domenica 28 febbraio 2010

Il Circolo di Senigallia sul caso Zapata.

Alla Segreteria Nazionale
Al presidente dell’Associazione


La morte dopo 85 giorni di sciopero della fame di Orlando Zapata Tamayo “ è una grande tragedia per la sua famiglia, per il movimento dei diritti umani a Cuba e per il governo cubano” questa dichiarazione è di Elizardo Sanchez della Commissione cubana dei diritti umani , organizzazione ritenuta illegale ma tollerata dal governo dell’Avana. Potremo chiamare Sanchez mercenario al soldo degli USA o più semplicemente gusano ma almeno per questa volta, secondo noi, ha ragione. La morte di Zapata è una tragedia che, oltre ad alimentare le solite critiche interessate delle lobby mafiose di Miami, dell’ amministrazione USA (ora è il turno di quella del nobel per la pace con l’elmetto Obama), dell’UE e degli oppositori interni come la furba bloguera Yoani Sanchez nuova star internazionale della dissidenza cubana, soprattutto si ritorcerà contro la credibilità di Cuba, del suo governo e di chi, come noi, vede nel suo modello di società la critica più concreta al nostro malato capitalismo e quindi impiega il proprio tempo e spende la propria passione per sostenere questo.
Limitarsi a denunciare le strumentalizzazioni Usa contro Cuba e ricordare le violenze che si commettono a Guantanamo, l’ingiustizia subita dai 5 Eroi Cubani reclusi da quasi 12 anni nelle carceri Nordamericane o il fatto che nelle nostre carceri nel 2010 si sono registrati già 10 casi di suicidio senza affrontare i problemi che questa morte comporta come ha fatto in un comunicato l’ufficio stampa della nostra Associazione (http://www.italia-cuba.it/associazione/segreteria/comunica_copy(47).htm) a noi del Circolo di Senigallia che pure siamo da sempre al fianco della Rivoluzione cubana nel sostenere che “un altro mondo è possibile” sembra un atteggiamento quanto meno pretestuoso. Le violazioni dei diritti umani si sommano e si condannano, non si compensano. Secondo noi, l’interrogativo che oggi l’Associazione di Amicizia Italia-Cuba dovrebbe porre al governo cubano è se, in questo “altro mondo” per la cui realizzazione ci battiamo insieme fin dal 1961, sia giusto che un essere umano possa accumulare 36 anni di reclusione per reati d’opinione ed essere lasciato morire come è morto Orlando Zapata.
Senigallia, 26 febbraio 2010.
Il Direttivo del Circolo “Sado Sadovski” di Senigallia. Leggi tutto...

venerdì 12 febbraio 2010

HONDURAS: SEMI DI VERITA’


di Fulvio Grimaldi
Dice il superstizioso che il 17 non porta bene. Noi che superstiziosi non siamo abbiamo confermato la fallacia dell’assunto: il 17 porta benissimo per un’informazione che non sia serva o complice delle balle dell’Impero. Specie se si tratta di 17 su 20. Infatti, in 20 giorni, con Esly Banegas, dirigente sindacale e membra del direttivo del Fronte Nazionale di Resistenza Popolare in Honduras, abbiamo percorso qualche migliaio di chilometri per portare a quanta più gente possibile la storia di un colpo di Stato, della conseguente dittatura, della straordinaria resistenza di un popolo a questo inizio della controffensiva Usa tesa a recuperare ciò a cui, a partire dalla rivoluzione cubana, l’imperialismo aveva dovuto rinunciare nel Continente. Una storia pervicacemente occultata o deformata dall’informazione ufficiale e dal mondo politico. E siamo orgogliosi del fatto che di queste 17 iniziative, dal Nord al Sud del paese, ben dieci erano state volute e magnificamente organizzate dai circoli di Italia-Cuba. Segno che in questa trincea, presieduta dai compagni dei nostri circoli, la coscienza internazionalista e la determinazione a stare accanto ai grandi movimenti di liberazione ed emancipazione dell’America Latina è viva più che mai, a dispetto di abbandoni, perdite di memoria, ignavia.

