venerdì 12 febbraio 2010
HONDURAS: SEMI DI VERITA’
di Fulvio Grimaldi
Dice il superstizioso che il 17 non porta bene. Noi che superstiziosi non siamo abbiamo confermato la fallacia dell’assunto: il 17 porta benissimo per un’informazione che non sia serva o complice delle balle dell’Impero. Specie se si tratta di 17 su 20. Infatti, in 20 giorni, con Esly Banegas, dirigente sindacale e membra del direttivo del Fronte Nazionale di Resistenza Popolare in Honduras, abbiamo percorso qualche migliaio di chilometri per portare a quanta più gente possibile la storia di un colpo di Stato, della conseguente dittatura, della straordinaria resistenza di un popolo a questo inizio della controffensiva Usa tesa a recuperare ciò a cui, a partire dalla rivoluzione cubana, l’imperialismo aveva dovuto rinunciare nel Continente. Una storia pervicacemente occultata o deformata dall’informazione ufficiale e dal mondo politico. E siamo orgogliosi del fatto che di queste 17 iniziative, dal Nord al Sud del paese, ben dieci erano state volute e magnificamente organizzate dai circoli di Italia-Cuba. Segno che in questa trincea, presieduta dai compagni dei nostri circoli, la coscienza internazionalista e la determinazione a stare accanto ai grandi movimenti di liberazione ed emancipazione dell’America Latina è viva più che mai, a dispetto di abbandoni, perdite di memoria, ignavia.
Nell’oceano gelato del silenzio su ciò che non aggrada ai grandi media e ai loro padrini, il nostro tour ha avuto la funzione del rompighiaccio, portando ovunque le immagini e la viva voce della testimone di uno degli accadimenti più drammatici e geopoliticamente significativi verificatisi nello scenario latinoamericano. Il 28 giugno dell’anno scorso, in Honduras, si è tornati di colpo all’11 settembre del 1973, giorno che segnò per l’America Latina, con l’uccisione di Salvador Allende e l’installazione in Cile del dittatore Augusto Pinochet, l’inizio della nixoniana e kissingeriana “Operazione Condor”, accompagnata da dittature filo-yankee in tutto il Cono Sud. Dittature sanguinarie che, con le successive oligarchie pseudo democratiche, dovevano imporre nel “cortile di casa degli Usa” la predatrice economia neoliberista ambita della multinazionali, dal FMI e dalla Banca Mondiale. Al termine di quell’operazione, nei paesi dell’America Latina la ricchezza si era in media polarizzata in questi termini: il 20% della popolazione possedeva l’80% della ricchezza, l’80% di arrabattava ai margini della sopravvivenza con il residuo 10%. Un quadro tragico, di oppressione, fame, miseria, devastazione economica, sociale, culturale, morte, nel quale la sola Cuba resisteva indefessa, sia nella sua lotta in difesa delle grandi conquiste della rivoluzione, sovranità e giustizia sociale, sia nell’intervento, ovunque nel mondo ce ne fosse il bisogno, per la promozione di sanità, istruzione, benessere.
Quello il mio documentario, girato nell’immediato dopo-golpe, in piena esplosione di rivolta delle masse honduregne, e il racconto di una testimone impegnata in prima fila nella resistenza alla dittatura portavano al pubblico italiano era la storia dell’esordio di una nuova cospirazione alla Kissinger, un’ “Operazione Condor II”, lanciata da Washington in risposta alla travolgente avanzata, nel segno del modello cubano e della nuova spinta bolivariana del Venezuela, di milioni di persone del Cono Sud verso la sovranità dei loro paesi e l’uscita dall’esclusione e dallo sfruttamento. La cacciata del presidente Manuel Zelaya, colpevole di aver attuato riforme economiche e sociali a vantaggio dei ceti emarginati (l’Honduras è il secondo paese più povero del Continente, dopo Haiti), di aver ripreso rapporti di amicizia con Cuba (i cui medici e insegnanti erano presenti a centinaia nel paese), di essere entrato nell’Alleanza Bolivariana dei Popoli della Nostra America (ALBA), era stata seguita dalla piena cilenizzazione dell’Honduras. Esly ha commentato le immagini della brutalità repressiva del regime sotto l’usurpatore Roberto Micheletti, parlandoci delle cariche alle insopprimibili manifestazioni di protesta, giorno dopo giorno per 7 mesi, degli squadroni della morte composti anche da paramilitari colombiani e guidati da esperti del Mossad israeliano, degli assassinii, sequestri di persona, torture, stupri di prigioniere politiche, sparizioni, violazioni di tutti i diritti umani, tutti compiuti nel silenzio omertoso di quella che si permette di definirsi “Comunità internazionale”, pur rappresentando meno di un ottavo dell’umanità.
