domenica 15 marzo 2009

da il manifesto del 04/3/09
di Geraldina Colotti

Carolina Major Perez, ingegnere dei trasporti, è responsabile delle relazioni internazionali nella Federazione delle donne cubane, un'organizzazione non governativa che raggruppa circa quattro milioni di donne e partecipa, con statuto consultivo, al Consiglio economico e sociale delle Nazioni unite.
Nel governo Obama sia alla Camera dei rappresentanti che alla Commissione esteri del Senato c'è chi chiede la fine dell'embargo a Cuba, che dura dal 1961.
Molti amici di Cuba desiderano la fine di un blocco economico che ha costituito il principale ostacolo al nostro sviluppo, ma finora non c'è stato alcun segnale di risposta alle nostre ben note richieste.
Come valuta il nuovo corso avviato da Raul Castro a Cuba?
Io non sono un'economista, mi occupo soprattutto del sociale e, per il mio lavoro, dei trasporti. Non siamo una società perfetta, ma un corpo sociale in evoluzione, che cerca di imparare dai propri errori. Alcuni fattori hanno complicato lo sviluppo economico del nostro paese: il bloqueo, che ha impedito l'accesso alla tecnologia e un maggiore sviluppo. Per questo il nostro sistema di telecomunicazioni è obsoleto, non possiamo fare collegamenti internet con terzi nodi, abbiamo provveduto a istituire centri internet che possano essere raggiunti dalle comunità, ma non possiamo permetterci il lusso che tutti abbiano il collegamento in casa. I trasporti stanno lentamente migliorando solo ora anche grazie alla collaborazione con la Cina. Siamo un paese povero, messo alla prova dagli uragani. In questo momento si sta cercando di spingere il popolo a lavorare e a produrre di più per superare questa situazione di difficoltà nel contesto di crisi internazionale. Lo stato ha deciso di consegnare ai contadini altra terra, di proprietà statale, che rimaneva incolta per mancanza di tecnologie. Dando in gestione a contadini singoli o a cooperative le terre incolte, quello che viene prodotto in più è parte del consumo di tutta la popolazione e del contadino stesso. In un contesto di crisi internazionale, non si può stare a guardare, bisogna moltiplicare gli sforzi.
La crisi internazionale avrà ricadute sociali anche a Cuba?
La crisi mondiale danneggia per primi i paesi poveri, quindi ci riguarda, lo sviluppo economico incide sempre su quello sociale. Ma noi siamo abituati a mettere a frutto il poco che abbiamo e, sul piano delle conquiste sociali, siamo più avanti o alla pari, dei paesi sviluppati. Da 50 anni il nostro paese subisce aggressioni chimiche e biologiche alle produzioni agricole, attacchi terroristici alle zone turistiche - e il turismo è un'entrata importante per noi. Ci hanno distrutto piantagioni di canna da zucchero sapendo che è uno dei nostri prodotti principali, hanno ostacolato le esportazioni di nichel. Negli anni '90, con la fine del campo socialista, hanno inasprito il blocco e creato un'agenzia che si è occupata e si occupa di boicottare i prodotti che esportiamo. Hanno fatto pressione sull'Unione europea perché condizionasse la fine del bloqueo alla rinuncia della nostra sovranità, e abbiamo preferito rifiutare. Nonostante questo, non si è mai chiusa una scuola né si è smesso di fornire libri gratuiti agli studenti, né si è chiesto un soldo per le medicine o le cure mediche coperte dal governo. Abbiamo poche risorse, ma non abbiamo smesso di investire - dall'Africa ai Caraibi, dall'America latina all'Asia - in un progetto che vede al centro l'essere umano, partecipe e solidale. Voglio raccontarle un aneddoto. Mio figlio ha vent'anni, sta studiando al secondo anno di università, ingegneria delle telecomunicazioni. Nel 2007 si è iscritto all'università e gli hanno consegnato 7 libri senza pagare un centesimo, a lui e a tutti quelli che si stavano iscrivendo, più di 100 ragazzi, ed era solo un anticipo di tutto i libri e il materiale che avrebbero ricevuto gratuitamente per tutto il corso di studi. Quanti giovani in America latina o in Europa possono dire altrettanto? Nelle altre parti del mondo, tante persone si svegliano con l'angoscia di dover cercare un lavoro o di poterlo perdere o di non potersi curare. Noi possiamo avere avuto il problema di come vestirci, per via degli effetti della doppia moneta e del peso convertibile, ma non quell'angoscia.
Nel 1903 l'isola di Guantanamo è stata data in concessione perpetua agli Usa. Dopo la chiusura del lager di Guantanamo il governo cubano ne ha chiesto ufficialmente la restituzione.
Quella per la restituzione dell'isola è sempre stata una nostra richiesta, una delle tante nostre battaglie passate sotto silenzio. Dal 1 gennaio '59, gli Stati uniti hanno usato quella base navale come punto di partenza di ogni genere di attacco contro la sovranità di Cuba, che non ha mai smesso di protestare. La Costituzione di Cuba, del febbraio 1976, ratificata con plebiscito nel 2002, stabilisce la nullità di trattati o concessioni stipulati in condizione di disparità fra i contraenti. Ma di Guantanamo si è cominciato a parlare solo quando è stata trasformata in un luogo di tortura per presunti terroristi, quando sono venute fuori le violazioni dei diritti umani che noi stesse abbiamo più volte denunciato a Ginevra. Finché rimaneva un problema cubano, non faceva notizia. E anche dopo la chiusura del carcere, non si è parlato di ritirare la base navale dal nostro territorio.

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