Nell’oceano gelato del silenzio su ciò che non aggrada ai grandi media e ai loro padrini, il nostro tour ha avuto la funzione del rompighiaccio, portando ovunque le immagini e la viva voce della testimone di uno degli accadimenti più drammatici e geopoliticamente significativi verificatisi nello scenario latinoamericano. Il 28 giugno dell’anno scorso, in Honduras, si è tornati di colpo all’11 settembre del 1973, giorno che segnò per l’America Latina, con l’uccisione di Salvador Allende e l’installazione in Cile del dittatore Augusto Pinochet, l’inizio della nixoniana e kissingeriana “Operazione Condor”, accompagnata da dittature filo-yankee in tutto il Cono Sud. Dittature sanguinarie che, con le successive oligarchie pseudo democratiche, dovevano imporre nel “cortile di casa degli Usa” la predatrice economia neoliberista ambita della multinazionali, dal FMI e dalla Banca Mondiale. Al termine di quell’operazione, nei paesi dell’America Latina la ricchezza si era in media polarizzata in questi termini: il 20% della popolazione possedeva l’80% della ricchezza, l’80% di arrabattava ai margini della sopravvivenza con il residuo 10%. Un quadro tragico, di oppressione, fame, miseria, devastazione economica, sociale, culturale, morte, nel quale la sola Cuba resisteva indefessa, sia nella sua lotta in difesa delle grandi conquiste della rivoluzione, sovranità e giustizia sociale, sia nell’intervento, ovunque nel mondo ce ne fosse il bisogno, per la promozione di sanità, istruzione, benessere.

Quello il mio documentario, girato nell’immediato dopo-golpe, in piena esplosione di rivolta delle masse honduregne, e il racconto di una testimone impegnata in prima fila nella resistenza alla dittatura portavano al pubblico italiano era la storia dell’esordio di una nuova cospirazione alla Kissinger, un’ “Operazione Condor II”, lanciata da Washington in risposta alla travolgente avanzata, nel segno del modello cubano e della nuova spinta bolivariana del Venezuela, di milioni di persone del Cono Sud verso la sovranità dei loro paesi e l’uscita dall’esclusione e dallo sfruttamento. La cacciata del presidente Manuel Zelaya, colpevole di aver attuato riforme economiche e sociali a vantaggio dei ceti emarginati (l’Honduras è il secondo paese più povero del Continente, dopo Haiti), di aver ripreso rapporti di amicizia con Cuba (i cui medici e insegnanti erano presenti a centinaia nel paese), di essere entrato nell’Alleanza Bolivariana dei Popoli della Nostra America (ALBA), era stata seguita dalla piena cilenizzazione dell’Honduras. Esly ha commentato le immagini della brutalità repressiva del regime sotto l’usurpatore Roberto Micheletti, parlandoci delle cariche alle insopprimibili manifestazioni di protesta, giorno dopo giorno per 7 mesi, degli squadroni della morte composti anche da paramilitari colombiani e guidati da esperti del Mossad israeliano, degli assassinii, sequestri di persona, torture, stupri di prigioniere politiche, sparizioni, violazioni di tutti i diritti umani, tutti compiuti nel silenzio omertoso di quella che si permette di definirsi “Comunità internazionale”, pur rappresentando meno di un ottavo dell’umanità.

Ha smascherato il complotto progettato per una cosmesi “democratica” del golpe, attraverso finti negoziati, però sistematicamente sabotati dai gorilla della giunta e dagli inviati di Hillary Clinton, e finte elezioni (29 novembre), alle quali, sotto la minaccia delle baionette e dei licenziamenti, aveva partecipato appena il 30% degli aventi diritto. Ne è uscito un nuovo fantoccio dell’oligarchia, Porfirio Pepe Lobo, dell’ultradestro Partido Nacional, ma la risposta del popolo si è vista in un boicottaggio elettorale, indetto dal Fronte della Resistenza, che ha visto la stragrande maggioranza rifiutare il ricatto e la frode imposti dalla dittatura.