Ha smascherato il complotto progettato per una cosmesi “democratica” del golpe, attraverso finti negoziati, però sistematicamente sabotati dai gorilla della giunta e dagli inviati di Hillary Clinton, e finte elezioni (29 novembre), alle quali, sotto la minaccia delle baionette e dei licenziamenti, aveva partecipato appena il 30% degli aventi diritto. Ne è uscito un nuovo fantoccio dell’oligarchia, Porfirio Pepe Lobo, dell’ultradestro Partido Nacional, ma la risposta del popolo si è vista in un boicottaggio elettorale, indetto dal Fronte della Resistenza, che ha visto la stragrande maggioranza rifiutare il ricatto e la frode imposti dalla dittatura.
Ma Esly ci ha anche esaltato alla narrazione dell’incredibile resistenza di massa, del tutto inattesa in un popolo che, dalle stragi Contras degli anni’80, quando un’intera generazione era stata annientata, non era più apparso sulla scena della politica nazionale e internazionale. Il 28 giugno 2009 è esploso quanto si era accumulato di collera e presa di coscienza in genti, indigene, creole, meticce, lasciate ai margini della vita e oltre quelli della dignità, da quando la “repubblica delle banane” dell’United Fruits, oggi Chiquita, era servita, oltre alla depredazione multinazionale e oligarchica di tutte le sue ricchezze, come base d’assalto Usa contro Cuba (Baia dei Porci), il Nicaragua dei sandinisti, il Salvador del Fronte Farabundo Martì, il Guatemala degli inenarrabili massacri dei regimi fascisti istigati dagli Usa. Ci ha spiegato come ci fosse stato un precedente della rinascita. Nel 1998 l’uragano Mitch devastò il paese e produsse migliaia di vittime. Lo Stato, detto “delle 10 famiglie” che depredano il paese, rimase inerme e inetto davanti al disastro. Si mossero invece una miriade di organizzazioni locali o di categoria, fino allora impegnate nelle rivendicazioni di settore, che si unirono in un unico sforzo coordinato, di riparo ai danni, di soccorso ai feriti e a senzacasa, di riconnessione dei fili di una comunità nazionale frantumata dalla strategia padronale e dalla furia naturale. Un’unità di interesse e di visione che è rimasta e dalla quale è fiorito spontaneamente quel gran concorso di uomini, donne, associazioni, sindacati, collettivi, lavoratori, contadini, indigeni, artisti, insegnanti, femministe, studenti, che ha saputo opporre ai golpisti e alle mene imperialiste una forza che ha sorpreso il mondo e che, perciò, gran parte del mondo ha taciuto.
Ai circoli che hanno voluto, con ammirabile impegno e generosità, ospitare la nostra iniziativa, è venuto in cambio la consapevolezza del significato che il golpe ha per l’America Latina tutta e per il mondo. In un momento in cui si rinnova e si rafforza l’assedio Usa a Cuba, ancora una volta soffocata dal blocco, si accerchia il Venezuela bolivariano con sette basi nella colonia Usa Colombia, quattro in Panama, due nelle Antille Olandesi, si provocano movimenti destabilizzanti contro i governi progressisti di Venezuela, Bolivia, Ecuador, Paraguay, Nicaragua, si occupa militarmente Haiti con il pretesto del terremoto, anche per porsi a un tiro di sasso da Cuba, si attiva la IV Flotta Usa contro le coste caraibiche e sudamericane, il complotto contro l’Honduras membro dell’ALBA segnala lo scatenamento dell’offensiva nordamericana per riprendersi ciò che i popoli hanno strappato all’impero. Per gli Usa si tratta di spegnere quella luce in fondo al tunnel che, a partire da Cuba e dal Che, l’America Latina aveva acceso a beneficio di tutti i popoli che soffrono l’oppressione, le rapine, l’aggressione, dei potenti del mondo. Quando, a Bracciano, ha chiuso il suo viaggio con il Circolo della Tuscia, organizzatore del tour, Esly ci ha fatto una richiesta: “Non abbandonateci”. Infatti, non ci conviene.
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