grazie compagni di Mirafiori.

Davanti a tutti i pericoli, davanti a tutte le minacce, le aggressioni, i blocchi, i sabotaggi, davanti a tutti i seminatori di discordia, davanti a tutti i poteri che cercano di frenarci, dobbiamo dimostrare, ancora una volta, la capacità del popolo di costruire la sua storia. Ernesto 'Che' Guevara (da Opere, v. 3, pt. 1)


Nonostante il ricatto di Marchionne, la campagna mediatica monocorde e l’appoggio bipartisan di PD e PDL GLI OPERAI DI MIRAFIORI HANNO VOTATO NO. Su 5139 votanti 2735 si sono espressi per il SI, 2325 per il NO, mentre le schede bianche o nulle sono state 79. Ma se a questi numeri sottraiamo il voto dei colletti bianchi, dei capi, degli ingegneri, dei cronometristi, insomma di chi campa sulle spalle di chi lavora, allora la situazione si ribalta. Perchè, dati alla mano, gli impiegati hanno votato compatti per il SI, 421 contro 20. Per cui se sottraiamo questi numeri a quelli complessivi si possono facilmente esplicitare i dati del voto operaio: 2305 NO e 2314 SI. Crediamo che questo sia un risultato enorme, soprattutto se si considerano le condizioni di ricatto in cui è maturato, un punto da cui ripartire. Per il padronato e per i suoi servi si tratta invece di una vittoria di Pirro, uno smacco. Perchè al di la delle dichiarazioni di facciata questi signori sanno bene che in una situazione del genere la fabbrica è difficilmente governabile. Perchè anche chi ha votato a favore dell’accordo lo ha fatto perchè costretto dalla paura e perchè il sindacalismo giallo ha dimostrato ancora una volta di non rappresentare o controllare quasi nessuno. L’imperatore Marchionne sarà quindi costretto a fare i conti con i ribelli, come nella cartografia dell’antica Roma negli uffici del Lingotto dopo Pomigliano compariranno leoni anche sopra Mirafiori, per indicare che quella fabbrica non è stata pacificata, che dentro ci sono operai che hanno lottato e che continueranno a farlo.Venceremos!

Dal sito www.ilmanifesto.it – di Rocco Di Michele.

Il risultato che il “fronte del no”, prima del voto, avrebbe sottoscritto senza problemi come una vittoria. Ma che dopo i quattro seggi del reparto montaggio – i “no” avevano prevalso in modo decisamente inatteso col 53% – suona come una beffa. Alla fine i “sì” hanno prevalso solo grazie al voto degli impiegati (421 favore, 20 contro), i meno toccati dall”accordo” nelle condizioni di lavoro.
La conclusione è giunta verso le sette di mattina, dopo una lunga notte in cui le operazioni sono andate decisamente a rilento anche a causa del “giallo” della sparizione di 58 schede al seggio numero 8, uno dei quattro del reparto montaggio. Poi si è visto che in realtà la commissione elettorale aveva sbagliato al momento della vidimazione delle schede, timbrandone appunto 58 in più. Questo dato cambia anche quello sull'affluenza: invece del 96,07% registrato inizialmente, in totale ha votato il 94,89 degli aventi diritto (5,154 lavoratori).
Dunque, come ha detto a caldo il segretario nazionale della Fiom, Giorgio Airaudo, «bisogna apprezzare il grande coraggio e l'onestà di una grandissima parte dei lavoratori di Mirafiori che hanno detto di no all'accordo. Gli operai delle linee di montaggio hanno detto di no. Di fatto sono stati decisivi gli impiegati che a Mirafiori sono in gran parte capi e struttura gerarchica».
Come e meglio di Pomigliano (dove i “no” avevano raggiunto un 36% impensabile all'inizio), il risultato non permette a Marchionne di prendere cappello e chiudere la fabbrica, ma gli consegna un corpo sociale che nella sua maggioranza “vera” (gli operai di linea, quelli che “fanno” la macchina) non è affatto piegato al suo volere e lo ha detto con forza.
Per poter dare una valutazione seria di questo risultato occore ricordare che il fronte dei sindacati pro-accordo (Fim Cisl, Uilm, Ugl, Fismic) aveva prima di ieri il 71% dei voti nelle Rsu, mentre il “fronte del no” (Fiom, in primo luogo, più Cobas e Usb) soltanto il 29. Si è quindi verificato un “quasi” perfetto rovesciamento degli equilibri interni a questa fabbrica, da molti anni dipinta come “rassegnata” e ormai estranea al conflitto sociale.
Se riguardiamo il film dei giorni scorsi, fino al voto, dobbiamo ricordare le centinaia di persone, uomini e donne spesso in lacrime, che spiegavano alle telecamere che avrebbero detto “sì” solo perché messi di fronte a un ricatto in piena regola, un autentico “o la borsa o la vita”. Dobbiamo quindi sapere tutti – Marchionne, i “sindacati complici”, l'inguardabile classe politica di questo paese – che persino in questo microcosmo di 5.400 persone messe con le spalle al muro non trova “consenso” autentico uno imbarbarimento delle vite e un annullamento dei diritti che vuol riportare il lavoro nelle condizioni degli inizi dell'800.
Di fatto dunque, e non per paradosso, si tratta del risultato peggiore possibile per i sostenitori di questa “modernizzazione” a rovescio: dovete fare quel che avete detto, ma sapendo di avere la maggioranza contro. Qui, nel paese del bunga-bunga e dell'affidarsi a qualche santo.
Da questo dato prende una spinta decisiva anche tutto il movimento che va preparando lo sciopero generale dei metalmeccanici del 28 gennaio: “vincere è possibile”, come aveva spiegato Maurizio Landini prima del voto. Bisogna smetterla di farsi inchiodare dalla paura e dal pessimismo sistematico. In fondo, ci sono già riusciti a Tunisi...

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