Ma Esly ci ha anche esaltato alla narrazione dell’incredibile resistenza di massa, del tutto inattesa in un popolo che, dalle stragi Contras degli anni’80, quando un’intera generazione era stata annientata, non era più apparso sulla scena della politica nazionale e internazionale. Il 28 giugno 2009 è esploso quanto si era accumulato di collera e presa di coscienza in genti, indigene, creole, meticce, lasciate ai margini della vita e oltre quelli della dignità, da quando la “repubblica delle banane” dell’United Fruits, oggi Chiquita, era servita, oltre alla depredazione multinazionale e oligarchica di tutte le sue ricchezze, come base d’assalto Usa contro Cuba (Baia dei Porci), il Nicaragua dei sandinisti, il Salvador del Fronte Farabundo Martì, il Guatemala degli inenarrabili massacri dei regimi fascisti istigati dagli Usa. Ci ha spiegato come ci fosse stato un precedente della rinascita. Nel 1998 l’uragano Mitch devastò il paese e produsse migliaia di vittime. Lo Stato, detto “delle 10 famiglie” che depredano il paese, rimase inerme e inetto davanti al disastro. Si mossero invece una miriade di organizzazioni locali o di categoria, fino allora impegnate nelle rivendicazioni di settore, che si unirono in un unico sforzo coordinato, di riparo ai danni, di soccorso ai feriti e a senzacasa, di riconnessione dei fili di una comunità nazionale frantumata dalla strategia padronale e dalla furia naturale. Un’unità di interesse e di visione che è rimasta e dalla quale è fiorito spontaneamente quel gran concorso di uomini, donne, associazioni, sindacati, collettivi, lavoratori, contadini, indigeni, artisti, insegnanti, femministe, studenti, che ha saputo opporre ai golpisti e alle mene imperialiste una forza che ha sorpreso il mondo e che, perciò, gran parte del mondo ha taciuto.

Ai circoli che hanno voluto, con ammirabile impegno e generosità, ospitare la nostra iniziativa, è venuto in cambio la consapevolezza del significato che il golpe ha per l’America Latina tutta e per il mondo. In un momento in cui si rinnova e si rafforza l’assedio Usa a Cuba, ancora una volta soffocata dal blocco, si accerchia il Venezuela bolivariano con sette basi nella colonia Usa Colombia, quattro in Panama, due nelle Antille Olandesi, si provocano movimenti destabilizzanti contro i governi progressisti di Venezuela, Bolivia, Ecuador, Paraguay, Nicaragua, si occupa militarmente Haiti con il pretesto del terremoto, anche per porsi a un tiro di sasso da Cuba, si attiva la IV Flotta Usa contro le coste caraibiche e sudamericane, il complotto contro l’Honduras membro dell’ALBA segnala lo scatenamento dell’offensiva nordamericana per riprendersi ciò che i popoli hanno strappato all’impero. Per gli Usa si tratta di spegnere quella luce in fondo al tunnel che, a partire da Cuba e dal Che, l’America Latina aveva acceso a beneficio di tutti i popoli che soffrono l’oppressione, le rapine, l’aggressione, dei potenti del mondo. Quando, a Bracciano, ha chiuso il suo viaggio con il Circolo della Tuscia, organizzatore del tour, Esly ci ha fatto una richiesta: “Non abbandonateci”. Infatti, non ci conviene.
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sabato 6 febbraio 2010

Il popolo honduregno ha scelto la piazza.


Multitudinaria mobilitazione della Resistenza oscura la cerimonia d’insediamento e saluta Zelaya
di Giorgio Trucchi

Centinaia di migliaia di honduregni hanno marciato nuovamente per le strade di Tegucigalpa e San Pedro Sula, inviando un messaggio molto chiaro al presidente Porfirio Lobo Sosa: non ci potrà essere riconciliazione senza una giusta punizione per i golpisti e l’inizio di un percorso che conduca alla rifondazione del paese attraverso un Costituente. Il presidente Manuel Zelaya è volto verso la Repubblica Dominicana insieme alla sua famiglia, promettendo di far ritorno nel paese molto presto e di continuare a lavorare per la rivendicazione del suo popolo..
"Impressionante" è la parola esatta per descrivere la multitudinaria marcia che è partita dall'Università Pedagogica di Tegucigalpa, ha percorso vari chilometri ed è arrivata all'aeroporto di "Toncontín", nel punto esatto dove lo scorso 5 luglio è stato ucciso per mano dell'esercito il giovane Isis Obed Murillo, la prima delle tante vittime di questo colpo di Stato.
L'originalità e la fantasia del popolo honduregno sono tornate a risplendere per mezzo di cartelli, striscioni, fantocci con le sembianze di quelle persone che la popolazione ha identificato con il colpo di Stato e con slogan gridati a squarciagola senza un solo secondo di pausa.
Sorprendente la differenza tra questa moltitudine allegra, ma allo stesso tempo rabbiosa e cosciente di avere cambiato la rotta di questo paese, e la triste e desolata cerimonia di investitura del nuovo presidente Porfirio Lobo, il quale ha cercato nuovamente di convincere il mondo che l’Honduras sta iniziando a tornare alla normalità grazie ad un presunto processo di riconciliazione.
“Oggi il popolo è tornato in piazza per chiedere la rifondazione del paesee non solo per salutare il presidente Manuel Zelaya – ha detto Bertha Cáceres, dirigente del Consiglio civico delle organizzazioni popolari ed indigene dell’Honduras, Copinh –.
La cosa più importante è che è cresciuta la coscienza del popolo honduregno ed è evidente nel modo in cui nelle comunità la gente sta lavorando per questo obiettivo. Qualcosa è cambiato e la gente ora chiede ai propri dirigenti di porre attenzione ed occuparsi di questa battaglia ideologica. Questo è sicuramente uno dei valori più importanti di questa esperienza di resistenza.
In questo momento – ha continuato Cáceres – nello stadio i golpisti vogliono far credere che nel paese si vive una situazione di calma e tranquillità, che non ci sono problemi e nemmeno richieste da parte della popolazione.
Tuttavia la gente si è svegliata, ha alzato la testa e continua a resistere nonostante la repressione. Questa capacità di reazione ha sorpreso il mondo.
È un elemento che non può essere sottovalutato, perché questo popolo sorprenderà ancora opponendosi al tentativo di installare un progetto di dominazione. Un progetto che ha sfidato e che continuerà a farlo”, ha concluso la dirigente del Copinh.
Arrivando all'aeroporto, nella piazza ribattezzata “Isis Obed Murillo” dal popolo in resistenza, la gente si è concentrata nelle vicinanze del palco, a poche decine di metri dalla pista da cui sarebbe decollato il presidente Manuel Zelaya.
Durante una breve ed emotiva cerimonia, la ministra del Lavoro del governo Zelaya, Mayra Mejía, ha consegnato, a nome del Presidente, un riconoscimento alle due "nonne" della Resistenza, Dionisia Díaz e Yolanda Chavarría, al bambino Óscar Montesinos, il quale, nonostante i suoi 10 anni d’età, ha arringato la folla nominando, uno ad uno, le vittime del colpo di Stato, ed al dirigente sindacale e membro della conduzione collegiale del Fronte nazionale di resistenza popolare, Fnrp, Juan Barahona.
“È stata una mobilitazione gigantesca e pacifica, con la quale stiamo esigendo al nuovo erede del colpo di Stato che convochi una Assemblea Costituente – ha detto Barahona dal palco –.
Allo stesso tempo stiamo dicendo al popolo honduregno ed al mondo che la Resistenza è la forza maggioritaria che abbiamo in Honduras ed è anche l’unica speranza che abbiamo per un cambiamento nel paese.
Non riconosciamo questo governo in quanto eletto durante un regime illegale, golpista e repressore. Staimo anche chiarendo alla gente – ha continuato Barahona – che non stiamo autorizzando nessun appartenente alla Resistenza a fare parte del governo o di qualsiasi altro Potere dello Stato.
Segnaliamo infine la vergognosa decisione dei golpisti di assolvere i vertici dell’esercito e di decretare un'amnistia generalizzata, che rappresenta uno strumento per generare oblio, impunità, perdono e amnesia collettiva. Il popolo honduregno non lo permetterà ed esigiamo che i criminali del colpo di Stato vengano puniti, altrimenti non potrà esserci riconciliazione”, ha affermato il dirigente del Fnrp.
Si sono vissuti anche momenti di tensione quando un numeroso contingente di militari e poliziotti si è avvicinato minacciosamente al punto di concentrazione della marcia, accompagnato da due camion lancia acqua. Dopo un'intensa negoziazione i corpi repressivi hanno deciso di desistere dalla provocazione.
Nel pomeriggio si è poi diffusa la notizia che il presidente Zelaya era uscito dall'ambasciata del Brasile con la sua famiglia e accompagnato dal presidente della Repubblica Dominicana, Leonel Fernández e dal presidente Porfirio Lobo, si era avviato verso l’aeroporto.
Una lunga carovana di veicoli è poi entrata nel recinto della Forza Aerea ed il presidente Manuel Zelaya è partito verso il paese caraibico, mentre una moltitudine di gente emozionata salutava e cantava sventolando le proprie bandiere.
“Tornerà, sono sicuro che tornerà per integrarsi nuovamente a questa lotta del popolo honduregno, perché quello di oggi è solo il principio”, ha commentato un signore di una certa età guardandomi commosso negli occhi.
Lentamente la gente è poi defluita, la maggior parte camminando allegra, con un'energia contagiosa, mentre dal palco gli Artisti in Resistenza continuavano a cantare e ballare.
Un nuovo Honduras è nato e ha cominciato a camminare.
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lunedì 1 febbraio 2010

Honduras resiste! ...anche qui.


L'iniziativa "Honduras resiste!" svolta ieri al circolo ARCI "Germontari" di Ancona è stata un vero successo. L'interesse mostrato dalle numerose persone presenti alla visione del documentario "Il ritorno del Condor" sul colpo di stato militare avvenuto nel giugno scorso nel piccolo stato centro-americano ed i molti interventi e domande che ci sono state nel successivo dibattito hanno molto colpito e commosso Esly Banegas, dirigente del Fronte Naz.le di Resistenza al golpe. Nel riaccompagnarli trafelati al treno che li ha portati alla tappa successiva di Bologna, Esly e Fulvio ci hanno detto che giornate come quella di sabato scorso sono un'iniezione di energia e di rinnovato entusiasmo per continuare il loro lungo tour che ormai da più di due settimane procede serratissimo attraverso l'Italia. Sentire questo è stata per noi la soddisfazione più grande. Salutiamo ancora una volta Esly e speriamo di aver dato il nostro modesto contributo per far conoscere quello che sta avvenendo nel suo piccolo-grande Paese nella più totale e complice disinformazione dei media. Di seguito riportiamo un articolo di Fulvio Grimaldi, giornalista, autore del documentario e nostro vecchio amico.

"Scivolando su sconfinate distese bianche, attraversando
muraglie di gelo,dribblando fitte cascate di fiocchi di neve,
abbiamo, si parva licet, congiunto all'Honduras la Romagna e
le Marche, sempre sotto gli auspici di bravissimi circoli dell'
Associazione Nazionale Italia-Cuba che, con la loro sensibilità
internazionalista e la loro dinamicità organizzativa dovrebbero
far arrossire associazioni e partiti che si proclamano cultori
della solidarietà antimperialista e che, al pari, degli ambienti
mediatici e politici omertosi nei confronti dei golpisti e loro
padrini, scelgono un silenzio e un ignavia che li rendono
complici passivi.
Così c'è stata una bella iniziativa del Circolo di
Ravenna, da sempre uno dei più creativi d'Italia, con fitto
dibattito che si è naturalmente esteso alle misere condizioni
della sinistra italiana, incapace di cogliere il significato
epocale e drammatico di quanto sta avvenendo in Honduras,
Haiti e America Latina tutta.
Parimenti ad Ancona, come a Ravenna in un Circolo Arci,
il Circolo di Italia-Cuba di Senigallia (e di metà Marche)
ha fatto miracoli di mobilitazione, facendo traboccare
un'enorme sala - il bocciodromo - di quasi cento persone,
moltissime implumi, vale a dire ampiamente sotto
l'avanzata età media che ormai caratterizza la
nostra associazione e un po' quanto sopravvive a
sinistra del PD.
Una vera folla, appassionata di informazioni
e di comprensione di quegli avvenimenti che paiono
lontani, e invece per chi non ha perso uno sguardo
comprensivo, globale, ci interessano da vicinissimo:
il processo del nemico non è differente, se non nei
modi e tempi, da una parte e dall'altra dell'oceano.
A coronamento dell'impegno internazionalista,
un vero trionfo gastronomico a base di cinghiale.
Alla luce di quanto ha vissuto finora,
nei nostri 12 incontri, la compagna honduregna Esly
ha l'impressione che la solidarietà
con i popoli aggrediti dall'imperialismo e dal
capitalismo coi cingoli sia una specie di tsunami in Italia.
Fosse vero.
Leggiamoci le incessanti esternazioni dei nostri
sinistri e forniamoci della lampada di Diogene se
vogliamo riuscire a trovare le parole internazionalismo,
imperialismo, Nato o la parola piccolina Honduras.
Avanti, oggi tocca ai felsinei."
Fulvio Leggi tutto...